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«In passato sarei stato davvero disponibile a fare un nuovo volume di Halo Jones e a farlo pubblicare da “2000 A.D.”, ma loro non mi ridaranno mai Halo Jones, perché se lo facessero allora dovrebbero assegnare a Pat Mills e John Wagner i diritti di Judge Dredd. E se lo facessero non rimarrebbe nient’altro che un mucchio di tipi senza talento che si sono ritrovati in possesso di tutti questi personaggi famosi fatti da altri e non avrebbero più né un mercato né dei personaggi».
Quel che pensa Alan Moore delle major dei comics e dei loro dirigenti, è ben riassunto in queste due frasi.
Così come Jack Kirby e Steve Ditko, e prima di loro Jerry Siegel e Joe Shuster, anche Moore non è in possesso dei diritti di molti personaggi da lui creati, che appartengono invece a DC Comics. Certo, nel caso di Watchmen, Moore e Dave Gibbons firmarono un contratto con la major (esattamente come fecero Kirby e gli altri), ma Moore si accorse presto di essere stato in qualche modo truffato. Nelle sue parole: «mi stavo rendendo conto che avevo praticamente venduto i miei bambini agli zingari».
A quanto pare, nel contratto per Watchmen c’era una clausola che prevedeva che i diritti sui personaggi sarebbero tornati ai loro autori una volta che DC avesse smesso di ristampare l’opera. Ai due giovani fumettisti sembrò una cosa del tutto normale, perché nel 1986 non c’era nessun fumetto di supereroi che fosse mai stato ristampato per più di due anni consecutivi. Ma, com’è noto, per Watchmen andò diversamente e il libro non smise più di essere riprodotto (con tanto di inserimento nella classifica del “New York Times” dei cento romanzi più importanti del XX secolo), cambiando di fatto l’intero mercato dei comics, insieme al Dark Knight Return di Frank Miller e al Maus di Art Spiegelman. DC comunque, dopo l’enorme successo di Watchmen, non rinegoziò l’accordo con Moore e Gibbons – magari per concedere loro parte dei diritti o semplicemente royalties più alte – e così il rapporto con lo scrittore cominciò a incrinarsi.
Dirà lui: «Iniziavo a rendermi conto che ci avevano rubato V for Vendetta e Watchmen che non avevano niente a che fare con DC: DC non aveva avuto alcun ruolo nell’ispirare o nel creare quelle storie. Erano lavori al cento per cento miei e, rispettivamente, di David Lloyd e Dave Gibbons. E naturalmente dei letteristi e dei coloristi che erano stati coinvolti. Ma nessuno, al di fuori di noi artisti, aveva alcun diritto morale su quelle opere. Ma DC ha potuto rubarceli e passarla liscia. L’ha fatto in modo legale. Ci mostrarono le scritte in piccolo sul contratto e per la legge americana, che è la sola legge di cui ci si preoccupa, è tutto perfettamente legale».
La questione però non riguardava solo Watchmene V. C’era di mezzo anche Swamp Thing, l’altro grande successo che Moore diede a DC dove, pur non avendo inventato lui il personaggio (creato da Len Wein e Berni Wrightson), ne aveva però cambiato radicalmente la natura, rivoluzionandone la narrazione e inventando di fatto la linea Vertigo.
La goccia che fece traboccare il vaso fu il bollino con la scritta “per lettori maturi” che DC volle mettere su Watchmen e Dark Knight. Nel racconto di Moore, Miller lo chiamò per informarlo della cosa, e insieme ad altri autori decisero di redigere un comunicato contro quella sorta di censura. DC fece sapere che avrebbe comunque applicato il bollino, e a quel punto Moore giurò che non avrebbe mai più lavorato per loro e se ne andò (certo, anni dopo, scrisse nuovamente per DC, ma è una storia ancor più ingarbugliata di questa e se ne parlerà più avanti. Basti comunque sapere che ne fu quasi obbligato).
Grazie a Watchmen, V for Vendetta, Swamp Thing, e al Marvelman/Miracleman per Marvel UK, Moore è stato per molti anni il più importante sceneggiatore del mondo dei comics, riscrivendone completamente modelli e industria.
Con Marvelman/Miracleman e Watchmen calò i supereroi in un mondo iper-realistico, riscuotendo un successo di pubblico e critica che dura tutt’oggi e emancipandoli, in parte contro le sue intenzioni, dal semplicismo della Golden e Silver Age. Come si dice spesso, con una formula brutta e fuorviante, rese i supereroi “maturi”.
Con il solo Swamp Thing invece (potremmo addirittura dire con tre sole storie: La lezione di anatomia, Il rito della primavera e Modelli di crescita, dove, con Rick Veitch, crea John Constantine), ha dato il La a Vertigo, la linea “dark” di DC, che adotterà come suo marchio di fabbrica lo stile e le idee del Moore di quegli anni, congiunti a quelli di Neil Gaiman. I successivi long sellers dell’etichetta (Hellblazer e Preacher di Garth Ennis e Steve Dillon, lo stesso Sandman, con i suoi innumerevoli spin off, ma anche l’Arkham Asylum di Grant Morrison e Dave McKean), sono tutti figli diretti dello Swamp Thing di Moore, Steve Bissette, John Totleben e Veitch.
