Quando nel 2008, intervistandolo, George Khoury dice ad Alan Moore che ha sempre pensato che la sua opera più famosa avrebbe dovuto spingere gli altri autori a fare di meglio, lui commenta amaramente: «È quello che pensavo anch’io, ma a quanto pare Watchmen è diventato un ostacolo psicologico insormontabile che l’industria fumettistica americana non riuscirà mai a superare».
E ancora: «La sola cosa che non mi è piaciuta di Watchmen è stato l’effetto che ha avuto sull’industria […]. Ogni povero, disgraziato, innocente personaggio della Golden Age che non fosse già stato in precedenza rielaborato in stile Vertigo, era praticamente sicuro che sarebbe stato re-inventato come una specie di mostro violento e psicopatico proveniente dai margini della razionalità umana.»
La Golden Age, “l’età dorata” dei supereroi, ha inizio nel 1938, quando sulle pagine di “Action Comics” 1 appare Superman di Jerry Siegel e Joe Shuster, il primo supereroe. A ruota, in casa National Periodical Publications (futura DC), arrivano Batman nel 1939, Flash, Lanterna Verde e Aquaman nel 1940 e Wonder Woman nel 1941. Parallelamente Timely Comics (che sarebbe diventata Atlas e poi Marvel nel giro di vent’anni), sul primo numero di “Marvel Mystery Comics” del 1940, pubblica Sub Mariner e la Torcia Umana, i suoi tentativi di cavalcare l’onda dei superesseri, seguiti nel 1941 dal Capitan America di Joe Simon e Jack Kirby.
Diretti discendenti degli eroi dei racconti pulp degli anni Venti e Trenta, questi personaggi hanno da subito un buon successo, anche se la vera popolarità arriva quando esplode la guerra in Europa e i super vengono “ingaggiati” dalla propaganda anti-nazista (Timely, per esempio, riunisce tutti i suoi personaggi nel supergruppo degli Invasori e li spedisce a combattere Hitler). Di contro, quando la guerra finisce, la popolarità dei supereroi declina e, pur senza una data condivisa per l’intero mercato, la Golden Age volge al termine. Timely cancella nel 1950, per scarsità di vendite, la testata dedicata a Capitan America (quando l’eroe ha evidentemente concluso la sua funzione sociale), mentre in generale l’interesse del pubblico si sposta sempre più verso le nascenti pubblicazioni horror e crime in stile EC Comics, casa editrice di stampo pulp che si afferma come terzo polo del mercato dei fumetti d’avventura con segno realistico, scalzando momentaneamente DC e Timely/Atlas.
Nel 1954 la pubblicazione del famigerato saggio Seduction of the innocent dello psichiatra Fredric Wertham, getta un’ombra di discredito sull’intero settore, bollando i fumetti come fonte di corruzione per i giovani lettori a causa delle rappresentazioni esplicite di violenza e sessualità. Wertham si scaglia principalmente sulle pubblicazioni EC Comics, ma anche i supereroi non escono indenni dalle sue accuse, in particolare Wonder Woman per il suo immaginario bondage e la sua femminilità decisamente troppo indipendente e assertiva per l’epoca. La questione ha ampia risonanza e porta all’apertura di un’inchiesta da parte del Congresso e all’entrata in vigore del Comics Code Authority, organo di autocensura con il quale l’industria cerca di definire un set di regole per gli albi a fumetti che produce.
In questo clima di rigidità, autori e case editrici trovano però il modo per rilanciare il settore, ripartendo proprio da quegli eroi che, quindici anni prima, avevano avuto successo. Con la nascita del nuovo Flash (nuovo in tutto: identità segreta, costume e origini), comincia così nel 1956 la Silver Age, l’epoca più strana e variopinta dei supereroi che durerà fino al 1970. Forse, proprio lo stretto controllo a cui sono sottoposti gli autori permette il fiorire di storie e situazioni decisamente assurde ma colme di quel sense of wonder tanto decantato negli anni successivi.
Gli albi DC cominciano a riempirsi di universi paralleli, viaggi e distorsioni temporali, retro-continuity, paradossi scientifici, minacce intergalattiche e soprattutto versioni alternative di ogni personaggio (paradigmatico il numero 123 di “The Flash” del 1961, Flash dei due mondi, con l’incontro tra le versioni Silver Age e Golden Age del personaggio). Superman poi, viene dotato di una mitologia vastissima e assurda per l’occhio contemporaneo: idee bislacche e immaginifiche al contempo, come la Fortezza della Solitudine e la sua gigantesca chiave dorata, Krypto il super-cane, Kandor, la città nella bottiglia, il folle Bizzarro, l’impronunciabile Mr. Mxyzptlk, fino ad arrivare ai Robot-Superman e alle varie Kryptoniti con colori ed effetti differenti.
