BilBolBul Bologna: Considerazioni e vesciche ai piedi

Monia Marchettini | Io sono un unicorno |

BilBolBul – Festival internazionale di fumetto (per comodità BBB) si svolge a Bologna ormai da quindici anni. Ci sono ospiti internazionali, mostre e conferenze. Normalmente vado, mi faccio chilometri girando praticamente in tondo per Bologna e arrivo a casa distrutta, con vesciche nei piedi grandi come pizze ma con tante cose su cui riflettere.
Quest’anno le mostre sono dedicate al corpo e si festeggiano i 20 anni del formato graphic novel in Italia con alcune conferenze. Ci sono poi mostre ed eventi che si svolgono durante il festival e che vengono chiamati BBB Off e non seguono necessariamente la tematica portante.

Prima del festival

Quando voglio andare a un festival molto grande mi affido  al sito internet.
Cosa m’interessa? Ma soprattutto, dove hanno messo quello che mi interessa?

La prima domanda riguarda la mente. Restare o uscire dalla comfort zone? Nel senso, mi vado a vedere Manuele Fior oppure il collettivo che non ho mai sentito nominare con artisti provenienti dall’Africa ?

La seconda domanda riguarda il fisico, in particolare la mia schiena e i miei piedi che sono una cosa molto seria. Anche se tutte le esposizioni sono nel centro storico bisogna prendere un po’ le misure. Per esempio: Quanto dista la mostra con Fior da quella del collettivo? Dove mangerò? Riuscirò a cavarmela nonostante il peso di tutti quei fumetti che sicuramente comprerò?

Poi studio i collaboratori, gli sponsor e gli eventi Off (fuori mostra, ma collegati). Per capire lo spirito del festival. Se, come me, amate autoproduzioni, underground e sperimentazione, le mostre Off potrebbero attirarvi più di quelle ufficiali.
Insomma devo leggere bene.

Il Giorno del festival

Ho guardato bene il sito ma ho recuperato subito un programma cartaceo, per avere tutto sotto controllo, soprattutto gli orari. Avevo un percorso segnato e serratissimo, che è andato a farsi friggere praticamente subito.

Ho visitato la mostra “Se non disegni non disegnerai” di Federica Ferraro ospitata dalla Libreria Trame, una libreria indipendente. Vabbè Nicoletta Maldini è un’amica che gestisce la sua libreria con grande energia, però ci sono andata perché il titolo mi aveva colpita: puoi disegnare anche se disegni male? Ultimamente me lo sono chiesta. La risposta sembra scontata ma non lo è, così la descrizione che il sito del festival faceva della mostra mi ha incuriosita:

«Se non disegni non disegnerai è un mantra, un consiglio, quasi una costrizione. È l’ostinazione che prevale su ogni debolezza. La mostra è la raccolta di ogni tentativo compulsivo di trovare uno spazio per sé anche quando non c’è.»

Sono partita subito con una mostra BBB Off quindi. La libreria è piccina ma chi la gestisce sa valutare gli spazi e c’è un intervento site-specific (fatto appositamente per il luogo in cui è allestita) proprio in vetrina.

Non è scontato trovare in questi spazi esposizioni innovative o comunque apprezzabili.
Gli eventi Off sono ospitati in situazioni commerciali (bar, negozi, stamperie) e alcuni non hanno praticamente nulla a che vedere con il fumetto. Altri, come la Libreria Trame, garantiscono invece cura ed esperienza. Quindi non sai cosa troverai, non sai nemmeno se saranno aperti quando sarai in visita, perché fanno il loro normale orario di negozio.
Molti di questi spazi commerciali, infatti, non hanno fatto aperture straordinarie, dando al festival un’idea di discontinuità, confusione e anche di incuria. Girare in tondo per conformarsi agli orari di apertura diventa faticosissimo e, a meno che la motivazione non sia fortissima, il rischio di mandare tutto a quel paese c’è.

