Tra gli arcani dei tarocchi, due delle carte archetipiche che preferisco sono la Papessa, cioè il 2, l’accumulo di conoscenza, e il Diavolo, il 15, un super 5, che rappresenta il dubbio e la tentazione. Due figure androgine. La Papessa non esisteva nel mondo reale del Quindicesimo secolo, è una donna che siede su un trono maschile, e non a caso è l’unica figura che tiene fra le mani un libro. Il Diavolo è disegnato come maschio e femmina, essere umano e bestia.
La confusione mi ha sempre affascinato, quando genera un pensiero nuovo e illuminante.
Per tutta l’adolescenza ho desiderato essere un maschio. I motivi erano tanti, anche se confusi. Durante la gravidanza di mia madre, il primo figlio si chiamava Pietro. Quando sono nata, sbagliata, a un nome non avevano nemmeno pensato.
E io volevo essere quel maschio per molti motivi, che allora non capivo, ma oggi sì. Il primo era quello che, in una casa con un padre tiranno e violento e una madre remissiva, che reagiva a ogni scontro piangendo, pensavo che avrei potuto difendermi: non avrei preso tutte quelle botte, avrei potuto tenere testa al mio aggressore, o almeno il coraggio di scappare. In casa mia essere femmina era molto difficile: le femmine erano creature un po’ inutili perché prive di vera cultura, quindi la mia lotta è stata quella di far dimenticare quel che ero, cercando di brillare, a scuola, nelle materie umanistiche, vestendomi solo in jeans e maglioni informi, con i i miei capelli così così sempre corti, io che sognavo di avere dei capelli lunghissimi, come le dame delle fiabe irlandesi.
E poi mi spaventava l’esplosione ormonale del liceo, in cui c’era una gara sottintesa, in cui a trionfare erano sempre delle femmes fatale quindicenni o fanciulle dai capelli lunghi, silenziose, che sembravano non avere mai un’opinione. Il colpo di grazia me l’ha dato, involontariamente, il mio professore di filosofia, che aveva una grande stima di me ma davanti a tutta la classe ha detto che la mia intelligenza era maschile e non femminile perché penetrava, non accoglieva. Peggio di così non poteva andare.
Mi sono nascosta per cinque anni soffrendo in silenzio per i miei innamoramenti segreti, che cominciavano sempre con interminabili telefonate, uscite a due, e finivano con il mio compagno che si metteva con una ragazza più bella e più stupidina.
Poi tardissimo, a diciannove anni, nel modo peggiore possibile, ho scoperto di avere un corpo, di essere una donna. La mia prima esperienza sessuale è stata orribile e terrificante, eccessiva, senza nessun momento di dolcezza o rispetto. Non sapevo che sarebbe potuto essere diversa. In qualche modo, ho scoperto di avere una vagina, e che questo avrebbe dovuto comportare una serie di comportamenti, seduzioni e remissività, che in fondo erano lo specchio del mio archetipo materno. Ma da lì in poi ho capito che mostrare le gambe, mettere magliette attillate, lasciar crescere i capelli, mi dava un potere sugli uomini che non credevo possibile, E che non ho mai saputo gestire.
Perché mi portavo ancora dentro quella voglia di potere maschile, non avevo ancora capito che era una struttura da demolire. Speravo di essere assimilata, mi sembrava l’unica strada possibile.
Ora è diverso. dentro di me l’Animus e l’Anima junghiana hanno fatto un patto più adulto e armonioso, si bilanciano. Riesco a vederlo anche nelle altre perone. Mi dà molto da pensare.
[Qualche anno fa ho avuto una storia con un ragazzo che, esternamente, era il classico supermaschio tatuato con centinaia di conquiste mordi e fuggi. Si sa, ancora oggi un mschio che si scopa centinaia di donne è un figo, una femmina è una gran troia, di cui, possibilmente, approfittarsi. Lui era un po’ l’idolo della cumpa, ma quando facevamo l’amore mi ha insegnato che un uomo può essere delicato, dolce e capace di ascoltare il mio respiro, il battito del mio cuore, e capire cosa mi piaceva e cosa no. Questa esperienza mi ha fatto crescere, mi ha convinta definitivamente che davvero dentro ogni persona ci sono due aspetti, perché maschio e femmina qualcosa ci creò: ognuna di noi è sia maschio che femmina. Ambisco a un mondo in cui questa sia la normalità, non solo nascosta interiormente, ma scontata e mostrata senza vergogna.
Nel libro forse più importante e rivoluzionario della femminista e anarchica Ursula Le Guin, La mano sinistra delle tenebre, c’è un mondo in cui non ci sono differenze sessuali tranne durante il Kemmer. Gli individui manifestano, di volta in volta, un aspetto maschile o femminile, che serve non solo a riprodursi ma a provare gioia nel sesso. Puoi essere, temporaneamente, una femmina, ma la cosa importante è che Ursula vedeva la divisione in generi come elemento generatore di ogni dualità del mondo in cui viviamo, mentre la sua mancanza, la sua irrilevanza, come uno sgretolamento di tutte le altre divisioni sociali. La sua immaginazione aveva creato un mondo queer, anarchico e meraviglioso in cui la collaborazione rendeva inutile la legge.
Sono molto felice di vivere in una epoca in cui comincio a vedere l’alba di questa visione. Le ragazze e i ragazzi che incontro sembrano sempre meno interessati a quella dicotomia. Certo sono ancora pochi i raggi che filtrano, ma mi fanno sperare che nessuna ragazzina, nessun ragazzino, nessuna creatura umana debba sentirsi sbagliata, ma possa solo provare gioia per il corpo che ha o che sceglie. Mi dispiace solo che, a differenza della lingua inglese, la lingua italiana faccia così fatica a scollarsi dalle divisioni di genere; persino il coltello e la forchetta sono maschio o femmina, immaginiamo come sarà difficile costruire un linguaggio, che non sia ridicolo ma convincente, per superare la divisione dei generi.Ora la mia consapevolezza femminista si è rafforzata, ho letto, ho approfondito, e sicuramente lo spazio in cui mi riconosco è quello del transfemminismo. Ma sogno un mondo di esseri umani che possano trarre ricchezza dalla complessità in cui immersi, consapevoli che quello che può essere essere chiamato maschio e femmina in realtà è un frattale meraviglioso.
La mano sinistra delle tenebre implica che le tenebre sono la mano destra della luce, e forse, più che maschio e femmina, vorrei che ognuno di noi fosse serenamente consapevole della luce delle tenebre che abitano in noi, per cercare di farli convivere. Proprio come la notte, che in questo momento, proprio mentre scrivo, sta finendo, e l’alba, che sta apparendo dietro le colline, sono parte di un ciclo eterno, e non combattono ma, armoniosamente, oscurano e illuminano il mondo.
Vive in un condominio affollato e rumoroso. Le sue coinquiline e i suoi coinquilini hanno fatto di tutto nella vita: bibliotecarie, animatrici culturali, speaker alla radio, cantanti, mogli, mariti, amanti, complici… Ora ascolta tutte e tutti e sembra abbia visto, letto e goduto di ogni cosa. Me lei sa che quell’obiettivo non è stato ancora raggiunto e che si trova alla deriva in un punto indeterminato del processo.