Imbattersi nelle storie in modo totalmente casuale è una condizione comune a tutti.
Per esempio a me capita, alle volte, che il caso bussi alla mia porta recando con sé una canzone, un film, una scultura, un quadro, un libro o un fumetto. È andata così anche con Paperin Pigafetta: Oltre i confini del mondo di Pietro B. Zemelo e Paolo Mottura. Una storia lunga quattro capitoli, distribuiti tra “Topolino” #3441 e “Topolino” #3444.
Nel corso di questo 2021 ho acquistato il settimanale Disney edito da Panini Comics, tutte le volte in cui l’albo ha proposto racconti di autori e disegnatori per me più interessanti o con i personaggi cui sono affezionato. Giunto però, alla settimana del 3 novembre, ero deciso a saltare l’acquisto, più per mancanza di tempo che per disinteresse: ero rimasto indietro con la lettura del numero precedente e non mi sembrava intelligente accumulare perfino “Topolino” nella pila degli arretrati.
Per caso, scrollando Facebook, mi è passato sotto gli occhi un post sibillino, in cui si parlava di una storia del Topo ambientata nella mia adorata Padova. Mah! Non mi risultava, ma ci poteva stare: il vero Pigafetta era di Vicenza, vuoi che non sia passato nella città del Prato della Valle? Un po’ scettico, sono andato in edicola e ho comprato il volumetto. Ahimè! Di Padova non c’era traccia, stupido io a non aver verificato la notizia.
Dopo aver sfogliato il primo capitolo di Paperin Pigafetta: Oltre i confini del mondo, l’unico in cui avrei potuto vedere qualcosa della mia città, ero piuttosto deluso. Non sapevo ancora che, invece, dopo averlo letto ne sarei stato decisamente soddisfatto.
Uno degli elementi apprezzabili del settimanale Disney consiste nella presenza di testi informativi sulle persone, i fatti e gli oggetti che, in un modo o nell’altro, riguardano o influenzano le storie pubblicate nel periodico. Grazie a questi brevi saggi dal taglio divulgativo, ho scoperto che Antonio Pigafetta, viaggiatore e scrittore, partì da Sanlùcar de Barrameda (Spagna) insieme a Ferdinando Magellano, nel 1519, per intraprendere la circumnavigazione del globo. Potendo osservare tappe ed eventi dalla posizione privilegiata di uomo di fiducia del comandante, prese appunti sul viaggio e sulle numerose peripezie dell’equipaggio, per poi scrivere la sua Relazione del primo viaggio intorno al mondo. Mentre Magellano purtroppo non fece ritorno, poiché morì nel 1521, Antonio si trovava a bordo dell’unica caravella che, nel 1522, tornò al punto di partenza.
Dopo essermi fatto una cultura sull’autore di quel particolare diario di bordo, scritto in una lingua mista di italiano, di spagnolo e di portoghese, mi sono imbarcato insieme a Paperino (Pigafetta), Zio Paperone (Magellano), Pico (Barbosa), i nipotini e i Bassotti, facendomi guidare dai testi e dagli storyboard di Zemelo, che riprende lo stile del navigatore vicentino mescolando di tanto in tanto le tre lingue usate da Pigafetta. Poi, appena cominciata la lettura, mi sono trovato piacevolmente avvolto dal tratto elegante ed espressionistico di Mottura.
L’artista raffigura in modo realistico le imbarcazioni e gli oggetti che si trovano a bordo, dona profondità alle vignette in cui si vedono le distese oceaniche solcate dalle caravelle e, soprattutto, popola le tavole di personaggi vivi, emotivi, scavati e fortificati dalle esperienze, pronti a mettere da parte il buonsenso per coronare un sogno e portare a termine una missione di carattere scientifico ed economico. Grazie alle matite di Mottura, sembra che tutti – paperi e canidi – agiscano in nome di un bene (o un male) superiore, sebbene in realtà la maggior parte di essi si muova per cause personali e contingenti. Se il Male è subito evidente, perché ha i volti e i corpi goffi dei Bassotti, il Bene esce da una sorta di lavaggio in lavatrice. Paperone/Magellano è avido, avaro e dispotico; Paperino/Pigafetta è pigro pavido e iroso; Pico noioso e petulante; i nipotini frenetici. Eppure tutti riescono a fare appello a un grande cuore e forse è proprio una cosa che capita quando si è in mezzo all’acqua e si rischia di andare alla deriva o naufragare, se è vero che, sballottato tra i flutti dall’ira di Poseidone, Odisseo si rivolse implorante al «magnanimo cuore» per resistere, lottare contro gli strali del dio e approdare a Scheria, l’isola dei Feaci (Odissea, libro IV, traduzione dal greco di Ettore Romagnoli).
