Total overfuck di Miguel Ángel Martín è una lettura indigesta, sovraccarica e perversa. Così indigesta, sovraccarica e perversa da risultare di una scorrevolezza sorprendente, considerata la materia decisamente greve: la violenza sessuale e l’omicidio – soprattutto femminicidio e infanticidio (ma qui può pure capitare che anche donne e bambini stuprino e ammazzino) – come pressoché unici strumenti di relazione sociale e individuale.
Questo in virtù di:
- Il disegno pulitissimo – linea fluida e sottile, bianco/nero binario quasi senza ombreggiature, qualche raro retino – e accattivante (volti a cuore, occhi lunghi, bocche morbide, mani affusolate, corpi longilinei, tette rotonde, chiappe compatte);
- I dialoghi sobri, asciutti, spogli – efficacissimi;
- Gli ingranaggi ben lubrificati del montaggio, di inquadrature mobili: alternanza di primissimi piani centrati su dettagli corporei (genitali, principalmente, frammenti di corpi, a volte ancora vivi, più spesso deturpati a seguito di disturbanti pratiche orgiastiche) e oggetti (armi, strumenti di tortura, escrementi, sex toys o qualsiasi utensile adatto o meno a penetrare uno sfintere), a campi lunghi e alti di interni di case di maniaci – non tanto rifiuti della società, quanto psicopatici funzionali perfettamente integrati nel loro sistema – tra prospettive schiaccianti e punti di fuga vertiginosi, con esiti di asfissiante claustrofobia;
- Lo schema narrativo delle storie brevi (dalle 2 alle 4 tavole) raccolte in questa edizione. Scarni, ripetitivi, monocordi, gli episodi si svolgono lungo 3 momenti: situazione data (due o più corpi si incontrano) – svolgimento (tortura sessuale variamente inflitta) – epilogo (morte/devastazione di uno o più corpi coinvolti).
C’è anche una sezione a colori – più cauta, direi – in cui prevale il pornazzo consensuale: questa parte perde in carica eversiva, ma è comunque godibile per coloro che amano il genere. Il prodigioso dinamismo del montaggio la rende avvincente, suscita meraviglia e senso di avventura. Io però sono pedante, piuttosto mi piace speculare: il roseo e gommoso autocompiacimento dopo un po’ mi annoia.
Insomma, Total overfuck è uno di quei libri di cui è meglio non scrivere, se non vuoi che tutti pensino che ti diverti a vedere i bambini che soffrono [guess what: tristemente, esistono individui che lo preferiscono davvero, e certo non perdono il loro tempo a leggere fumetti, ma questo solo pochi eletti lo sanno]. Leggilo per tirartela da intellettuale liberale, quando vuoi dimostrare a te stessa che c’hai uno stomaco di ferro e niente può scalfire lo statuto di razionalità che ha raggiunto la tua capacità analitica. Ecco, quando praticamente sei un Super Saiyan livello Dio della lettura critica puoi metterti anche a guardare questa roba qui senza scomporti.
Io sono ben lontana da questo traguardo, quindi ne sono uscita frastornata – ma molto ammirata per l’operazione – e con in mente una serie di riferimenti e precedenti letterari/cinematografici/fumettistici: dall’adorato Baldus di Folengo (un po’ più comico, però, quindi un po’ più digeribile), a Salò di Pasolini (argh), Arancia Meccanica (cinebrivido), Bastogne di Enrico Brizzi (che bello anche l’adattamento a graphic novel, pastiche pazienziano), Suor Dentona del maestro Scòzzari o quei suoi fumetti raffiguranti vulve sovradimensionate e completamente slabbrate. Lui ci si divertiva, però; Total overfuck piuttosto mi colpisce per quella precisione metodica, senza estro sperimentalista, da cui emerge più che il divertimento di fare con i corpi quello che ti va perché sei un disegnatore della madonna, la tenacia e perseveranza nello scavo di turbe sessuali. Sempre per andare a parare nell’assodata letteratura, mi immagino Miguel Ángel Martín come la Battistina del Barone Rampante, «che scarnificava pollastri con un accanimento minuzioso, fibra per fibra, con certi coltellini appuntiti che aveva solo lei, specie di lancette da chirurgo».
In altre parole, in una dimensione parallela quest’opera non è un fumetto, ma un trapano.
Grazie a Dio, in questa dimensione possiamo guardarlo e apprezzarne il risultato (e, fumettisti, vi prego continuate a fare roba di questo genere): la pace, a cui si arriva per contrasto, tramite l’adynaton, l’accumulo di situazioni turpi, schifo e violenza. Il mondo potrebbe essere così, e invece è bello essere al sicuro da tutta questa roba: leggetelo per sublimare, per sfogarvi, perché così saprete come non rendere la vita del prossimo un inferno, come trattare gli altri con gentilezza. Aiutateli a costruire la loro pace: siate delicati con gli altri. Altrimenti poi diventano come i personaggi di Martín. E quando/se diventano così sono comunque una parte della società e non possiamo fare finta che non esistano.
NB: questo è uno dei risvolti, ma non è precisamente il punto: come dice Martín, «sono un artista e come tale non ho una responsabilità sociale né simpatie etiche». Marziale l’avrebbe messa giù così: «Lasciva est nobis pagina, vita proba» – e, per gli amici filologi, se vogliamo rispolverare qualche altro luogo comune della letteratura, potremmo dire che si tratta di un enueg in forma di fumetto (ullallà!).
Mi stavo dimenticando di 2 cose, le scriverò coi bullet point, visto che se no poi la gente si perde:
1) chi apprezza il disegno di Charles Burns (e chi non lo apprezza!?), informatissimo dal supereroico anni Quaranta, declinato in chiave metafumettistico-decostruttiva, gradirà anche questo;
2) che edizione mirabile NPE 2021! Quando vedo, applicati alla confezione del fumetto, apparati critici così ben strutturati, completi e organizzati ai fini dell’apprendimento della vicenda editoriale nel contesto socio-storico (un altro esempio era l’illuminatissimo Ranxerox di Comicon Edizioni 2012) – come dire – ghe sboro. E poi, e poi, in un mondo in cui superficialità e censura si insinuano sin nelle più nobili cause, rendendone gli attanti nonpropriosempremainfintroppicasi intolleranti e bacchettoni, l’attitudine a contestualizzazione, approfondimento, analisi, condivisione di conoscenze e riflessioni – in merito a un’opera di intenti complessi come questa – non possono che fare bene al mondo tutto.