“Prendere posizione. Il corpo sulla pagina” era una mostra BBB che aspettavo con ansia, presentata nel palazzo della Fondazione del Monte: un allestimento decisamente classico, nel suo formato, ma con contenuti scelti con cura e disposti con grande cognizione. Il corpo è uno degli argomenti che ultimamente il fumetto sembra aver preso più a cuore. Lo trovo giusto: il corpo “altro” per troppo tempo è stato ignorato e ora si prende i suoi spazi.
La mostra ospitava tavole di Ted, un tipo strano di Émilie Gleason che non vedevo l’ora di vedere. Si tratta di un fumetto che mi ha emozionata nella sua semplicità, coloratissimo e a tratti concitato, racconta la quotidianità di un ragazzo autistico, ispirato al fratello (ma non al 100%) dell’autrice. Se c’è qualche insegnante che sta leggendo queste righe date una possibilità a questo fumetto, fatelo leggere.
La mostra ospitava altri tre artisti. Nicoz Balboa che era presente alla mostra in “incognito” (ma aveva una sciarpa troppo bella perché non la notassi e quindi mi accorgessi che era lì) mi ha veramente convinta con alcune tavole di Play with Fire (2020), e ora voglio recuperare tutto. TUTTO! C’erano anche dei lavori al pirografo che non sono i miei preferiti, mentre la forma del diario grafico che è stata usata per Born to lose (2017) mi ha fatta quasi piangere di bellezza, soprattutto recuperando l’intervista nel catalogo della mostra (a cura di Hamelin) ho capito il valore di ciò che ho visto esposto.
Cowboy (2020) di Rikke Villadsen è una storia di rinascita, una transizione metafora di liberazione dall’oppressione sociale che ricorda uno spaghetti western, la chiarezza del segno mette in contrasto questo lavoro con Tubercolosis 2020 (2020) sempre di Villadsen  che invece è densissimo nell’uso dei colori (ed è realizzato su carta a righe) che ti buttano addosso un forte senso d’ansia. Alla mostra le persone si fermavano molto tempo di fronte a questo lavoro, forse per capirlo bene e capendolo poter attenuare un pochino l’ansia che ne derivava. Il tema della malattia (in pieno Covid) unito a disegni che ricordano l’espressività di Edvard Munch è stato particolarmente difficile da gestire, almeno per me.
La quarta artista della mostra era Alice Socal, mi ha sorpresa perché mi sembrava contenesse diversi fumettisti in una personalità sola, ho temuto ci fosse un errore nelle etichette. Ha presentato tavole diversissime tra loro e mi sono decisamente affezionata a Pregnancy Cat (2019). La gravidanza è una trasformazione del corpo, indagata con gentilezza dall’autrice, che viene spesso lasciata al caso, quasi fosse un espediente narrativo (solitamente un intoppo o una prova da superare); difficilmente è considerata una normale scelta tra le opzioni della vita. 

“One step Inside”,la mostra di Tommi Parrish, era un trattato sull’animo umano. Il disegno dell’autric* passa dal coloratissimo al bianco e nero stilizzato e ha una grande abilità nel mostrare l’intimità dei protagonisti. Nella storia La Bugia e come ce la siamo raccontata, le cui tavole originali facevano parte  della mostra, ci sono moltissimi momenti di silenzio che rivelano lo stato d’animo dei personaggi. I corpi parlano, non solo esponendosi, ma anche trattenendo: mantenendo il silenzio, aumentando di pesantezza nei movimenti. La goffaggine dell’imbarazzo li inchioda. Il rifiutarsi di continuare a parlare di un argomento per loro penoso è sottolineato dal giochicchiare con gli oggetti sul tavolino di un bar. Corpi vicini che con la mente si sono già separati che comunicano loro malgrado.
La mostra di Parrish costava cinque euro (l’unica a pagamento) ma univa anche la visita al “Museo internazionale e biblioteca della musica” che è uno dei più belli di Bologna (non è un fumetto, ma se vi capita andateci). Non era una mostra di largo respiro ed era anche piuttosto claustrofobica nell’allestimento, ma ne valeva la pena. Se avevi visitato già il museo, quel costo poteva sembrare eccessivo, ma il ragionamento va visto in un’ottica tutta bolognese che forse da fuori non si capisce e, secondo me, vale la pena spiegare.
L’ultima mostra che ho visitato nella mia città è costata sedici euro, far pagare una cifra simile, soprattutto dopo questi due anni di persone che hanno perso il lavoro o che hanno comunque guadagnato di meno, mi sembra ancora più assurdo di quando le facevano pagare tredici, che era poi il costo della mostra su Andrea Pazienza. Fino all’estremo”. Il fatto che l’unico museo presente a BBB con una mostra costi cinque euro e comprenda anche la visita all’esposizione permanente è un buon messaggio di inclusività su un territorio dove la cultura costa salata.

