Ogni mattina ti svegli, accendi un dispositivo – la radio, la tv, il telefono cellulare, il computer – o apri il giornale e aspetti di sapere “cosa dice la scienza” di quanto una tua morigerata abitudine alimentare faccia male al tuo cervello. Se sei fortunata, ove possibile, la tua attenzione spaziale sarà attratta da fiammelle colorate giustapposte su vignette di un cervello aggiunte a corredare la notizia e a incuterti ancora più timore. Le puoi sentire scoppiettare nel cranio.
Ci sono anche delle giornate in cui la notizia ti provoca istintivamente una gradevole schadenfreude, quel sottile piacere per le piccole disgrazie altrui. Accade quando quell’alimento devastante, che crea “dipendenza” anche se solo lo annusi, che ti incrosta a ogni ingestione interi circuiti neuronali, in realtà, tu non lo ingoi più da tempo dopo avere faticato per accettare intolleranze da contrappasso.
È il caso del formaggio che torna di tanto in tanto a fare notizia perché è “una trappola”, è “come la cocaina” oppure per spiegarci come si fonde nel cervello e cosa non funziona in chi incredibilmente ne è disgustato, di nuovo con rappresentazioni visive più fantasiose che affidabili sul reale funzionamento del cervello.
Si possono rintracciare diversi meccanismi dietro a questa modalità di dare notizie sulla salute.
Innanzi tutto, lo slogan “lo dice la scienza” o “lo dice uno studio” è ormai diventato un automatismo che si manifesta tutte le volte in cui si mira a far risaltare una notizia gonfiandone la credibilità. Funziona nel campo della pubblicità come strategia di vendita di prodotti di bellezza e nutraceutica. L’uso di tale slogan nelle sezioni informative di Scienza e Salute dovrebbe quanto meno essere sempre ben pagato a chi scrive l’articolo e a chi lo titola, seguendo una sorta di tariffario consultabile su richiesta.
Tornando al formaggio, infatti, si può scoprire che dietro a libri che allarmano sul suo consumo a ogni piccola quantità ci siano gruppi che sostengono il veganismo e che anche qualche ricercatrice e ricercatore si renda compiacente alle industrie che sovvenzionano alcuni studi mirati.
Altri due meccanismi sono, infatti, la fretta di avere risultati statistici con pochi soggetti studiati e qualche aggiustamento appropriato dei dati – pratiche di ricerca che vanno da errori non intenzionali alla frode – e l’esagerazione dei propri risultati affinché si ottenga rilevanza sui mezzi di informazione. Più rilevanza porta a più pubblicità per il proprio laboratorio, a più ospitate a eventi e festival e a una maggiore attrattività di fondi per finanziare le ricerche. Intendiamoci, si possono ricevere finanziamenti cospicui senza corrompere i metodi scientifici e promuovere i propri studi senza sbracarsi nei comunicati stampa. La maggior parte di scienziate e scienziate segue questa strada di cautela.
Tuttavia, quando ci si imbatte in un’esagerazione, questa è sempre innescata dal centro di ricerca, firmata dal ricercatore o dalla ricercatrice e poi amplificata dall’informazione generalista. Se da un centro di ricerca non parte una comunicazione esagerata, questa difficilmente lo sarà nei mezzi di informazione.
Infine, l’ultimo meccanismo perverso è l’abuso della parola dipendenza nella comunicazione sulla salute. Questo da un lato fa sì che ogni comportamento umano tenda ad essere medicalizzato e a trovarvi risposte inevitabilmente sbagliate, come interventi clinici non necessari, quando le cause sarebbero da rintracciare in altri spazi della società come quelli sociali ed economici. Dall’altro lato, si minimizza la dipendenza fisica e psicologica che richiedono invece un percorso terapeutico multidisciplinare per l’individuo e la sua famiglia esposti ogni giorno a rivivere la propria fatica in un linguaggio esplosivo e inaccurato.
Ogni mattina, dunque, ti svegli e devi fare spazio alle notizie più affidabili tra cumuli di esagerazioni e allarmi e segni così tanti buchi nel tuo notiziario immaginario da vederci – illusa! – una groviera.
Avvertenza: continua a mangiare formaggio con moderazione e solo se non sconsigliato da medicə di fiducia
Sto arrivando! poco di fumetti e quello che sa ha a che fare con la psicologia e con il modo in cui il cervello li elabora. Ne scrive nella sua rubrica “Spaziami” – che ha per sottotitolo “e di dati saziami”. Mal sopporta gli interessi personali spacciati per scienza, i sensazionalismi venduti come informazione, il gregarismo. Colleziona storie di scienziate dimenticate. La maggior parte del tempo però la trascorre lavorando come neuropsicologa clinica e a volte insegna.