Ma torniamo al 1900, galoppando attraverso il primo quarto di secolo di vita del “Corriere della Sera”. In quel periodo il giornale consolida la propria posizione di quotidiano più letto dalla classe dirigente. Riesce, con gioia degli investitori, ad andare in attivo e ad arricchire tanto i propri contenuti quanto i proprietari. Diventa un quotidiano del mattino senza cambiare nome. Torelli Viollier smette di essere il direttore quando, in seguito alle tragiche cannonate del maggio 1898, le sue posizioni politiche ed editoriali sono messe in discussione: in quel momento, il fondatore del quotidiano rassegna le dimissioni e si pensiona, deciso a godere del denaro accumulato. A sostituirlo arriva Domenico Oliva, un opaco deputato conservatore un po’ reazionario. Il suo mandato dura appena due anni: tanto basta alla proprietà per registrare la riduzione degli utili appena stabilizzati. A rimpiazzarlo, nell’anno durante il quale Gaetano Bresci uccide un principio, arriva un ventinovenne che fino a quel momento è stato direttore amministrativo del giornale. Si chiama Luigi Albertini ed è stato assunto quattro anni prima proprio da Eugenio Torelli Viollier. Pare che, offrendogli un posto nel suo giornale, il direttore gli abbia detto:
«Lei sa la differenza fra un piccolo giornale e un grande giornale? Il grande giornale è quello che pubblica anche le notizie che dispiacciono. S’intende, la notizia che ci dispiace la si commenta come più ci piace.»
Forse è proprio questa dichiarazione di intenti a far capire ad Albertini che il “Corriere della Sera” non può permettersi di essere un semplice quotidiano. Il giornale non può limitarsi a essere un’abitudine; deve diventare l’ambiente in cui la borghesia milanese vive e prospera e, allora, deve allargare la propria presenza, toccare tutte le stanze della vita quotidiana, diventando diverso da tutti i concorrenti.
L’anno prima di essere messo a capo del giornale, Albertini aveva fortemente voluto che all’uscita quotidiana si affiancasse un settimanale illustrato, la “Domenica del Corriere”, diretto da Attilio Centelli. Dopo una settimana passata ad annerirsi le dita d’inchiostro, sfogliando il quotidiano, il capofamiglia poteva dedicare il giorno di riposo a letture più distese. Quel settimanale, in un’Italia in cui il suffragio universale era ancora un sogno progressista molto criticato dallo stesso “Corriere”, finiva poi nelle mani delle consorti che potevano, a loro volta, godere di quelle pagine riccamente illustrate. A colpire lo sguardo dei lettori e delle lettrici era soprattutto la copertina del settimanale, affidata ad Achille Beltrame che, per garantirsi l’affezione del pubblico, metteva in pagina soprattutto cronaca nera ed efferatezze. Del suo lavoro, l’illustratore diceva:
«Ho assassinato, sulla carta, centinaia di persone, saccheggiato città, distrutto regioni intere, io che sono l’uomo meno sanguinario, più pacifico del mondo. Le prime volte mi sono fatto anche impressione; poi ho finito per farci l’abitudine.»
Il successo della “Domenica” induce Albertini ad allargare ulteriormente l’offerta, affiancando al quotidiano altri due supplementi mensili. Nel 1901 viene varata “La Lettura”, diretta da Giuseppe Giacosa, sulle cui pagine, colme di notizie e narrazioni, prende forma il giornalismo che negli anni a venire caratterizzerà i contenuto culturali della terza pagina dei quotidiani italiani. Nel 1903 esce “Il Romanzo Mensile”, affidato a Silvio Spaventa Filippi, che raccoglie in un inedito formato economico romanzi pubblicati precedentemente sul “Corriere”, sulla “Domenica” e sulla “Lettura”. Una testata nuova ogni due anni, per soddisfare quasi tutte le esigenze di lettura della borghesia meneghina. Ma mentre gli adulti siedono in poltrona, godendo di giornali pensati appositamente per loro, i bambini muovono intorno uno sguardo inquieto.
Albertini non può permettere che quello sguardo resti vacuo, che quell’importantissima fascia d’età rimanga ignorata. I rampolli della classe dirigente, col tempo, diventeranno i padroni del mondo: è opportuno gettare nelle loro coscienze di futuri acquirenti ed elettori i semi del “Corriere della Sera”.