L’Accademia di Belle Arti, in via Belle Arti (!), è un partner di BBB fin dall’inizio, e quest’anno il tema della loro mostra “Invisible lines landscapes, borders, revelations” è approvato dal club delle volpi romantiche che attendono piccoli principi alieni, infatti la descrizione sul sito di BBB dice: «Molti degli elementi essenziali della vita sono invisibili. L’amore, la fede, la paura, il senso di appartenenza a un luogo o a una comunità». Quindi ci si chiede: «Come può, chi racconta storie per immagini, trasformare tutto questo in qualcosa di leggibile?» Insomma, l’essenziale è invisibile agli occhi, no? La mostra in realtà parla di viaggio, perché è questo che hanno fatto gli artisti coinvolti in quello che è, in realtà, il risultato di un progetto europeo.
I disegni erano meravigliosi ma quello che ho visto è l’esposizione di un diario di viaggio collettivo, un carnet de voyage espanso. Non so se gli artisti hanno rappresentato il senso di appartenenza  degli abitanti dei luoghi che toccavano o le loro sensazioni. Non c’è nulla di male e non ho una risposta, ma il quaderno di viaggio è un’esperienza personale, un lavoro su sé stessi messi a confronto con “l’altro”, l’indagine è interiore. Non so. Non credo che riuscirò a sciogliere questo nodo ora, ma mi riprometto di provarci in futuro. C’è della bellezza anche nel portarsi una domanda insoluta a casa.

BBB ha anche un lato estremamente utile ai residenti: scoprire piccole botteghe, collettivi e artisti interessanti sul territorio che si potranno seguire anche quando il festival sarà terminato.
A Kartaclisma una delle copisterie in zona universitaria c’era “Icosahedron” di Alberto Cosenza (Alco Line), io ci sono finita per caso (perché mi facevano male i piedi ed è vicina all’Accademia).
La presentazione della mostra sul sito del festival diceva così:

«Mostra e presentazione del 4° volume della serie di fumetti “Fanzine Platoniche”»

Cioè niente, ammettiamolo. Proprio perché non dice niente, ve ne parlo io. Credo che sia stato il destino a farmi finire lì. Conoscevo già le opere dell’autore, le aveva attaccate in giro per Bologna tipo sticker. Mi è piaciuto vedere da cosa nascevano quelle scene che trovavo mentre giravo per strada, poi ho una passione per questo modo di fare arte, vado in giro per la città in “avventure” che io chiamo “cacce” per fotografare tutti i pezzi nuovi, ma anche quelli vecchi rovinati dal tempo. Torniamo a “Icosahedron” che è meglio. L’autore ha creato un mondo fantastico che scopriamo attraverso gli occhi di un protagonista (un alchimista) dalle dolci fattezze e con un buffo cappello. La sua avventura si dirama in sette volumetti autoprodotti la cui bellezza mi ha spinta a comprarli tutti insieme. Ho visitato la mostra mentre il proprietario della copisteria lavorava stampando una serie di sticker per un ragazzo. Chiacchiere sull’autore, sul mondo che ha costruito, sulla street art. Un scambio. Anche perché non c’era modo di non interagire. Poi io zitta non so stare.

