Cerebus vol.13: “Going Home” (luglio 1998 – gennaio 2000)

Omar Martini | La corsa dell’oritteropo |

Going home è sia il titolo del tredicesimo volume sia del penultimo dittico lungo complessivamente 34 albi. Formalmente, abbiamo nuovamente dei cambiamenti che mescolano e rendono meno distinti i confini tra la pubblicazione in albo mensile e la storia concepita per avere una (unica) esistenza come libro:

  • Gli albi dell’intero ciclo Going home (quindi anche della seconda parte “Form and Void”) sono gli unici a usare come copertina una fotografia e non un disegno. Inoltre, come è ormai diventata un’abitudine, presentano il doppio titolo (della testata e dell’arco narrativo) e la doppia numerazione (della serie e dei singoli “capitoli”).
  • Il libro è la storia di un viaggio, suddiviso in due parti: la prima sezione via terra, presentando in ogni numero un luogo diverso; la seconda parte, invece, via fiume, raccontando la “statica mobilità” rappresentata dallo spostamento su una grande barca, quasi una specie di yacht.
  • È presente una numerazione della pagina che è consequenziale per tutti i trentaquattro numeri, rimarcando con questo semplice elemento la compattezza dell’intera storia.

È quindi meglio leggere questo arco narrativo (ma il discorso potrebbe estendersi anche all’intera serie) con i singoli albi oppure nel volume di più di trecento pagine? Non è una domanda facile a cui rispondere, dato che entrambe le fruizioni presentano dei pregi e dei difetti… ma questo è un tema da affrontare in un altro articolo.

Il racconto illustra il viaggio di Cerebus e Jaka verso la casa dei genitori dell’oritteropo (è usanza che il maschio costruisca l’abitazione che accoglierà la futura sposa) e presenta una strana caratteristica: il lungo spostamento non viene usato, come spesso avviene, come strumento narrativo per inanellare una serie di eventi che fanno procedere ed evolvere la storia. Il libro (come avviene con il volume seguente) è fondamentalmente statico: segna l’ulteriore brusca frenata di quella che sembrava essere la storia di Cerebus, poiché Dave Sim rappresenta la vita di una coppia con i suoi alti e bassi (soprattutto nella seconda parte) e adatta la figura di Jaka alla concezione della donna che ha iniziato a esprimere sempre più chiaramente ed esplicitamente dalla quadrilogia di Mothers and daughters in poi.

Nella prima parte, forse la più tradizionale, Cerebus e Jaka si muovono in carrozza e toccano molti luoghi, incontrando diverse persone (spesso nelle taverne in cui soggiornano), e inserendo nuovamente riferimenti al mondo dei fumetti, di cui quello più esplicito è rappresentato dalla serata che Cerebus e Jaka trascorrono assieme a Rick Veitch e Alan Moore, che si prepara e fuma un colossale cannone. Nella seconda parte l’unico mezzo di trasporto utilizzato è la nave e tutto ruota attorno al rapporto tra la coppia e F. Stop Kennedy, la rappresentazione dello scrittore Francis Scott Fitzgerald che ne dà Dave Sim. Questa scelta è apparentemente strana: se il viaggio sul fiume fa immediatamente venire in mente, nell’ambito della letteratura statunitense, il romanzo di Mark Twain Le avventure di Huckleberry Finn e, di conseguenza, avrebbe avuto più senso la presenza di Ernest Hemingway, grande ammiratore di quel libro, che considerava come il primo esempio del vero “romanzo americano”, l’uso di Fitzgerald diventa coerente se si pensa a come l’autore del Grande Gatsby utilizzava nelle proprie opere il materiale autobiografico: non come base per riprodurre in maniera fedele la propria vita, ma come elemento iniziale da rielaborare fino a ottenere qualcosa di completamente diverso, in cui i confini tra quello che era realmente accaduto e quello che veniva inventato diventano piuttosto vaghi e indistinti… esattamente quello che Sim fa con Cerebus in questo momento: non più parodia di Conan, non più “finto” racconto fantasy in cui parlare dell’attualità e del mondo della pop culture, ma palcoscenico dove esporre le proprie idee e convinzioni, nonché la propria esperienza sentimentale. L’autore racconta gli eventi personali di Cerebus, ma soprattutto di Jaka, rappresentandoli usando sia il fumetto sia la finzione letteraria delle pagine di un ipotetico romanzo che continua gli eventi dei tre personaggi, rappresentati con altri nomi e dinamiche leggermente diverse. Un elemento fortemente fitzgeraldiano che viene usato è il rimpianto del passato (o di quello che sarebbe potuto essere): Kennedy e Jaka “giocano a rimpiattino”, allontanandosi e (forse) cercandosi, sotto gli occhi di un ignaro Cerebus che non capisce quello che sta avvenendo.

Quello che caratterizza questo ciclo è il doppio… o, meglio, la duplicità. L’arco narrativo è diviso in due, questo volume è composto da due parti che si contrappongono, e sono due gli scrittori rappresentati nella parte finale della loro esistenza (qui, Francis Scott Fitzgerald, in quello seguente il suo amico, rivale e, alla fine, detrattore Ernest Hemingway). Il tema del doppio è probabilmente dovuto al fatto che si parla di “maschio” e “femmina”, e dei rapporti tra i due sessi, nello specifico di Jaka e Cerebus (o dei possibili altri uomini che hanno incrociato il cammino della ragazza). Il “tema” diventa quasi l’unico “argomento” dei discorsi, dando l’impressione che in certi momenti i dialoghi tendano ad avvitarsi su se stessi, senza avere realmente uno scopo preciso. La storia stessa sembra perdere la propria direzione. È sempre presente, in maniera incombente, il regime delle ciriniste (e delle donne, in generale) ma è l’unico elemento che sembra rimanere degli spunti precedenti. L’ambientazione stessa ne “soffre”: come già indicato nel volume precedente, il taglio “fantasy” fatica a rimanere coerente, e ci sono diverse cose (soprattutto i vestiti di Jaka) in cui l’incongruenza è piuttosto evidente. Siamo ormai in una fase in cui, tutto quello che poteva essere stato originariamente pianificato, è abbandonato per una costante e sempre più profonda esposizione di quello che l’autore prova in quel momento.

Graficamente, il tratto raggiunge quello che, personalmente, considero l’apice di Dave Sim, tra pulizia del segno, cura estrema (ma senza eccedere) nel dettaglio, continua varietà della forma delle vignette, delle inquadrature e dell’uso del lettering che raggiunge il perfetto equilibrio nella sua trasformazione in segno, rendendo quindi indissolubile quello che viene scritto con il modo con cui viene realizzato e disegnato. Solo nella seconda parte, in alcuni rari momenti in cui vengono ritratti degli uccelli, si inizia a intravedere quella “involuzione” che sarebbe diventata più evidente nei numeri successivi, nonché nelle successive opere, dove un eccessivo fotorealismo e un uso ossessivo della documentazione avrebbe implacabilmente raffreddato e “irrigidito” il disegno dell’autore.

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