Nell’ultima sequenza di Inception, dopo che Cobb ha fatto girare la trottola e si è mosso verso i figli ritrovati per abbracciarli, la camera lo lascia e, con un fluidissimo dolly verso destra, stringe il nostro sguardo sulla trottola che gira. Appena la trottola comincia a rallentare, una dissolvenza al nero chiude l’inquadratura e il film finisce.
Non vediamo la trottola cadere. Ma assistiamo al suo rallentamento, durante il quale il suo asse, che finché la trottola ha girato velocemente si è mantenuto verticale, si piega lateralmente e comincia un’ulteriore rotazione conica attorno alla verticale che passa per il punto in cui essa appoggia sul piano.
L’ossessione di Christopher Nolan, e lo dimostrerà apertamente in Dunkirk e Tenet non è la realtà (racconta storie con le immagini, che gliene può fottere della realtà?), ma il tempo.
La trottola di Inception non è un rivelatore di sonno o di veglia, di sogno o realtà; infatti nell’ultima sequenza rallenta, si inclina, sta per cadere. Quella trottola è piuttosto un indicatore temporale, con la stessa precisione (almeno) di un orologio meccanico.
Ma ora non ti voglio annoiare con le mie idee sul cinema di Nolan (ci dedicherò un saggio, prima o poi, e tu, a seconda di come la preferisci, leggila come una promessa o come una minaccia).
Questo lungo incipit mi serviva per dirti che è vero che il tempo è una convenzione, ma come lo è qualsiasi altra unità di misura. E ne abbiamo un fottuto bisogno.
Riflettici. La Terra, questa «zolla nel sole», si comporta – per questioni gravitazionali che non credo di aver ben compreso – come la trottola di Cobb. Oltre a girare intorno al proprio asse e a quello della sua stella, compie una terza lenta rotazione, conica, attorno alla stella Polare. Lenta è un eufemismo. Se la trottola ci mette di meno di qualche frazione di secondo a compiere la sua rotazione conica e a inclinarsi, la Terra ci impiega qualcosa come 26.000 anni. Oggi siamo più o meno a metà del cammino. Tra 13.000 anni la Terra avrà compiuta questa rotazione, a quel punto il suo asse avrà subito un’inclinazione, come quello della trottola, e sarà Vega, non più Polaris a indicare in Nord.
Ecco. Il tempo è un’unità di misura dello spazio. E se sei un lettore di fumetti, questo lo sai bene.
Nel tempo che il nostro globo si fa un giro intorno al Sole, percorre la ventiseimillesima parte del suo giro intorno all’asse del polo nord. Altro che convenzioni, nei trecentosessantacinque giorni appena trascorsi abbiamo percorso un sacco di strada. E siamo subito ripartiti per percorrerne un sacco d’altra. Festeggiare questa cosa, augurarsi buon anno, significa augurarsi di fare un buon viaggio. Soprattutto se quello appena terminato non è stato un granché; anzi, addirittura un viaggio duro e difficile.
Vabbè, non voglio ammorbarti con i motivi per cui questo 2021 non è stato un viaggio piacevole (molti, in fondo, saranno anche i tuoi) però mi va di dirti quali sono stati i pochi momenti di piacevolezza (quelli almeno che posso dirti qui). Anche se Leo Ferrè parlava degli anarchici, per quantificare quei momenti valgono questi suoi versi: «Y’en a pas un sur cent, et pourtant… ils exixstent».
A questa brevissima lista, devo però premettere due avvertimenti.
Uno. Non porto a Umberto Eco la devozione che gli stanno tributando in tanti con il pretesto del novantesimo anniversario della sua nascita (anniversario che risale a qualche giorno fa), ma c’è una cosa che sosteneva (mi sembra tu la possa andare a leggere in Apocalittici e integrati) che condivido: quello che ognuno di noi è “massa”, senza eccezioni. Conscio di questo, non ho nulla contro la cultura pop, popolare o di massa o industriale (chiamala come vuoi); ritengo, anzi, che ci sia più complessità nella più “stupida” delle canzonette che in tutto il pensiero di Massimo Cacciari. Per questo non c’è nella mia lista nessun giudizio di valore: né etico, né estetico. Quello che mi piace ha per me immediato valore d’uso. Mi serve per completare un altro tassello della mappa del mio immaginario. Che probabilmente sarà completata tra ventiseimila anni.
