«Io ho sempre tirato così.»
Io e I. passeggiamo in città.
Una città di mare che a novembre si riempie di nebbia: romantica, fredda, spaventosa.
I. unisce la punta del pollice all’anulare e lo fa scattare nell’aria come se colpisse davvero il mini tango di plastica.
«Mio fratello», continua, «quando non giocava col Genoa, usava il Borussia Moncheng, Monch, dai, quello lì…»
Diciamo ridendo insieme e concludendo la frase: «A German Team».
È l’1 novembre 2016.
Sono le serate della Champions League della stagione 2016/17.
In uno dei gironi si gioca Celtic – Borussia Monchengladbach.
Gli scozzesi, si sa, dai loro birra e partita e la serata assume prospettive interessanti.
Il proprietario di un pub di Glasgow però, sulla lavagna fuori dal locale nel tentativo di scrivere col gessetto la partita che verrà trasmessa per la promozione di combo varie, ha qualche problema. A fianco e sotto il nome Borussia tre parole sono barrate. Non c’è verso, la città di Monchengladbach è troppo difficile da scrivere, così la genialata: “A German Team”. Semplice, diretto, conciso.
La foto della lavagna con le cancellature e il nuovo nome dei tedeschi fa il giro del mondo diventando virale. Lo store online del Borussia M. è preso d’assalto, va in tilt ma quando torna attivo migliaia di persone hanno accettato un pagamento della carta di credito e si fanno recapitare maglie, pantaloncini, sciarpe, gadget del fenomeno del momento, quel german team impronunciabile.
Finirà 0 – 2 per i tedeschi e “A German Team” diventerà un modo di dire che resiste a tutt’oggi campeggiando pure sulle sciarpe ufficiali del ‘Gladbach sopra ai colori bianconeroverde.
Io e I. proseguiamo per le vie ciottolate in quell’intreccio di vie e viuzze della città di mare.
È il fine settimana di un caldo novembre.
«Io invece usavo solo l’indice.» E poi vuoto subito il sacco. «È che io Subbuteo l’ho sempre odiato. Avevo sempre un gran male alle dita alla fine della partita.»
Il Subbuteo che ho imparato a conoscere era quello di pomeriggi che sembravano infiniti. C’era talmente tanto tempo da impiegare per divertirsi che quasi era un dispiacere che dovesse arrivare la notte e il giorno nuovo. Pomeriggi di tavoli da giardino aperti in tinelli stretti, mamme e nonne che ci preparavano cioccolate calde e biscotti, tramonti che scemavano tra i buchini delle tapparelle color verde e azzurro dei quartieri popolari.
Anche se a me il calcio è sempre piaciuto giocarlo dal vero, su un campo vero di erba e fango.
Un pavimento di vecchia graniglia in ampie stanze compreso il refettorio delle suore, tre bambini, due maschietti e una femminuccia, inginocchiati sulle fredde piastrelle, ognuno incurvato su un campo da gioco invisibile con davanti una risma di figurine e altre tre incurvate. La femminuccia vince la figurina che cerca da tempo dopo pacchetti e pacchetti che hanno solo procurato ulteriori doppie ma al ragazzino con l’acne e qualche ricciolo sulla fronte non passa nemmeno l’adito della sconfitta perché si ringalluzzisce subito mostrando una miniatura. È del Subbuteo edizione 1982/83, l’Italia è Campione del Mondo e il gioco vende per la Giochi Preziosi vagonate di scatole.
Peter Adolph ha una faccia molto inglese e gli incisivi dell’arcata dentale inferiore macchiati. Insieme al giallo del filtro tra l’indice e il medio, sono quei due denti che fanno capire all’istante se una persona è fumatrice o meno.
Chissà il Kent nel 1947 come doveva essere tra vasti terreni verdi e case in pietra. Forse c’era già da scaldarsi con lo scotch e bere birra al pub. Certamente gli inverni erano rigidi e a casa accanto al fuoco si doveva stare molto bene. Chissà poi in quelle lunghe serate lì davanti, magari, da ragazzo due tiri al pallone e poi a bordo campo a fumare come Jackie Charlton, capitano del Leeds United, Peter Adolph lo aveva pure fatto. Ma come si poteva replicare nelle fredde giornate inglesi quel meraviglioso gioco in casa senza distruggere lampadari e vetri delle finestre?
Arrivato all’ufficio brevetti, un’altra chiacchiera con l’impiegato che però gli dice che il nome “The Hobby” non si può usare. The Hobby significa sia passatempo sia una precisa specie di falco, il lodolaio. Così il buon Peter sceglie un altro tipo di falco al quale intitolare il nuovo gioco da casa che ha inventato per ovviare al calcio vero.
Sceglie il falco subbuteo.
E come si suol dire, il resto è storia.
Conosciutissimo nella massima espansione, tra gli anni Settanta e Ottanta, le prime miniature degli anni Cinquanta – giocatori posizionati su una base decisamente più rigida e meno malleabile e dipinti completamente a mano – erano da collezione quasi da subito, se non fosse che in Italia il Subbuteo arriva solo nel 1974.
