Una cura per i radicali liberi su scala cosmica
L’inquadratura mostra la mano di un uomo vestito elegante appoggiata sul profilo inconfondibile di una sedia a rotelle levitante color giallo limone. Il motivetto che suona in sottofondo è la colonna sonora della serie animata anni Novanta degli X-Men. Entra in scena un pelato. QUEL pelato. Patrick Stewart, il Professor Charles Xavier, che per la prima volta fa il suo ingresso in un film dei Marvel Studios: Doctor Strange nel multiverso della follia, un titolo che solo a pronunciarlo mi serve un Oki. Da un angolo della sala si alza un applauso a dire il vero più timido di quanto mi sarei aspettato, non di meno la reazione di chi non aspettava altro. Dall’angolo opposto giunge un commento lapidario, ma più eloquente di una riunione di sedici ore per revisionare una sceneggiatura:
«Ma il pelato chi cazzo è?»
SBAM. Il padre di tutti gli easter egg congelato da uno spettatore che non s’è visionato tutti quei parsec di pellicola che vengono prima di questo UFO narrativo firmato Sam Raimi. Il che è un po’ un casino, perché la chiave di lettura di tutto il film è esattamente questa: come opera stand alone, la seconda avventura del Dottor Strange non sta in piedi. Se non hai visto determinati film e serie TV, non dico tutto il pachidermico corpus dell’MCU ma quantomeno roba come Wanda Vision, o in alternativa hai una buona conoscenza dei fumetti da cui è tratto, ti mancano dei pezzi ma mica piccoli. Tipo le chiavi di volta, ecco. Il che potrebbe essere innocuo se ci limitassimo alla tonnellata di easter eggs con cui Raimi bombarda il “lettore ‘sticazzi”, tendenzialmente sono un gradevole di più che non t’impedisce di goderti la visione, ma quando l’evoluzione di uno dei personaggi principali che fino al film precedente era un’eroina e ora in un amen si trasforma in una villain che sbrocca male e combina casini di proporzioni cosmiche ti sembra un filino accelerata al punto da lasciarti disorientato per il semplice fatto che la parte fondamentale del suo arco di trasformazione non si trova nel film che stai guardando, beh, le scelte del team creativo dei Marvel Studios iniziano a farsi rischiose.
Sì, perché se Doctor Strange nel multiverso della follia da solo non sta in piedi non è colpa dei buchi di sceneggiatura. L’hanno voluto proprio così. Il film rappresenta la realizzazione finora più compiuta della direzione verso cui i Marvel Studios stanno scientemente portando il Marvel Cinematic Universe da diversi anni a questa parte. La seconda avventura del Dottor Strange è forse il primo film del franchise completamente dipendente dalla continuity costruita mattone dopo mattone dalle pellicole precedenti. Il che rappresenta una presa di posizione radicale quanto rischiosa. Dottor Strange nel multiverso della follia traccia una linea profonda fra dentro e fuori, fra il pubblico di aficionados, che segue e seguirà gli sviluppi dell’MCU stando al passo con una quantità sempre crescente di materiale da vedere necessariamente se si vuol restare in pari la storia, di cui film e serie TV sono singoli tasselli al servizio della big picture, e gli spettatori occasionali che rischieranno di trovarsi tagliati fuori, del tutto o quasi, dalla possibilità di apprezzare il franchise nelle sue evoluzioni future.
La scelta è interessante e rischiosa al tempo stesso. Il senso di un universo narrativo complesso e articolato, costruito su una continuity monumentale e a tratti soverchiante, è croce e delizia dei fan Marvel. Fan che, con il tempo e con il proseguire delle saghe, perdi almeno in parte. Non ci si scappa, è fisiologico. Le persone crescono e non tutte restano attaccate a un prodotto per tutta la vita, per mille motivi nel cui merito non serve entrare adesso. Stan Lee lo intuì a suo tempo e la sua filosofia, che tuttora caratterizza l’universo fumettistico Marvel, prevede una serie di nuovi inizi, punti di partenza in cui trame e sottotrame ricominciano dopo essere state portate a compimento. La casa editrice offre questi periodici punti di accesso narrativi per permettere ai nuovi lettori di saltare a bordo senza avere l’impressione di essersi persi dettagli fondamentali per capire ciò che stanno leggendo offrendo loro una lettura sempre fresca e attuale.
La sfida complessa per i Marvel Studios è proprio questa: adattare non solo i singoli personaggi da un medium all’altro, ma far funzionare il principio su cui da decenni si regge tutto un universo narrativo di un prodotto articolato e complesso in un contesto che funziona secondo logiche strutturali, realizzative e commerciali profondamente diverse. Il che potrebbe significare proprio replicare la strategia dei punti di accesso periodici per i nuovi spettatori, visto che la quantità di film da vedere per capire il MCU si sta facendo ingente e che, qui siete autorizzati a sentirvi vecchi, il primo Iron Man, da cui tutto ha preso il via, l’anno prossimo compie quindici anni. In poche parole, il futuro dell’universo cinematografico Marvel dipende da un esperimento genetico finalizzato a sconfiggere la vecchiaia. Praticamente una cura per i radicali liberi su scala cosmica.
Stefano Tevini e l’Onorevole Beniamino Malacarne sono un reboot del classico Dottor Jekyll e Mister Hyde ma, invece di seguire il trend contemporaneo dell’inclusività, deviano dal canone nel fatto di essere ambedue dei fetenti. Nati entrambi nel 1981, uno è una specie di scrittore (romanzi, fumetti, articoli, quella roba lì), l’altro è un lottatore di wrestling. Tevini ti parlerà di fumetti, fantastico e simili, Malacarne di Wrestling (oltre a occuparsi della gestione operativa dei reclami e soprattutto di chi li esprime).