Quasi, due anni dopo

Boris e Paolo | Strani anelli |

Prendi una striscia di carta. Afferrane le due estremità, ognuna tra l’indice e il pollice di una mano. Imprimi ai due polsi una torsione, fino a quando i due lembi della striscia non hanno subito una rotazione di 180°. Ora avvicina le due estremità, falle coincidere e uniscile con un pezzo di nastro adesivo.
Osserva lo strano anello che ti trovi tra le mani. Appoggia il dito in un punto qualsiasi e fallo scorrere sulla carta. Hai visto? Puoi percorrerne tutta la superficie, dentro e fuori, e tornare al punto di partenza.
Non c’è un punto d’inizio in uno strano anello. Non è come la vita. Non c’è la nascita e non c’è la morte. Il punto d’arrivo non ha alcun senso. Nessuno dei punti che attraversi ha alcun valore o qualità distintiva rispetto a tutti gli altri. Se non il fatto che il tuo dito è appoggiato lì, proprio in quel momento. Se proprio ti fa piacere, puoi chiamare quel punto “io”.

L’idea di strano anello, declinata in forme articolate e diverse, riletta attraverso lo sguardo e le parole di chi ha raccontato storie che amiamo, è il nucleo pulsante di QUASI. Dall’inizio, se un inizio c’è stato. Anzi… quell’inizio c’è stato sicuramente, ma non è così facile indicare dove.

Lo poniamo arbitrariamente il 25 aprile 2020. Perché eravamo vittime di reclusione domestica per rispettare le regole di confinamento imposteci per contenere la diffusione della pandemia. Perché non riuscivamo a fare tutto quello che avremmo voluto, come sempre, ma, per una volta, avevamo qualcosa di enorme contro cui scagliare la nostra paura e la nostra rabbia. Perché quella cosa era così enorme da scatenarci un senso di impotenza talmente grosso che a ripensarci ora è addirittura difficile crederci. Perché il 25 aprile è il giorno in cui festeggiamo la Liberazione.

È bello poter scegliere un punto così notevole per raccontare le proprie origini.
Da quel momento abbiamo costruito, un giorno dopo l’altro, un sito web con la forma di una rivista cartacea novecentesca. Una struttura periodica incongrua, usata per comporre, di settimana in settimana e poi di mese in mese, un nuovo numero.
Forse più velocemente di quanto ci aspettassimo, ci siamo ritrovati a compiere un anno. Eravamo di nuovo (che strano anello sarebbe altrimenti?) al 25 aprile. Poiché, come dice Guccini, ogni anno è diverso ma tutti gli anni sono uguali, abbiamo giocato un’altra mano di tarocchi. Quando giochi a carte, bevi e fumi. E c’è sempre qualcuno che cala, quando non deve, il primo arcano maggiore, il Bagatto: la carta che simboleggia adattabilità, potenzialità, trasformazione, fantasia, volontà, diplomazia, manipolazione. In poche parole: il gioco.

Presi dal gioco QUASI non ci accorgevamo che era arrivata l’estate e il tempo delle vacanze. Andare via da qui, da questo luogo e da questo tempo, a cercare l’altrove. Le vacanze finiscono, e dopo che settembre ti ha riportato al tuo qui e al tuo ora, scopri a tue spese che è ottobre il più crudele dei mesi. A ottobre tiene dietro «l’estate fredda dei morti», e non sai quanto ci piacciono queste parole con cui Pascoli definì la continua lacerazione dell’animo che gli procurava novembre. Ferita che il mese successivo sana con la nascita del Cristo, ma è un’altra la nascita che ci allieta il dicembre: quella di Wonder Woman, splendida amazzone che proprio a dicembre 2021 ha compiuto ottant’anni. Al nostro secondo compleanno mancano invece ancora quattro mesi, ma questo non ci impedisce di tirare le somme sull’anno appena passato e di tuffarci appieno, con un travestimento da lupi, nel carnevale che finalmente impazza. Purtroppo una vera follia arriva a chiudere febbraio: la guerra. Con il desiderio di esorcizzarlo, guardiamo con orrore a questo mostro e alle sue zanne insanguinate. Ora siamo qui, davanti a te, in questo punto preciso in cui lo strano anello si chiude, ma in cui, come ti abbiamo detto all’inizio, si riapre: un altro 25 aprile. Un momento di speranza per la futura umanità.

E a proposito di futuro, anche se in fatto di strutture periodiche siamo novecenteschi, non ci fa schifo la forma digitalizzata, polverizzata e distribuita che la comunicazione assume in rete. Ci piacciono le cose che troviamo sui nostri schermi. Non ci crea alcun disagio leggere, guardare, ascoltare, e giocare, tenendo in mano un telefono o un tablet. Quella che non riusciamo a tollerare è la dittatura dell’algoritmo. La frammentazione dei nostri pensieri, perché assumano lo statuto di contenuti, è necessaria perché essi siano aggregati in un flusso continuo, in accordo a regole. La timeline del social network che usiamo è composta da contenuti assemblati assecondando regole decisamente non trasparenti.
Facebook, Instagram, Twitter, Pinterest, Linkedin, YouTube, Tumblr… non sono nemici con nomi idioti. Non ci fanno paura. Hanno bisogno di consumare contenuti gratuiti. Immagini e video, con qualche parola e una manciata di tag che vengono pagati con follower e cuoricini.
Facciamo “la rivista che non legge nessunə” proprio per rimarcare una distanza siderale da questa idea. Non vogliamo “like” e pageview: vogliamo che tu – proprio tu – ci legga. Trovandoci interessanti o meritevoli d’antipatia. Sperando di scatenarti allegria o di farti incazzare.

Vogliamo il desiderio del tuo sguardo.

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(Quasi)