Febbraio. Per (QUASI) è il mese de “Il lupo, il pelo, il vizio”. Ora, lupo non sono, pelo ne ho in abbondanza – dalla testa ogni tanto ne perdo, ma sulle guance e sul mento cresce che è un piacere – e vizi… mah. Il vocabolario online Treccani, al significato 2. a., recita: «Abitudine profondamente radicata che determina nell’individuo un desiderio quasi morboso di cosa che è o può essere nociva»; quindi riporta alcuni esempi: «Avere il v. di bere, di fumare, o anche il v. del vino, del fumo; acquistare, perdere il v. del gioco». Ecco, da persona triste quale sono non ho mai avuto il vizio del fumo né quello del gioco, sono astemio e non bevo neppure il caffè. Però, sì, non posso negare di andare alla ricerca ossessiva di qualcosa che per me è nocivo. Addirittura le cose sono tre: il calcio, che continuo a praticare nonostante mi procuri dolori lancinanti prima, durante e dopo le partite; il fumetto, che costringe il mio portafogli a essere perennemente leggero, anzi leggerissimo; infine, la scrittura, che mi pone quotidianamente di fronte alle mie insicurezze, ai miei limiti e che mi costa una fatica tremenda, dato che stare seduto per ore con tre ernie nella zona lombo-sacrale non è esattamente la scelta più saggia che possa fare.
Febbraio. Il mese in cui i miei tre vizi si incontrano per cercare di decifrare Neymar: il caos perfetto, docuserie Netflix caricata sulla piattaforma il 25 gennaio 2022. Neymar da Silva Santos Júnior è nato in Brasile proprio nel mese di febbraio, per la precisione il giorno 5, come Cristiano Ronaldo, del 1992. Conosciuto nel mondo semplicemente come Neymar e in patria come O Júnior – almeno a fidarmi di quello che mi ha detto una ragazza brasiliana nel 2014 – il campione è un calciatore con due obiettivi molto chiari: giocare e godersi la vita. Due cose che, a detta sua, solo lui tra i professionisti del calcio è in grado di conciliare.
Questa dichiarazione è una di quelle che più hanno attirato la mia attenzione mentre guardavo il primo dei tre episodi di cui consta la serie. Fin dall’incipit il protagonista afferma di voler aprire il suo viaggio per immagini, musiche e parole con le critiche negative e le maldicenze del mondo esterno per concluderlo con lo svelamento del suo mondo interiore che, ovviamente, dev’essere positivo. In pratica il prodotto televisivo è un’opera “reattiva” e non “attiva”, nella quale l’oratore sembra cercare di dimostrare e far prevalere l’antitesi più che la tesi. Qualcosa come: «Voi pensate una cosa, ma io sono tutt’altro».
Bene. Chi è Neymar? Che cos’è Il caos perfetto? È meglio partire dalla seconda domanda che dalla prima. Il serial è propaganda, è un’operazione di marketing, è la definizione di un brand e il tentativo di vendita dello stesso. “Marketing”, “brand”… c’è in ballo un essere umano, ma queste due sono le parole ricorrenti nelle tre puntate e sono pronunciate soprattutto da una persona in particolare, Neymar Santos Senior, il papà del fenomeno nonché suo procuratore e balia, il grande burattinaio al quale, per sua stessa ammissione, il burattino finisce per dire sempre di sì.
Intorno al signor Santos gravitano centinaia di persone che ogni giorno lavorano alacremente per mandare avanti l’azienda. Quale? Neymar. Lui medesimo. Trascesa la dimensione umana, il neo-trentenne è ormai da qualche anno un marchio che cammina, un prodotto, forse persino una linea di prodotti. Se Ottaviano Augusto, in rampa di lancio per la divinizzazione, mirava a consacrare se stesso e a giustificare il proprio operato con le Res Gestae Divi Augusti, un individuo di successo negli anni Duemila lotta per diventare un marchio e, nel farlo, approva una campagna multimediale che sia allo stesso tempo panegirico e apologia. “Brand” is the new “divus” e Il caos perfetto is the new Res Gestae.
Il caso di O Ney non è l’unico, basti pensare a quello ancora più eclatante del già citato Cristiano Ronaldo, ma forse è il più “sincero” e spudorato, nell’ambito calcistico. Neymar Senior, che giustifica tutte le proprie azioni sottolineando di lavorare per il (bene del) figlio, rimarca spesso che la carriera di un calciatore è breve, che bisogna agire da formiche e non da cicale, che è importante consolidare l’azienda, chiudere ogni anno i bilanci in attivo, che si tratti di soldi, follower sui social, campagne pubblicitarie, contratti firmati e trofei vinti con la squadra in cui il giocatore milita. Più che un papà, il signor Santos è un manager e ha capito che il brand solo fino a un certo punto coinciderà con il calcio. Appese le scarpette al chiodo, l’ex bimbo prodigio dovrà camminare lungo altre strade che il genitore si augura lastricate d’oro, ma tutto dipenderà da questo presente in cui la vita equivale alla carriera e viceversa. E, insieme, la vita e la carriera costituiscono il brand. L’uomo-brand.
