È bastato poco. Partire tardissimo, dormire su un divano di amiche, girandosi e rigirandosi, e svegliarsi in una mattina né brutta né bella. La prima del Festival. Ancora distrutta. Ma era così tanto tempo che volevo venire qui che la sensazione di essere ancora in parte nello stato onirico si mescolava piacevolmente al mio stupore. Non tanto per il materiale esposto e gli stand: la gente mi faceva impazzire. Amavo tutti, indistintamente, come mi succede quando, per motivi a volte misteriosi, schizzo in modalità Up.
Lucca era bellissima. Mi sono persa dieci minuti dopo aver fatto colazione e aver salutato le mie amiche che erano lì per lavorare. Io mi concedevo un giorno, che sarebbe terminato in ottocento treni. Ma solo se prima fossi riuscita a trovare la stazione.
Chissenefrega, ero incantata. Anche se quest’anno era contingentata, Lucca Comics era come l’avevo immaginata, ma meglio. Stava anche uscendo il sole. Non dovevo più rabbrividire per le braccia nude dei cosplayer. Camminavo e mi sembrava una cosa bellissima, ma non sapevo esattamente cosa fosse la cosa.
È stata una giornata faticosissima. La rifarei subito, naturalmente, anche se fra poco andrò a dormire. Ho fatto tante cose, ma più di tutto mi sono immersa in questa civiltà aliena. Non so cosa mi provocasse la curiosità vorace verso i gruppi di persone che sbucavano da ogni vicolo, io mi sentivo come David Bowie nel film di Roeg del 1976 The Man Who Fell To Earth, una outsider che dissimula.
Non avevo idea di chi fossero i personaggi cosplayati, ho riconosciuto Squid Game e La casa di carta, ma era tutto così bello da vedere. Sembrava una mini nazione di gente contenta. Negli stand passavo accanto alla gente accalcata per scoprire se fosse uscito l’ultimo numero di titolo a caso, tutti maniaci che condividevano un linguaggio che capivo parzialmente. Ascoltavo brandelli di commenti, mi perdevo tra i tendoni. Quest’anno Lucca Comics era contingentata, ma a me sembrava pienissima, anzi forse il fatto che ci fosse meno gente ha dissipato qualunque associazione mentale con le fiere. E anche se ho intervistato e salutato molti editori che conoscevo, non ho mai sentito quel leggero disagio da Salone letterario. Era tutto più anarchico. Ero ingiustificatamente felice. Sarei stata lì per tutta la durata del festival, al riparo, avrei voluto andare ai panel, avrei voluto scoprire un manga che mi interessasse e diventarne ossessionata, come mi capita con gli autori dei libri. Volevo essere una di voi, gente emozionata e vestita con costumi che chiaramente erano stati assemblati con cura e con amore.
Probabilmente avevano tutti voglia di rivedersi lì. Trovare un posto in cui ti senti sicuro e a cui vorresti ritornare non è mica una cosa da poco.
A me sembrava di respirare la vita. Anche se non conoscevo nessuno. Anche se non conoscevo i nomi di autori e disegnatori scritti a lettere giganti sui teloni, il cielo era azzurro chiaro, io mangiavo i tortelli a un tavolino e sentivo, fisicamente, il piacere di tutta la gente che si ritrovava, si muoveva in branco, faceva la fila davanti al Dungeon Store. Era bello. Tutto era vivo.
C’è un unico racconto soprannaturale scritto da Virginia Woolf. Si intitola La luce nel cuore. Con la sua scrittura sovrumana, che straripa come un fiume, in tre pagine ci racconta della coppia spettrale che si aggira in una casa, occupata da una coppia di vivi che li percepisce da piccoli rumori e ombre ma soprattutto ne sente la presenza liminale. I due fantasmi cercano, cercano, in tutte le stanze, cercano un tesoro. Qual è? Non lo ricordano. Fino a che una notte si chinano a guardare la coppia addormentata e lo trovano. La donna spalanca gli occhi di colpo e li vede, proprio in quel momento, E lei, che cerca di tradurlo in parole umane, grida «Ecco qual era il tesoro! La luce nel cuore.»
A casa, mia madre sta morendo, tre millimetri al giorno. Mi riconosce di rado. Non so quanto manca. Sono scappata per un giorno. Sono leggera. Sto scivolando sulla corrente del mio stato Up come un rapace sulle correnti ascensionali. Sento la bolla del dolore che è dietro, al buio. Io posso immergermi nella luce, nel chiasso e nel frastuono della mia ignoranza. Oggi sono al sicuro. Un giorno regalato, trasparente come un bicchiere pulito. E la luce nel cuore.
Vive in un condominio affollato e rumoroso. Le sue coinquiline e i suoi coinquilini hanno fatto di tutto nella vita: bibliotecarie, animatrici culturali, speaker alla radio, cantanti, mogli, mariti, amanti, complici… Ora ascolta tutte e tutti e sembra abbia visto, letto e goduto di ogni cosa. Me lei sa che quell’obiettivo non è stato ancora raggiunto e che si trova alla deriva in un punto indeterminato del processo.
Una risposta su “Do not go gently into Lucca Comics”
Patrizia
Metto nei Preferiti. Troppo poco, ma che altro posso fare?