Ma il vero cambio di marcia avviene quando Marvel pubblica, nel 1961, il primo numero di “Fantastic Four” di Stan Lee e Kirby, dando il via alla formula “supereroi con superproblemi” che farà la fortuna dell’etichetta e che spingerà i supereroi verso una nuova concezione, molto più vicina alla realtà. Non più solo fantascienza e avventura ma anche vita quotidiana, introspezione psicologica, disagio sociale e persino geopolitica (quando Ben Grimm in “Fantastic Four” 1 inizialmente rifiuta di seguire Reed Richards nella sua corsa allo spazio, Sue Storm lo ammonisce dicendogli: «Dobbiamo correre il rischio Ben… Se non vogliamo che i rossi arrivino per primi!», promuovendo così la Guerra Fredda a causa indiretta della nascita dei Fantastici Quattro).
Dice Moore, parlando di questa innovazione: «Era stata aggiunta un’altra dimensione sia nel modo di raccontare che nel disegno. Intendo dire che i personaggi DC di quel periodo erano, in un certo senso, degli archetipi. E archetipo significa essere monodimensionale. Stan Lee e i suoi collaboratori, in termini di storia, aggiunsero una seconda dimensione. Non erano ancora personaggi tridimensionali ma c’era una dimensione in più rispetto a prima e anche il disegno si adeguava a quest’approccio. Con Kirby c’era un livello di attenzione per il dettaglio, per il segno e un’intensità nel disegno che sembrava dare un’ulteriore dimensione ai supereroi, ai comics, come non si era mai visto prima».
Il 1970 è l’anno in cui viene comunemente sancita la fine della Silver Age, grazie a due eventi cardine: l’uscita del numero 102 di “Fantastic Four”, l’ultimo disegnato da Kirby prima di andarsene dalla Marvel sbattendo la porta, e l’inizio della gestione di “Green Lantern” a opera di Denny O’Neil e Neal Adams, simbolo iniziale della successiva Bronze Age.
O’Neil e Adams affiancano a Lanterna Verde il personaggio di Freccia Verde, creando una specularità nel logo della testata che risulta molto efficace anche sul piano narrativo: il gioco sta infatti nel porre i due eroi, il primo di stampo conservatore e il secondo più anarchico-radicale, di fronte a razzismo, droga, guerra e in generale ai drammi della società loro contemporanea, evidenziandone i differenti approcci idealisti. Nel 1971, la copertina del numero 85 di “Green Lantern/Green Arrow” è dedicata a Speedy, il sidekick dell’arciere verde, scoperto a drogarsi (con tanto di siringa pronta all’uso in bella vista), mentre pochi mesi prima Stan Lee, su “Amazing Spider Man” 96, firma una storia in cui un ragazzo nero cade da un tetto mentre è «completamente fatto», come commenta lo stesso Uomo Ragno nel salvarlo. La storia di Lee, Gil Kane e John Romita Sr., che proseguendo punta anche il dito contro le élite che non fanno nulla per fermare la diffusione della droga fra i giovani, esce senza l’approvazione del Comics Code e in qualche modo segna l’inizio della fine dell’influenza di quell’istituzione.
La morte di Gwen Stacy su “Amazing Spider Man” 121 del 1973 e il rilancio degli X-Men come gruppo multietnico in “Giant Size X-Men” 1 del 1975, con mutanti russi, giapponesi, africani e persino Apache sono infine l’evidente segno dei tempi, e sanciscono definitivamente l’ingresso della realtà nel mondo dei supereroi.
Alan Moore, com’è noto, entra di diritto in questa storia nel 1986 decretando la fine della Bronze Age e l’inizio della Modern Age. Il suo Watchmen, realizzato insieme a Dave Gibbons, e il Dark Knight Returns di Frank Miller sono infatti le opere spartiacque del periodo. La critica ha sempre descritto questi lavori rivoluzionari come “revisionisti”, sottolineando come i comics fossero “diventati maturi”, cominciando a ragionare su sé stessi e spogliandosi completamente dell’ingenuità e della patina che sempre li hanno caratterizzati attraverso le epoche. I super non sono più super, ma anziani, appesantiti e schizoidi, e il mondo che li avvolge è forse ancor più oscuro di quello in cui vengono letti.
Già durante la scrittura di Watchmen però, Moore aveva avuto modo di notare come i supereroi non gli interessassero più, trovando molto più stimolante scrivere le parti della storia in cui a parlare erano le persone normali. L’opera che uscì subito dopo, The Killing Joke, disegnata da Brian Bolland e, ancora oggi, una delle preferite dai fan, lo scontentò terribilmente perché, a suo dire, era «senza nessuna rilevanza dal punto di vista umano».