Con l’avvento della plastica e della diffusione espansiva della televisione oltre che di una società che si liberava dalle ragnatele del dopoguerra e che semplicemente voleva evolversi votandosi al consumismo, anche la produzione delle miniature e degli accessori diventa più fruibile. Le pedine per esempio dismettono l’artigianato e già verso i Novanta, croce e delizia del gioco, si iniziano a vedere gli sponsor e la varietà di squadre e maglie.
Già da un decennio buono, la base perde la rigidità e smussa gli angoli rendendo le miniature persino elastiche, scivolando facilmente sul panno.
Il gioco ha le sue regole, riprendono quelle del campo vero come gli undici giocatori il cui portiere è agganciato a una specie di paletta che agisce lungo la linea di porta e i modi di tirare sono diversi. Va da sé che per noi ragazzini si poteva prestare attenzione solo alle regole, il tiro era personale, quasi sfociava nello stile, del quale per altro vantarsi soprattutto se si vinceva spesso.
Era un po’ come il biliardino: hai voglia a dire che non si doveva rullare ma poi nei tornei sulla spiaggia vedevi delle rullate che trascendevano l’epica.
C’erano sorrisi, sguardi complici accucciati sul panno verde, ai lati del Subbuteo così come del biliardo siamo cresciuti, dalle bibite gassate americane passiamo alle birre e alle sigarette e con l’avanzare della tecnologia del Commodore 64 e dei videogiochi in generale, il gioco finisce chiuso su qualche mensola, qualche scatolone durante i traslochi o direttamente in mansarda o in cantina quando si diventa universitari.
Nel 2018 a Viareggio l’associazione del calcio tavolo organizza un torneo.
È dedicato all’argentino di Rosario Tomas Felipe Carlovich detto El Trinche.
Durante una conferenza stampa in Argentina, alla domanda su chi fosse il giocatore più forte, Diego Armando Maradona, indimenticato e indimenticabile numero 10 dei biancocelesti argentini e azzurri del Napoli, risponde che non è lui, per lui il giocatore più forte di tutti è El Trinche.
Ma chi è El Trinche?
Campione totale, innegabilmente, un numero 5 strepitoso che non si vedrà mai calcare un campo di quelli dei “grandi” preferendo le serie minori, preferendo la vita alle copertine. È ormai leggenda quando il CT dell’Argentina campione del mondo del Mondiale del 1978 insanguinato dal regime di Videla e da quello mai trovato dei desaparecidos, Cesar Luis Menotti convoca El Trinche.
Ma lui al raduno non arriva mai perché semplicemente cambia idea e va a pescare al fiume.
A Viareggio il locale circolo Subbuteo Club Seagulls organizza un torneo di subbuteo e lo dedica a El Trinche. Raggiunto dalla notizia, a El Trinche gli si scalda il cuore, a uno come lui che scopre che per essere il numero 5 più forte mai visto in Nazionale qualcuno lo ricorda con tanto affetto. Al suo lasciare la vita, nel 2020, non ha avuto la processione alla Maradona, ma c’è chi giura che i due ora giochino insieme come non fecero mai in terra.
Il circuito Guerin Subbuteo nasce fin dagli albori del gioco approdato in Italia a metà dei settanta. Dura fino al 1995, sopravvive nonostante noi si diventi grandi. Sopravvive anche se ci sono cambi di proprietà del gioco e dunque meno concessioni.
Sopravvive fino a oggi, con un nome nuovo: il New Guerin Subbuteo. Che comprende una serie di tappe del campionato in giro per la penisola.
La prima nebbia in pianura è apparsa già a fine ottobre.
Nel fine settimana di Ognissanti, prima che la moda di Halloween stravolgesse la tradizione italica, al Subbuteoland si è svolto il torneo sponsorizzato dal “Guerin Sportivo”.
A Reggio Emilia una struttura che viene chiamata la Coverciano del Subbuteo nel fine settimana lungo tra controlli del green pass, mascherine e gel ha una stanza enorme piena di panni verdi.
Sopra, ricurvi, giovani e meno giovani muovono col calcio a punta di dito centinaia di miniature, vincendo e perdendo.
Nella stessa stanza ci sono teche espositive con medaglie e miniature da collezione, esempi di come un gioco possa attraversare epoche e società e conservare un fascino che non è solo vintage ma di riscoperta.
Per un gioco semplice, che ci fa tornare adolescenti con la punta di un dito.
Una sensazione impagabile.
Rimini 1975, disegnatrice di fumetti, fumettara, illustratrice. Pubblica dal 1999. Qualche titolo: la fanzine “Hai mai notato la forma delle mele?”, le graphic novel Io e te su Naboo e Cinquecento milioni di stelle, il fumetto sociale Dalla parte giusta della storia, il reportage a fumetti scritto dalla giornalista Elena Basso Cile. Da Allende alla nuova Costituzione: quanto costa fare una rivoluzione?.