Il mare, con le sue insidie, costringe a ripensarsi tempestivamente, ad apprendere dalle disgrazie e dalle avversità, per diventare migliori, non per forza eticamente e non per forza uomini: paperi migliori. In realtà lo so, lo Zione non è cattivo, Donald Duck non è uno scansafatiche, anzi, probabilmente è uno dei più grandi avventurieri dei fumetti! Ma dovrei tenere a mente che loro due, in questa storia di Zemelo, prestano le fattezze a personaggi esistiti per davvero. Eppure è impossibile: come faccio a staccare Magellano e Pigafetta dal multimiliardario e dal presunto lavativo? Non ci riesco e credo che sia giusto così: alla fine mi interessa davvero di Magellano e Pigafetta o voglio vedere come faranno Paperone e Paperino a cavarsela ancora una volta?
Quello che da alcuni lettori potrebbe essere considerato – anche a ragione, non lo nego – un limite della sceneggiatura, per me diventa un pregio, perché, inghiottito nelle tavole di Mottura, mi ritrovo in ansia per la sorte di coloro che furono i miei eroi in quel periodo di formazione che furono gli anni a cavallo tra scuole elementari e scuole medie.
Ora c’è l’occhio più esperto di chi riesce a cogliere la particolarità di alcune inquadrature dall’alto, gli schemi delle 2×3 vignette per pagina e delle 2+1+2, la rottura degli schemi stessi, che è sempre la parte più bella e attesa. Almeno per me – e per Eugenio Montale che nelle sue poesie più mature costruiva dei paradigmi al solo fine di sgarrare. Ah, che soddisfazione!
Ecco le rotture. “Topolino” #3441, p. 15: la tavola si apre con una vignetta verticale, contiene la figura intera di Paperone/Magellano, qui alla sua prima apparizione nella storia. Non può essere introdotto come tutti gli altri; dato il suo carisma, merita una scelta narrativa direttamente proporzionale.
“Topolino” #3442, p. 38 e p. 56: nel primo caso, la griglia è divisa in due soli rettangoli, uno piccolo e uno grande, entrambi con una nave come soggetto di rilievo. L’imbarcazione è preda delle correnti e finisce irrimediabilmente per schiantarsi. Prima è piegata verso il bordo esterno della tavola e poi, a impatto con gli scogli avvenuto, verso l’interno. È chiaro, il disegnatore non ha bisogno di aggiungere nulla, perché il movimento dice tutto. Nel secondo caso, la gabbia è assente, si fonde con la pagina, praticamente una splash-page: le vignette diventano rotoli sgualciti di pergamena che racchiudono i primi piani enfatici dei personaggi, mentre reagiscono alla vista delle fiamme che circondano le navi. Il secondo capitolo è terminato, il colpo di scena è servito.
“Topolino” #3443 è ricco di increspature, ma quelle che mi colpiscono di più si trovano a p. 39 e a p. 40: dalla figura di Scrooge McDuck originano (o confluiscono nella silhouette del papero?) quattro immagini sghembe e sfumate; giro pagina e in una suddivisione 2+1+1, il rettangolo centrale è lungo e sottile, ampio solo quel tanto che basta per soffermarsi sugli occhi di uno Zione deciso, risoluto, assetato di gloria, avventura e, ovviamente, ricchezza.
Infine, “Topolino” #3444, il capitolo conclusivo e quindi con il portato emotivo più deciso. Zemelo ha confezionato a dovere il racconto: nei primi due albi ha dato spazio allo spettacolo più che alla passione, ha giocato con il cuore dei personaggi più che con quello dei lettori; nel terzo ha deciso di emozionare, ma è nel quarto che commuove.
Non lo so, forse non sono più abituato a fumetti pieni di buoni sentimenti. Però quando li leggo, se li percepisco come genuini, sono ancora capace di farmi raggiungere nel profondo, nel «magnanimo cuore».
I testi dell’autore sono ispirati, sento che lui stesso si è fatto spingere dai venti oceanici, probabilmente ha anche lasciato a Mottura carta bianca: per la serie, fai come ti pare e dai il meglio di te. In un episodio con varie «uscite di strada», tra cui due tavole affiancate (pp. 108-109) liquide, moderne e classiche allo stesso tempo, con una colorazione tendente al grigio diversa da quella molto dinamica di tutto il resto, a colpirmi di più è p. 100. Tre strisce verticali strette e lunghe, quasi una novità per gli standard disneyani, per questo Paperin Pigafetta: Oltre i confini del mondo, ma non certo originali in generale. Striscia #1, niente da segnalare; striscia #2: al centro Paperone declama versi di sollievo e giubilo; striscia #3: al posto del comandante c’è una fiamma che arde, intorno a essa si continua a cantare. È una metafora delicata e potente: la Storia ci insegna che Magellano non è tornato in Spagna, ma nella storia il fuoco che ha ispirato il viaggio arde nei cuori, ancora loro, dei paperi sopravvissuti. Saranno magnanimi una volta di più? Porteranno a termine la missione?
Sognava di diventare un calciatore professionista, ma a sedici anni si è svegliato e l’incubo è cominciato. Continua ad amare il calcio tanto quanto ama leggere fumetti di tutti i tipi. Cerca di sbarcare il lunario, scrive per QUASI e Lo Spazio Bianco, parla per il podcast hipsterisminerd e per LSB Live.