Due. Oltre a quello che bevo e che fumo, durante il viaggio leggo, vedo e ascolto un sacco di roba. Non so se di tutta questa roba, quello che mi piace è l’uno per cento, ma siamo lì.
Fumetti: Di fumetti ne leggo forse più di quanti ne escano in Italia (sì, compro direttamente dai mercati anglosassone, francese e spagnolo). Di solito, prima o poi, di quello che ho trovato importante ne scrivo, qui o altrove, quindi, adesso mi risparmio la fatica e ti dico i quattro titoli che hanno contato (per me) in questo 2021.
Prima di tutto tocca nascere di Michela Rossi; L’uomo di Tsushima di Bonvi; Visa Transit 2 di Nicholas De Crecy; Black Kiss di Howard Chaykin. Sì, è strano. Su quattro titoli solo due contemporanei. Dà da pensare.
Romanzi: in questo 2021 l’unico romanzo che mi è rimasto tra le mani anche dopo pagina dieci, è Billy Summers di Stephen King. Che cazzo devo dirti, è dai tempi di Dolores Claiborne che non mi capita di non piantare un romanzo di King alla decima pagina. Da questo, invece, non sono riuscito a staccarmi. Il Re è tornato, con una delle più potenti riflessioni sulla responsabilità della scrittura (altro che le puttanate di On Writing) e sulla competenza del lettore, di cui nessuno dei suoi esegeti italici si è accorto (qualcuno ha parlato di riflessione sul potere catartico della scrittura, ma vaccagare!. Mi convinco sempre di più che chi parla e scrive di libri in Italia non capisca nulla. E come sempre devo fare tutto da solo.
Saggi: sono la mia lettura preferita. Ne ho letti davvero un sacco (non necessariamente usciti nel 2021), e qui l’uno per cento lo sforiamo alla grande. Quasi tutti che mi sono serviti per le cose che ho scritto o che mi serviranno per i prossimi saggi. Tra quelli usciti negli scorsi trecentosessantacinque giorni, mi sento di citarti: Wonder Woman: Un’amazzone tra noi di Francesco Milo Cordeschi; Il mostruoso femminile di Jude Ellison Sade Doyle; La lingua che cambia di Manuela Manera; Corto Maltese dietro le quinte di Augusto Q. Bruni.
Film: Tra film e serie ho speso forse pure troppo del percorso di questo viaggio 2021. Che ho trovato importanti: Un altro giro di Thomas Vinterberg (lo so, è un film del 2020 ma io l’ho visto nel 2021); Josep di Aurel (anche lui è del 2020, ma io l’ho visto in sala la scorsa estate).
Concerti: gli ultimi due sono stati anni pesanti per l’impossibilità di andare ad ascoltare musica dal vivo. Mentre ero a Trieste, lo scorso 20 agosto, sono incappato in Campo San Giacomo in un concerto, organizzato dai ragazzi del gruppo anarchico Germinal del mio carissimo amico Alessio Lega. Abitiamo nella stessa città, a pochi isolati di distanza, e non ci si vede mai. Sentirlo, per le strane circostanze del caso, in terra friulana cantare in milanese le canzoni di Ivan della Mea mi ha rinfrancato il cuore.
Tu puoi sempre ascoltarti il suo album, uscito proprio quest’anno, dedicato al Mea: Canzoniere della rivolta. Alessio Lega canta Ivan della Mea. Ti piacerà, giuro.
Dischi: te li racconto nella playlist mensile.
Non fa un cazzo da anni, ma è invecchiato lo stesso. Vive a Milano, e non potrebbe farlo in nessun’altra città italiana. Legge e parla di fumetti dal 1972 (anno in cui ancora non sapeva leggere). Ha una cattiva reputazione, ma non per merito suo. Ama e praticava la boxe, poi si è rotto. Beve tanto in compagnia di gente poco raccomandabile, tipo Paolo con il quale – per colpa di una di quelle bevute – si è ritrovato a curare QUASI.