Dice Moore a questo proposito: «quello era, in origine, solo il modo che prediligevo per scrivere le mie storie, forse un po’ più tetro, forse un po’ più poetico, forse un po’ più legato agli eventi della vita reale che in quel periodo avevano una certa rilevanza: tutto questo era diventato un’industria, un marchio di fabbrica».
Il rapporto di Moore con i comics, si è così via via deteriorato sempre più, finché nel 2019, una volta pubblicato insieme a Kevin O’Neil The Tempest, il quarto e conclusivo volume della League of Exatraordinary Gentlemen, ha dato ufficialmente il suo addio al fumetto.
«Se il mondo dei fumetti di lingua inglese fosse stato diverso, dubito che sarei mai rimasto a corto di idee o che mi sarebbe mancato l’entusiasmo per realizzarle. Quando ho iniziato, i comics erano un settore ignorato che produceva albi economici in grande tiratura, pensati prevalentemente per i bambini della classe operaia, ma con un numero crescente di teenager inclusi tra i lettori di riferimento».
Moore, a suo dire, possiede oggi i diritti solo del 20 per cento di tutte le sue opere a fumetti (fra le più famose, soltanto From Hell, la League e Providence) e afferma in più interviste, con evidente amarezza, di non voler assolutamente parlare delle altre e di non conservarne in casa alcuna copia. Quando nel 2017 il giornalista Raphael Sassaki gli chiede quali siano le influenze che portarono alla creazione di V for Vendetta, la risposta è lapidaria:
«Mi spiace dire che, già da alcuni anni, sono dell’opinione che, poiché apparentemente non mi è permesso d’essere il proprietario del lavoro che ho creato, come potrei aspettarmi se lavorassi in un settore più maturo e rispettabile, e siccome le mie proteste contro il furto della mia opera sono interpretate da un pubblico sicuramente ingenuo e non sindacalizzato come prova della mia “irascibilità” e “litigiosità”, l’unica opzione che mi rimane è disconoscere le opere in questione. Non possiedo più copie di quei libri e, a parte l’onesto lavoro creativo che ci ho messo all’epoca, la mia unica relazione con essi consiste in amicizie interrotte, i soliti immancabili tradimenti perpetrati dalle grandi aziende e tanta fatica sprecata».
Il suo parere definitivo su quel pubblico «ingenuo e non sindacalizzato» lo esprimerà poi in un’altra intervista, questa volta nel 2020, con Peter Moerenhout, chiudendo il cerchio:
«(…) una parte dei lettori di fumetti sono dei perfetti, comuni rappresentanti della classe media e non vogliono avere problemi. Sono stati allevati con cura in abitazioni in cui espressioni come “sindacato”, “sciopero”, “crumiro” e “solidarietà tra lavoratori” non facevano parte del vocabolario e si sentono titolati a godere del loro intrattenimento passivo senza alcun conflitto etico.
Di certo non vogliono sentirsi complici del più grande furto nei confronti di una singola persona in tutta la storia dell’umanità – mi riferisco a qualcosa come trenta miliardi di dollari rubati a Jack Kirby – mentre sono in coda per vedere l’ultimo film degli Avengers».
Il fumetto americano di supereroi, fin dalla sua nascita, si è ammantato di furti, tradimenti e sotterfugi, sempre a scapito dei creatori di quegli eroi che ancora oggi promuovono valori opposti. Ora, sembra che dal 2023 i discendenti di quegli autori, possano pretendere i diritti dei personaggi creati dai loro avi, mettendo così in pericolo i colossi dell’industria, che rischiano di tornare a essere «tipi senza talento», senza più né mercato né personaggi. Certo, è molto improbabile che andrà in tal modo, ma di certo, se per caso Marvel o DC dovessero perdere i diritti dei personaggi altrui che le hanno fatte prosperare per decenni, non si potrebbe non vedere in questo una sorta di potente contrappasso.
[continua]
Arnesi del cartografo
Le parole di Moore citate sopra si trovano in Le straordinarie opere di Alan Moore di George Khoury (Black Velvet, 2011), in Alan Moore: 5 interviste (DIART DIGITAL ART, 2019), a cura di smokyman e nella lunga e recente intervista di Peter Moerenhout, tradotta sempre da smokyman e pubblicata sul suo blog in due parti, qui e qui. La stessa intervista è apparsa parzialmente anche sul numero 116 di “Scuola di Fumetto”.
Scrive fumetti e scrive di fumetti, poi scrive anche canzoni e le canta, insieme a quelle degli altri che gli piacciono. Il suo sito è www.francescopelosi.it.