Quando Paola Carrara Lombroso, nell’ottobre del 1906, propone al quotidiano milanese di progettare un giornale specificamente rivolto all’infanzia, Luigi Albertini accetta senza esitazioni. A entrambi l’accordo sembra un buon punto di compromesso. Da un lato, Lombroso, socialista residente a Torino, figlia dell’antropologo Cesare, collaboratrice dell’”Avanti”, del “Secolo”, del “Piccolo della Sera” e della “Gazzetta del Popolo”, avrebbe preferito interlocutori più vicini alle sue idee, ma quelli cui aveva presentato il progetto non si erano mostrati altrettanto recettivi. Dall’altro, Albertini avrebbe voluto un milanese, maschio e possibilmente moderato e conservatore, ma il “Corriere” non stava offrendo nulla ai bambini e bisognava muoversi e rimediare.
Lombroso ha un progetto pedagogico chiaro. Vuole abbattere l’analfabetismo nel paese. È convinta che gli ultimi possano imparare a leggere e a scrivere, facendo leva su etica e responsabilità della classe dirigente: formare e informare i figli della borghesia avrà ricadute eccellenti su tutti.
Per disegnare un giornale capace di assecondare il suo senso filantropico, la donna inizia ad analizzare tutti gli altri periodici rivolti all’infanzia. Primo tra tutti, il più recente e meglio riuscito, il “Giornalino della Domenica”, il cui primo numero, diretto da Vamba ed edito da Enrico Bemporad a Firenze, era uscito il 24 giugno 1906. Poi quelli che arrivano dalla Francia. Compulsa con frenesia “Le Petit Journal illustrée de la jeunesse”, il “Saint-Nicolas” e il “Mon Journal” e annota, prende appunti, costruisce un’idea di periodico rivolto all’infanzia. Ha capito che il “Giornalino” di Vamba, benché profondamente innovativo, continua a parlare prevalentemente agli adulti: un approccio pedagogico che impedisce ai narratori di piegarsi sulle ginocchia e guardare i bambini negli occhi da pari a pari. Visti dall’alto, quei lettori sono così piccoli e influenzabili che ogni fatica pedagogica pare uno sforzo inutile. Quei narratori sembrano dire: «Fa’ silenzio e ascoltami, piccolino, sono in giro da tanti anni e tante ne ho viste… da me puoi solo imparare!»
Paola Carrara Lombroso vuole instaurare un dialogo con i suoi lettori, esige che il suo giornale sia capace di ascolto e avvicinamento. Proprio pensando ai bambini, idea un giornale costruito attorno a narrazioni serie e prive di infantilismi: vuole pubblicare racconti provenienti dal mondo o scritti da italiani che siano soliti parlare con gli adulti e, proprio per questo, non vogliano formare unilateralmente coscienze che considerano prive di senso critico.
Leggendo le lettere che, nei due anni di studio, la scrittrice scambia con il direttore Albertini si percepisce una tensione crescente. Lombroso è troppo per il “Corriere della Sera”: troppo indipendente, troppo sicura delle proprie idee, troppo socialista, troppo diretta nel comunicare il proprio disappunto, troppo torinese e troppo femmina. Quando il 27 dicembre 1908 esce il primo numero del “Corriere dei Piccoli”, il suo nome non compare nel colophon. Eppure le sue idee sono ben presenti in ogni parte del giornale.
Note:
Per parlare dei supplementi del “Corriere della Sera” ho usato La cultura sottile: Media e industria culturale in Italia dall’Ottocento agli anni Novanta di Fausto Colombo (Bompiani, Milano 1998) e Corrierino, Corrierona: La politica illustrata del Corriere della Sera di Claudio Carabba (Baldini e Castoldi, Milano, 1998). Per le origini del “Corriere dei Piccoli” mi è stato molto utile Piccoli lettori del Novecento: I bambini di Paola Carrara Lombroso sui giornali per ragazzi di Sabrina Fava (Società Editrice Internazionale, Torino, 2015). Le notizie sul “Giornalino della Domenica” e su Vamba vengono da Il Giornalino della Domenica: Antologia di fiabe, poesie, racconti e storie disegnate a cura di Claudio Gallo e Giuseppe Bonomi (Edizioni BD, Milano, 2007).
Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi).