(Le illustrazioni sono di Lucia Lamacchia, che è responsabile di quanto segue almeno quanto lo sono Ugo e Michel.)
Cazzo! Cazzo! Cazzo! Questa situazione l’ho già vissuta. I due energumeni con la pistola, pronti a pestarci per bene. Magari poi ci seccano con due colpi in testa e ci lasciano in mezzo alla palude. Eravamo in tre l’altra volta io, Michela e Michel. E Michel ha fatto la sua cosa Bruce Lee e li ha usati per pulire il pavimento, mentre io e Michela avevamo ricevuto un cazzotto a testa.
Siccome non impariamo mai niente, eccoci di nuovo nella stessa situazione. I due sono più attenti, hanno già le pistole in mano. E Michel non c’è. Nessuno tirerà calci e sberle come un monaco shaolin a ‘sti due.
Cazzo! Cazzo! Cazzo! Non poteva venirmi in mente prima. Siamo partiti sicuri che fossero venuti nella redazione di “Cash art”. Siamo saliti come visitatori regolari, che ormai siamo sempre qui, convinti che avremmo trovato Michel e Christine già in ufficio a ottenere chiarimenti. E invece niente. Due idioti che si infilano disarmati in un posto pericolosissimo. Ci hanno guardati e sembravano spaventati. Ho alzato le mani davanti al busto in un gesto pacificatore, ho salutato e ho detto che avevamo sbagliato ufficio. Avrei anche imboccato la porta a passo spedito se Michela non fosse rimasta immobile.
Cazzo! Cazzo! Cazzo! Mica lo so cosa ci hanno visto in quello sguardo quelli lì. A me ha fatto un po’ paura. Sembrava assente, completamente privo di lucidità. Le ho messo le mani sulle braccia per spingerla verso l’uscita e quelli hanno estratto le pistole. Ora siamo qui. In quella situazione che nei film ti aspetti che da un momento all’altro debba esplodere tutto. Uno stallo alla messicana, non fosse che non stiamo minacciando nessuno e tutte le pistole sono puntate su di noi. Ecco… La peggiore delle situazioni.
Cazzo! Cazzo! Cazzo! Uno stallo alla messicana sbagliato. Che a me sarebbe piaciuto trovarmi in una di quelle situazioni in cui sai che bisogna uscire lentamente perché se non lo fai si muore tutti. Qui rischiamo di morire solo noi.
E dove cazzo è Michel quando serve? Io mica le so fare le tecniche di Hokuto. Sono quello gentile della coppia. Mi invitano a cena perché ho un sacco di argomenti di discussione, mica perché, se entrano i servizi segreti israeliani dalla finestra, sono in grado di ammazzare tutti senza rovesciare il calice e gualcirmi il gilè.
«Sentite, ragioniamo.», dice Ugo, «Nessuno vuole farsi male. Secondo voi il Jackie Chan che vi ha battuti come tappeti l’altra volta starebbe con uno che non è alla sua altezza?»
Guittoni e i due molossi fissano la coppia senza dire nulla. Le pistole levate all’altezza del viso non si spostano di un centimetro.
«Noi adesso scompariamo da quella porta, esattamente come siamo apparsi.», prosegue Ugo con voce ferma, «E nessuno si fa del male.» Dopo una breve pausa, gli scappa un «Va bene?» e, in quel momento, si rende conto che tutti i suoi sforzi di essere convincente sono sfumati in un attimo. Come diceva Topor, un grammo di caviale in un chilo di merda non cambia niente; un grammo di merda in un chilo di caviale rovina tutto.
«Adolfo, Benito, questi due stanno diventando una seccatura pericolosa.», constata Guittoni, «Adesso li massacrate di botte, li portate fuori da qui e fate in modo che io non li riveda mai più.»
Il cane da rapina con il tatuaggio sul collo si avvicina, tenendo la pistola davanti a sé. Un sorriso gli increspa la faccia di cuoio. Ugo solleva le mani inconsapevolmente. Mentre si chiede perché cazzo si sta comportando come in un film western, si accorge che l’aria vibra pianissimo. Poi sempre di più. Ci mette alcuni secondi per capire da dove arriva quel rumore basso e crescente: è Michela che ringhia. Il sicario tatuato fa un passo avanti e le sferra un manrovescio.
La testa della donna rimbalza all’indietro, mentre esplode una nuvola di capelli ricci. Il ringhio diventa un urlo, un ruggito, e Michela salta afferrando per il collo l’aggressore. La pistola cade. Il tacco della scarpa sinistra di spezza. I due corpi atterrano sulla scrivania di Guittoni e il rumore che fa la schiena del tatuato sembra il preludio a una lunga degenza in traumatologia.
Il secondo sicario punta la pistola a due mani, mentre Guittoni, chiaramente in traiettoria, strilla di non sparare.
Un altro stallo messicano sbagliato che si interrompe in fretta. Le ruote metalliche della sedia da ufficio si abbattono sul cranio dell’uomo armato. Il grido che si sente, stavolta, è quello di Ugo.
Mentre Michela mostra i denti, Ugo parla con voce tremante: «Adesso, stronzo, se non vuoi che la mia amica ti strappi la giugulare, ci parli di quella statua e ci dici tutto quello che sai di quella lettera del cazzo.»
Siamo seduti in un bar in cui non ci hanno neanche chiesto il green pass. Michela si è fatta portare del ghiaccio e lo tiene sulla guancia. Siamo conciati come se avessimo partecipato alla festa di compleanno di un campione di MMA clandestina. La famigerata indifferenza meneghina, in questo momento, è una fortuna.
Ho mandato un messaggio a Michel. Gli ho raccontato tutto e gli ho detto dove siamo.
Ancora neanche le due spunte blu.
Aspettiamo.
Queste attese mi sfiancano.