«Penso che feci un errore fondamentale nel renderlo così tetro e sgradevole», dice a tal proposito sempre a George Khoury, «perché può andare bene essere cattivi, tetri o terrificanti, ma solo se si veicola un tema importante». E per Moore The Killing Joke non è altro che una storia su Batman e Joker e che in nessun modo «parla di qualcuno che potresti incontrare nella vita reale».
Aggiungendo a questo scontento quello provato verso il mercato e le major, risulta chiaro il perché Moore, di lì a poco, si sarebbe allontanato dai supereroi per qualche anno.
Intanto, nel 1992, sette disegnatori superstar, alcuni di loro in grado di spostare massicciamente le vendite degli albi a cui si dedicavano, fondano Image Comics, etichetta indipendente in diretta concorrenza con Marvel e DC. Ognuno di loro diventa titolare di una nuova testata e di nuovi universi di supereroi con almeno due particolarità in comune: disegni iperbolici e quasi totale assenza di trama.
A lanciare l’idea della nuova etichetta è Rob Liefeld, disegnatore ventiseienne reduce da successi clamorosi in Marvel con il suo X-Force, che propone ai colleghi di mettersi in proprio per diventare proprietari assoluti dei personaggi e dei relativi diritti. Liefield, famoso per le anatomie fantasiose e per la quasi totale assenza di prospettiva e ambienti nelle sue tavole, vara così Youngblood, la prima supersquadra Image che, come le altre, non è che una copia rimescolata di vari supergruppi Marvel e DC. Seguono Spawn di Todd McFarlane (l’unico fra tutti a mantenere un successo duraturo negli anni), Savage Dragon di Erik Larsen, Shadowhawk di Jim Valentino, WildC.A.T.s di Jim Lee, Cyberforce di Marc Silvestri e Wetworks di Whilce Portacio.
I supereroi degli anni Novanta sono tutti cupi e cattivi, e usano la violenza senza remore: se da una parte sono certamente figli del nuovo stile di disegno con forti influenze asiatiche e uno spiccato gusto per le pose spettacolari, dall’altra sono i discendenti diretti dell’estetica decadente di Watchmen e del Cavaliere Oscuro. O, per essere più precisi, di ciò che i loro autori hanno percepito e mutuato da quell’estetica. A sentire Moore infatti, la piega presa dai comics dopo Watchmen è solo frutto di un’interpretazione sbagliata della sua opera:
«L’aspetto innovativo di Watchmen non è la trama, e neppure il trattamento di un’atmosfera “cupa” dei supereroi, poiché era già stato fatto in precedenza. Si potrebbe dire che Stan Lee e Jack Kirby si prefiggevano un trattamento più maturo, oscuro, per i supereroi quando nel 1961 realizzarono I Fantastici Quattro: molte più ombre nel disegno, quartieri malfamati come sfondo, dialoghi e relazioni più realistici tra i personaggi. Non penso che l’approccio maturo ai supereroi fosse l’aspetto più innovativo di Watchmen: era la forma della narrazione, le idee dietro di essa, gli elementi che emergevano per davvero nel racconto.»
Così, già senza più idee dopo nemmeno un anno di attività, Image chiede a Moore di scrivere alcune delle sue serie, nella speranza di iniettare un po’ di vita in quei cadaveri luccicanti, e lui accetta. Le motivazioni sono svariate, ma fra le principali, oltre al lato prettamente alimentare più volte sottolineato da Moore, c’è la possibilità di mettersi a fare il terzo incomodo tra Marvel e DC e quella, non da meno, di provare a correggere la diffusa incomprensione sui supereroi “cupi”. Di provare insomma a rimediare al danno, per riportare i comics al mondo del Mito, la Silver Age che lui aveva intercettato e amato da bambino.
[Continua]
Arnesi del cartografo
Per farsi un’idea delle “età” DC, si può recuperare una serie di cinque bellissimi (e costosi) libri fotografici di grande formato, pubblicati da Taschen qualche anno fa, dove si ripercorrono le epoche sopra descritte (aggiungendo però una Dark Age, fra la Bronze e la Modern), attraverso copertine, tavole selezionate e ricordi di alcuni autori.
Per quanto riguarda Marvel, credevo non esistesse qualcosa di simile, maPaolo mi ha invece indicato un librone Taschen, a cura di Roy Thomas, intitolato The Marvel Age of Comics 1961-1978.
Sulle questioni Comics Code e Fredric Wertham, sempre Paolo suggerisce Seal of Approval: The History of the Comic Code scritto da Amy Kiste Nyberg e Fredric Wertham and the Critique of Mass Culture di Bart Beaty, pubblicati entrambi dalla University Press of Mississippi, uno nel 1994 e l’altro nel 2005.
Scrive fumetti e scrive di fumetti, poi scrive anche canzoni e le canta, insieme a quelle degli altri che gli piacciono. Il suo sito è www.francescopelosi.it.