Dunque, se la serie Netflix è come un lungo spot in tre atti che presenta il prodotto da vendere, va da sé che quest’ultimo sia facilmente comprensibile – e poi acquistato – proprio attraverso il messaggio pubblicitario.
Una delle immagini promozionali de Il caos perfetto è costituita dal volto di Neymar diviso in due: una metà indossa la maschera di Batman e l’altra ha disegnato sopra il ghigno del Joker. Il poster si rifà a uno dei tanti quadri che il campione ha inchiodato alle pareti di casa, dimostrando una coerenza artistica mirabile: molti lo raffigurano. Culto della personalità? Eh, giusto un po’, ma non solo, perché si torna sempre dalle parti delle strategie di vendita. Il padre, che lo accusa di arroganza, è il primo a venderne la persona, l’aspetto fisico, il talento con il pallone tra i piedi e lo smartphone in mano. In una parola, l’immagine. E dell’immagine che O Júnior e il suo entourage vogliono comunicare fa parte la dualità. Vuole giocare e godersi la vita, ricordi? Ancora di più, il protagonista dice: “Sono in lotta con me stesso”. Bene e male, Batman e Joker, ordine e caos. C’è un tentativo estremo ed evidente di problematizzare la sua figura per renderla interessante, ma Neymar è un tipo che si problematizza da solo. Lui si mette nei guai e non lo fa apposta. Lo ammette lo stesso Neymar Senior quando, un po’ rassegnato, ricorda che “lui è l’unico che può distruggere tutto il nostro lavoro”.
Sì, perché il numero 10 del Paris Saint-Germain è come un bambino, nel senso neutro del termine. O meglio, a volte nel senso buono e altre in quello cattivo. Fa tenerezza vederlo giocare con il figlio, che di solito vede pochissimo, durante il lockdown o le brevi vacanze estive, in quei rari momenti in cui si diverte davvero a tirare calci alla sfera; quando parla sembra sempre sull’orlo della commozione oppure si lascia andare a sorrisoni genuini e divertiti e a risate spontanee, gli occhi luccicano e le pause tra una frase e l’altra appaiono naturali; quando cammina e corricchia al di fuori del campo da calcio è sgraziato e pare alla ricerca di un equilibrio che ancora gli manca, come se avesse da poco imparato a stare dritto in piedi. Diversamente dai protagonisti di altre docuserie, O Ney racconta quasi sempre circondato da amici, sembra al parco giochi o al ritrovo della sua gang. Ricevendo sicurezza dalla sua posizione di primus inter pares (per gli amici è il ragazzetto di sempre), spiega che si esalta con le critiche e questo è un dato che lascia quantomeno perplessi. Ecco che di nuovo esce il bambino, quello che grida «non mi hai fatto niente», ma in realtà vorrebbe solo scappare via piangendo. Forse nel rettangolo di gioco gli attacchi dei critici lo stimolano a dare il meglio, accendono in lui il fuoco della rivalsa, ma nella vita extra-calcio è perennemente in atto un tentativo di evitarli o di arginarli e la serie Netflix ne è la prova lampante. Quindi, le critiche nella pugna ci stanno, poi nella vita c’è un brand da vendere e il vecchio adagio «nel bene e nel male, purché se ne parli» funziona fino a un certo punto.
Il male va controllato. Il signor Santos, aprendo la terza puntata, dice: «Senza il caos non ci sarebbe Batman». Ancora una volta vuole rimarcare che nel figlio convivono le due nature, quella del Cavaliere Oscuro e quella del Joker, ma, dopo aver visto l’intero episodio, viene da chiedersi se in Neymar Júnior Batman ci sia davvero o sia piuttosto il Senior a vestire i panni del vigilante per tenere il Joker al suo posto. Alla fine si torna inevitabilmente al brand: Il caos perfetto mostra in modo semplice, semplificato e divulgativo come funziona un certo mondo e quali sono i suoi meccanismi. In questo senso la conclusione della docuserie è interessante e il problema dello spoiler non si pone, perché è sufficiente dare un’occhiata a Wikipedia per ripercorrere anche solo cursoriamente la carriera di O Ney. Il finale, almeno sul piano sportivo, è palesemente anticlimatico: coincide con la sconfitta del Paris Saint-Germain nella finale di Champions League del 2020. Siamo davanti al tentativo di narrazione del dio sconfitto che torna umano e crea empatia incamminandosi sulla parabola dell’uomo qualunque. Un “to be continued” che sa di lacrime e rivincita, un caos imperfetto che resta sospeso nel tentativo di attrarre nuovamente il pubblico. Come a dire: «Vedete? Neymar è come voi, restate sintonizzati; tutti insieme ci rialzeremo e stavolta vinceremo». Il prodotto e i suoi utenti, come una cosa sola.
Sognava di diventare un calciatore professionista, ma a sedici anni si è svegliato e l’incubo è cominciato. Continua ad amare il calcio tanto quanto ama leggere fumetti di tutti i tipi. Cerca di sbarcare il lunario, scrive per QUASI e Lo Spazio Bianco, parla per il podcast hipsterisminerd e per LSB Live.
Una risposta su “Il caos imperfetto di Neymar”
Leonardo Volpato
Molto bello questo articolo!
Mi ha fatto riflettere molto e lo riguardato per guardarlo da un’altro punto di vista.