Benché L’Internazionale che ci commuove di più sia quella tradotta, a più riprese, da Franco Fortini e cantata, in tutte le sue versioni, da Ivan Della Mea, quel verso, «Futura umanità!», ci è rimasto appiccicato addosso.
Per Fortini l’umanità è «un’altra». Il genere umano, «le genre humain», della canzone di Eugène Pottier, nella traduzione appiccicaticcia che, il 13 ottobre 1901, vinse il concorso indetto dalla rivista satirica “L’Asino” di Guido Podrecca e Gabriele Galantara, era proiettata speranzosamente in avanti: «Su, lottiamo! L’ideale / nostro alfine sarà! / L’Internazionale, / futura umanità!»
Siamo stati, entrambi e a lungo, lettori di fantascienza. L’incombenza di quella «Futura umanità!» ci è sempre parsa spaventosa. Ma, bada, non è il futuro che ci fa paura: è sempre stato lì, davanti a noi, irraggiungibile. Mica ci è servita una tecnologia sufficientemente avanzata (e indistinguibile dalla magia) per capire che la nostra vita è un succedersi di presenti che si frappongono tra noi e il futuro. A farci una paura fottuta è proprio l’umanità. Le individualità che la compongono, prese singolarmente, sanno essere meravigliose. Sono tantissime le persone con cui ci piace stare. Alcune le amiamo, addirittura. Quando gli umani si aggregano, ecco, a quel punto sì che ci caghiamo sotto: si danno regole, leggi, rappresentanze democratiche, segmentazioni statistiche, mercati, eserciti, … Tutta roba sicuramente indispensabile, ma che ha alcune conseguenze nefaste: il carcere, il balletto della bicamerale, il lavoro salariato, le finestre in alluminio anodizzato, la contabilità in partita doppia, la dittatura dei generi, il marketing e la pubblicità, la guerra…
Sono passati ventiquattro mesi da quando abbiamo iniziato a giocare la partita di QUASI. Volevamo fare una rivista di critica. Un manufatto cartaceo, proprio come “L’Asino”. Ci siamo rivolti a Oblò, Associazione di Promozione Sociale, e Claudio Calia, il presidente, ha accolto la nostra idea senza esitazioni apparenti.
Quando eravamo pronti a costruire il nostro manufatto tangibile, vittime dell’imprevedibilità della pandemia che ci accompagna da due anni, abbiamo dovuto ripiegare su un’alternativa che non ci assomigliava.
Abbiamo deciso di costruire un sito che avesse la forma di una rivista cartacea, contraddicendo le logiche del web. Niente pubblicità, nessuna segmentazione degli utenti, nessuna idea di marketing, il commercio ridotto ai minimi termini. Niente articoli costruiti per catturare click, niente gallerie, indifferenza alle regole che piacciono ai motori di ricerca…
L’idea è che QUASI si presenti come un prisma attraverso il quale guardare il mondo: una rivista di critica delle narrazioni che mescolano parole e immagini, fatta da un gruppo di persone che condividono idee fondamentali e fondanti e cercano di dialogare tra di loro, tenendosi.
Un sottotitolo che puzza di snobismo. Un giorno dopo l’altro, costruiamo, lo sai, “la rivista che non legge (QUASI) nessuno”.
Questo sito accoglie alcune centinaia di visualizzazioni al giorno. Nessuna visita casuale e occasionale. Quando atterri qua sopra, lo fai per leggere e per guardare.
Internet non ha questa forma. Favorisce contenuti atomici, che siano riusabili in contesti diversi e aggregabili su basi algoritmiche, al fine di comporre le timeline di App che spingono al consumo di parole e immagini.
Quando il 25 aprile 2020 abbiamo pubblicato il primo articolo, “QUASI un manifesto”, scrivevamo:
«QUASI doveva uscire il 25 aprile, in occasione della festa più bella del mondo, portando addosso quel sottotitolo che ci piace tanto: “la rivista che non legge nessuno”. Doveva essere la primavera del nostro stupore.
Ma è meglio che non esca nessuno. Restiamo ancora dentro l’inverno di questa strana rassegnazione e sappiamo che, anche se l’inverno dovesse durare ancora a lungo, la primavera arriverà.
Allora eccoci qui, pronti a tutto. QUASI non è ancora una rivista, ma puoi leggerla.»
Poi è diventata sul serio una rivista. Abbiamo mantenuto la promessa. QUASI oggi, dopo due anni, è una storia composta da cinquantuno numeri in formato “(blog edition)”, tre numeri cartacei (che tra qualche giorno potrai comprare anche in formato ebook), un quaderno e un quadernetto.
Non avrà sempre questo aspetto (anzi, già dal prossimo mese ci piacerebbe cambiasse in modo sostanziale), ma continuerà a presentarsi con la sua forma poliedrica che favorisce la scomposizione della luce e ci (e ti) permette di guardare il mondo.
Se hai voglia di dirci cosa ti piace e, soprattutto, cosa non ti piace di QUASI, non esitare a scriverci. Pensaci: puoi permetterti di regalarci un’idea, dal momento che, negli ultimi due anni, le persone che fanno questa rivista hanno mostrato generosità incondizionata almeno un migliaio di volte (tanti sono gli articoli pubblicati, se facciamo il conto dei contenuti atomici e aggregabili su basi algoritmiche che non ci piacciono). Ce lo devi.
Buon aprile.