Cammina, cammina… sono stata a visitare un collettivo che ha ospitato in residenza un’artista africana, quello che se l’è giocata con Fior all’inizio dell’articolo, diverse battute fa. Alla fine ho lanciato una moneta e il collettivo ha vinto. Ho avuto fortuna perché Collettivo Franco con “Welcome to Uhuru Republic” mi ha convinta anche se di fumetto non esponeva niente (e questo è uno dei misteri del festival del fumetto) e solo dopo aver visitato la mostra sono riuscita veramente a capire l’ampiezza del loro lavoro. Si tratta di un esperimento patrocinato dall’Ambasciata italiana a Dar Es Salaam: “Uhuru Republic” in sé è un collettivo che forma un gruppo musicale che ha fornito le musiche che accompagnavano la mostra.

Safina Said Kimbokota era la reale autrice delle opere esposte: scultrice e pittrice contemporanea, ha passato un periodo come artista “in residenza” a Bologna e la mostra è il risultato dell’esperienza. Il tema è quello del corpo dell’autrice e dei corpi spesso abusati delle donne in Africa. Anche se mi aspettavo fumetti la mostra mi è piaciuta.
Ancora di più mi è piaciuto visitare la bottega dove il Collettivo Franco opera. Ho trovato la stessa voglia di condividere un progetto che solitamente trovo negli eventi fuori mostra: inoltre mi è stato molto più chiaro il loro coinvolgimento, occupandosi di stampe artistiche e di sperimentazione grafica in generale.

La mostra a cui non sono andata…

…e mi sono morsa le mani è quella dedicata al fumetto “Da sola” di Percy Bertolini, attivista di “Non una di meno” che a Corticella (dove abitavo prima, alla periferia di Bologna) ha fatto un pezzo bellissimo (per i non avvezzi, un murales) sul muro vicino alla scuola media Panzini. Ne scrivo perché nonostante l’impossibilità di andarci ero così interessata che mi sono comprata comunque il fumetto a scatola chiusa (e ho fatto bene). La mostra prevedeva un percorso tra le tavole originali del fumetto e scannerizzando un QR code potevi ascoltare la musica che accompagnava l’esposizione. Un’esperienza immersiva che mi è dispiaciuto perdere, mi rimane il fumetto che è veramente un’opera di valore e che mi ha colpita sia graficamente che dal punto di vista della tematica. Se su qualsiasi canale che condivide musica uscisse la “colonna sonora” della mostra farei volentieri una rilettura del fumetto lasciandomi accompagnare dalle scelte musicali di Percy Bertolini, anche un CD andrebbe bene. Anche un file mandato in mail. quello che volete… vi prego.

BBB non è un festival che fa dell’allegria e della condivisione il suo punto di forza. Ha ambizioni intellettuali alte, ma declinate secondo il modello «Io che sono esperto parlo, tu ascolti». Non sono andata a nessuna delle conferenze contando sul fatto che avrei recuperate le registrazioni con tutta calma.
Se si vuole uno scambio, un contatto, bisogna seguire il filo delle autoproduzioni, delle case editrici piccole (che ci sono). Chi va al BBB sa che sta andando a vedere dell’arte e le mostre classiche creano un senso di distanza che non vorrei vedere. Però il tema del corpo è importante e la maggior parte delle mostre proposte aveva un grande valore: il tema dell’inclusività non è scontato, i lavori degli artisti che ho potuto vedere in mostra erano incisivi e assolutamente espliciti nell’intento di dar voce al proprio io.

Così ho camminato tantissimo, mi sono infilata in un sacco di mostre, alcune mi hanno lasciata con una gran voglia di approfondire tematiche e autori. Insomma, che c’importa delle vesciche ai piedi quando dentro il cuore canta?

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