Succede sempre così. Avevo appena pubblicato la lista dei miei fumetti del 2021 e me n’è capitato in mano uno, edito in Italia nell’anno appena concluso, che avrebbe facilmente conquistato il suo posto tra gli altri. Lo so. Andrà così per i prossimi sei mesi almeno. E sono certo che, pure tra qualche anno, troverò un gioiello disperso che mi farà maledire per la mia distrazione.
Editori, autori, sappiatelo! Sono un lettore: sono distratto. Come succede a tutti i lettori, mi capita di ignorare cose che mi avrebbero fatto bene. Se avete fatto un fumetto che avrei dovuto leggere, ditemelo. Non vi sto chiedendo di spedirmelo, sia chiaro. Non chiedo regalie. I miei fumetti li compro. Vi dico di dirmelo con chiarezza senza affogare l’informazione nella decina di comunicati stampa tutti uguali e scritti male (Oh! «Tratto da una storia vera» e «Da questo libro il film con…» non sono delle ottime motivazioni di vendita).
Comunque, durante i giorni inquieti delle festività comprese tra il solstizio d’inverno e l’arrivo della befana, mi sono infilato in una libreria e ho comprato Karmen di Guillem March. Quella copertina rossa, bellissima, mi guardava dagli scaffali da almeno sei mesi e io, sdegnoso e altero, l’ho ricompensata con la mia indifferenza, almeno fino a qualche giorno fa. Poi, senza motivo, mi sono lasciato sedurre da tutto quel rosso: la campitura, i capelli le lentiggini.
Non conoscevo March, un catalano che ha disegnato parecchio per DC Comics, e non sono mai stato a Palma di Maiorca che, oltre a essere la città dell’autore, è il luogo in cui è ambientato il fumetto.
Aggiungo poi che mi pare che questo libro sia stato ignorato da quasi tutti, e le poche recensioni che si trovano in italiano sono dei riassuntini della vicenda narrata.
Parto proprio da lì, dalla vicenda narrata. Karmen racconta una storiella solida e insulsa, scandita con tutti i crismi e rispettando tutte – ma proprio tutte – le aspettative del lettore. Un raccontino che si colloca tra Ghost di Jerry Zucker e A Christmas Carol di Charles Dickens (entrambi esplicitamente citati) e se fosse ricondotto unicamente alla sua trama emanerebbe un mortifero olezzo di noia.
Poi c’è il fumetto.
La prima cosa che colpisce, iniziando a sfogliare Karmen, è la precisione. La precisione dei corpi, della recitazione, dell’espressività. Poi lo sguardo si allarga e cattura la scelta degli abiti, degli arredi, degli ambienti.
La pagina ha una tenuta straordinaria. Una scansione da fumettista nordamericano, montata su un modulo narrativo europeo. E poi ci sono quei colori che definiscono con chiarezza il calore del racconto e sentono della palette inconfondibile del galiziano Miguelanxo Prado.
Dopo la sequenza che mette in scena tutti gli attori del dramma, compare il personaggio che dà il titolo al volume. È un angelo della morte che, di mestiere, accompagna i defunti dall’altra parte, un luogo misterioso dove resteranno in attesa della reincarnazione. Uno spiegone, diluito lungo le pagine, ci dice che gli dei che gestiscono la vita sul pianeta hanno permesso una forte burocratizzazione del processo di metempsicosi. Una App sul cellulare dell’angelo produce un indicatore cromatico che dice se, al prossimo giro, l’anima si piazzerà peggio (“rosso”) o meglio (“blu”) rispetto all’affrancamento dalla materia. Gli angeli della morte sono figure femminili, con il volto ben visibile e il corpo completamente nero, in cui si vede chiaramente un apparato o un sistema. Karmen, il nostro angelo, mostra il suo scheletro. Il disegno di quel corpo urla bravura in ogni singola quadretto.
Quando arriva nel palazzo in cui viveva Catalina, Karmen sale le scale. March si concede inquadrature audaci che ricordano gli inizi di Rork di Andreas. Ma là dove il tedesco esibiva maestria e virtuosismi, le pagine di March scivolano con normalità, quasi quella specifica inquadratura – dal basso o dall’alto – fosse l’unica sensata. Di Karmen vediamo la silhouette del corpo e lo scheletro.
Basterebbe il gigantismo esuberante mostrato nella rappresentazione delle anatomie umane a rendere Karmen un libro fondamentale da far assurgere a manuale di disegno per generazioni di fumettisti che rischiano di precipitare nell’autocompiacimento del loro “disegnare male”, qualunque cosa ciò voglia dire.
Nessuno esige mimesi o realismo ed è chiaro che il fumetto è un mestiere che paga poco e chiede troppo in termini di impegno e tempo, ma è anche vero che nessuno, nessuno, è obbligato a farlo.
Mentre Karmen sale le scale, c’è un punto in cui March pare omaggiare (citare, o copiare, o quello che preferisci) Elektra Lives Again di Frank Miller. E quel richiamo esplicito mi costringe a guardare meglio. Da quel momento Karmen diventa un territorio narrativo in cui – non posso dire con quale grado di consapevolezza – March srotola davanti agli occhi del lettore la storia del fumetto. Ha metabolizzato le lezioni di Fred, di Goossens, di Harvey Kurtzman, di Hugo Pratt, di Paul Pope, di Atsushi Kaneko, di Bernie Krigstein. E sto citando solo le scelte di montaggio (o le citazioni, o i calchi) che mi appaiono più evidenti.
Quando Karmen e Catalina escono di casa, l’accenno a Miller di poche pagine prime arretra fino ad avvolgere il fumettista italiano che aveva ispirato la costruzione della pagina di Elektra: sulle scale i personaggi si muovono proprio come quelli messi in pagina da Gianni De Luca nella trilogia shakespeariana.
La scelta di non rinunciare mai a elementi separatori scenici che staccano un quadro dal successivo rende evidente quanto March abbia guardato Romeo e Giulietta.
E mentre sono perso in questi pensieri, inizia la sequenza del volo. E c’è Palma e l’amore per la città. Ma ci sono anche vedute aeree che riecheggiano Little Nemo in Slumberland, ma passando attraverso Little Ego di Vittorio Giardino.
Stupito dalla consapevolezza dell’autore, mi sono messo a cercare altri lavori di March. Ho sfogliato qualche albo DC in rete e mi è parso di trovarmi di fronte a un disegnatore bravo; uno come molti che lavorano per l’industria statunitense; uno che non mi avrebbe colpito particolarmente. Cosa rende Karmen così diverso dagli altri fumetti dell’autore? Sicuramente il fatto che il disegnatore abbia potuto garantirsi un controllo assoluto sulla narrazione.
A un certo punto Xisco dice a Catalina che per definire la loro amicizia inseparabile si deve usare un modo di dire maiorchino, «essere come culo e merda», e le chiede cosa vuole essere. Ecco la chiave di lettura perfetta. Il racconto e la pagina, in un fumetto che voglia dirsi tale, non passano attraverso la sceneggiatura e se ne fregano della storia: sono proprio come culo e merda.
Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi).