Facci caso. I decenni del secolo scorso sono raccontati, con estrema precisione, dalle riviste che li hanno innervati. E, se ci si limita a guardare le riviste del fumetto, restringendo l’ampiezza dello sguardo, il racconto diventa ancora più preciso.
Gli anni Cinquanta, per esempio, sono contraddistinti dalle riviste nate dall’intuizione di un autore di genio: da “Mad”, la roboante invenzione di Harvey Kurtzman, a “Hora Cero Semanal” su cui Héctor Germán Oesterheld pubblicava alcune delle sue serie più importanti, e tra queste El Eternauta, fino a “Pilote” nata sul finire del decennio per volere di René Goscinny e Jean-Michel Charlier.
Il decennio successivo è quello delle riviste su cui si sviluppa un’altra idea di fumetto: da “Garo” e “Manga Action” a “Linus”, l’invenzione di Giovanni Gandini che trasforma la percezione del fumetto in Italia e, a cascata, nel mondo, e “Zap Comix”, che dal sottosuolo dell’underground innesta temi adulti nel fumetto statunitense asfissiato degli eroi in calzamaglia.
E dopo questa carrellata, tagliata a fette spesse con un rasoio talmente semplificante che forse neppure Occam avrebbe voluto usare, arriviamo agli anni Settanta, il decennio di un male tutto francese: gli scismi. Certo, in Italia ci sono state rivoluzioni grandi e piccole: “Il Corriere dei Ragazzi”, “Alterlinus” e “Cannibale”. Negli Stati Uniti si è sviluppato il fumetto indipendente sulle pagine di “Star*reach” e su quelle di “Cerebus the Aardvark” e di “Elfquest”. Tutta roba importantissima e meritevole di analisi approfondite. Ma è stato in Francia che quella propensione allo scazzo ha dato i suoi frutti migliori.
Tutto è cominciato – come ci sta dicendo Boris da tre settimane – in una brasserie. Un agguato teso a Goscinny, durante il caldo maggio 1968, dagli autori di “Pilote”. Chi vive della propria creatività – lo sappiamo – è una macchina instabile, in equilibrio tra due tensioni: la ricerca della libertà che permetta di esprimere potenziale e desiderio, e la garanzia della sicurezza di poter soddisfare i propri bisogni materiali. Il maggio francese – come ricorda Elise e i nuovi partigiani di Dominique Grange e Jaques Tardi – esplode come reazione contro le repressioni di uno stato violentissimo e assassino. In quei giorni in cui tutto sembra possibile, gli autori di “Pilote” chiedono a gran voce a Goscinny di togliersi di mezzo. Vogliono trasformarsi in un collettivo e gestire il settimanale in autonomia. Non sanno che per il decennio dei collettivi bisognerà aspettare gli anni Novanta e L’Association, quando le riviste avranno ormai estinto la loro funzione propulsiva. Non ti faccio perdere tempo: quella storia te la racconta – QUI, QUI e QUI – Boris. Torniamo agli anni Settanta e agli scismi.
Nel 1970 “Hara-Kiri”, la rivista satirica diventata settimanale poco più di un anno prima, subisce una censura che potrebbe esserle letale. Ha strillato in prima pagina un titolo di ferocia intollerabile e i rappresentanti della buona coscienza francese hanno reagito a quella lama affilata usando l’arma definitiva.
Per farla breve, il 9 novembre 1970 il generale Charles De Gaulle muore, ottantenne, per un aneurisma mentre sta facendo un solitario tristanzuolo nella sua residenza a Colombey-les-Deux-Églises. Il 12 novembre, ad accompagnare verso la sepoltura il corpo esanime che meglio d’ogni altro ha incarnato la Francia ci sono 50.000 cittadini. In un clima di parate militari, memorie commosse della storia recente e lutto nazionale, lunedì 16 novembre “Hara-Kiri” si presenta nei chioschi con una copertina su cui spicca un titolo nero e doloroso, stampato a piombo con un carattere bastone che non potrebbe essere più leggibile e racchiuso nel quadrato che caratterizza gli annunci mortuari: “Ballo tragico a Colombey: 1 morto”.
Per capirlo – e godere della sua meschineria “brutta e cattiva” – è necessario sapere che il primo novembre, pochi giorni prima della morte di De Gaulle, è scoppiato un incendio nella discoteca “Cinq-sept” di Saint-Laurent-du-Pont. È l’una e trentacinque minuti, la discoteca è un rettangolo lungo e stretto arredato con mobili sintetici che prendono fuoco con niente, le uscite di sicurezza sono sbarrate per evitare che qualche furbetto le spinga per far entrare abusivamente gli amici, in quello spazio si può perfino fumare: 146 morti di età compresa tra i 14 e i 27 anni. “Ballo tragico” è il titolo preferito dai giornali in quei giorni.
La copertina di “Hara-Kiri” si infila sicura dove fa più male. Raymond Marcellin, ministro degli Interni, ordina due divieti: quello della vendita del settimanale ai minorenni e quello della pubblicità, comprese le locandine in edicola. Il ministro, mostrando una straordinaria faccia da culo, afferma che il provvedimento non è affatto legato al titolo feroce, ma è indotto dal contenuto pornografico di alcune delle vignette pubblicate dalla rivista.
I satiri, quelli cattivi soprattutto, devono essere veloci e reagire in fretta: lunedì 23 novembre esce il primo numero di “Charlie Hebdo”, stessa redazione, stessa conduzione, stessi collaboratori, stessa cattiveria.
È il momento delle scelte difficili. Dopo poco più di un anno, Reiser, Cabu e Gébé lasciano “Pilote” per collaborare esclusivamente con “Charlie hebdo”. Sono tra i disegnatori umoristici più importanti del settimanale diretto da Goscinny. È un brutto colpo. Ed è il primo degli scismi. Per fortuna, a collaborare con la rivista ci son ancora Gotlib, Claire Bretécher e Nikita Mandryka.
Poi arrivano maggio 1972 e “L’Echo des Savanes”. “Pilote” perde altri tre tasselli fondamentali.
Nel corso del 1974, il ventisettenne Jean-Pierre Dionnet, critico e sceneggiatore di fumetti che collabora con diverse fanzine e con “Pilote”, frequenta sempre più intensamente Mandryka. Les éditions du Fromage, la casa editrice che pubblica “L’echo”, sta progettando quattro diverse testate a fumetti per allargare lo spettro del rinnovamento del racconto con immagini. Dionnet vuole fare una rivista di fantascienza, ha già coinvolto Moebius e Philippe Druillet, entrambi pubblicati regolarmente da “Pilote”, e Mandryka ha anche inventato un titolo potentissimo, “Métal Hurlant”. Poi i conti de “L’Echo” sono quello che sono e il bilancio dell’impresa è una voragine di cui non si vede il fondo: la rivista non si può fare. Dionnet, Moebius e Druillet si associano all’imprenditore Bernard Farkas e fondano Les Humanoïdes associés, casa editrice che, da gennaio 1975 pubblica il trimestrale “Métal Hurlant”: la rivoluzione inizia da lì.
Il numero 10 de “L’echo des Savanes”, datato dicembre 1974, è l’ultimo a contenere fumetti di Bretécher e Gotlib. Dal successivo, pubblicato nel gennaio dell’anno successivo, quei due nomi non compaiono più nel colophon della rivista ormai diventata mensile. Bretécher dal 1973 collabora con costanza con “Le Nouvel Observateur”, settimanale di attualità che ospita con regolarità le pagine dei Frustrati. Gotlib è alla ricerca di una nuova avventura. Con l’amico d’infanzia Jacques Diament e il fumettista Alexis fonda, in aprile 1975, “Fluide Glacial”. Anche in questo caso, lo segue un cospicuo gruppetto di disegnatori di “Pilote”.
Goscinny avrebbe potuto soffrirne molto, se non fosse stato che, nel giugno 1974, aveva lasciato a sua volta “Pilote”, in seguito ad accesi diverbi con Georges Dargaud, portando con sé il suo Asterix. Il regalo di Cesare, ventunesima avventura del villaggio dei galli, è il primo Asterix a essere prepubblicato da “Le Monde”.
Prima di arrivare alla conclusione del decennio, è necessario citare almeno tre esperienze editoriali rilevanti.
Mentre tutti cercavano un modulo nuovo per il formato rivista, Glénat, dopo “Le Canard Sauvage”, un fallimentare tentativo di imitazione de “L’Echo”, manda in edicola, nell’aprile 1975, il primo numero di “Circus”, una rivista che vuole accogliere l’avventura più classica. Si riesce bene e resta lì per un sacco di tempo.
Il 10 ottobre 1977 la banda di “Charlie Hebdo” decide di lanciare una rivista di fumetti con il medesimo formato e la medesima periodicità del settimanale satirico. La chiama, apoditticamente, “L’hebdo de la B.D.” e non sarebbe memorabile se quello non fosse il luogo in cui Tardi lavora con Jean Patrick Manchette e conosce Grange.
Nell’ottobre 1976 esce il primo numero di “Ah! Nana”, testata femminista nata da Les Humanoïdes associés. Pubblica fumetti magnifici, firmati da Nicole Claveloux, Chantal Montellier, Anne-Marie Simond, Marie-Nöel Pichard e ha una visione progettuale molto forte e una volontà di parlare di corpi e di sessualità non conformi. È femminile; è femminista: fa paura e dall’ottavo numero deve riportare in copertina un divieto ai minori che ne riduce la vendibilità. Il numero successivo sarà l’ultimo.
Il decennio degli scismi e degli scazzi si conclude simbolicamente con un memorabile tentativo di riconciliazione. Febbraio 1978: l’editore Casterman pubblica il primo numero di “(À Suivre)”, una rivista che vuole che il fumetto sia narrazione lunga e priva di vincoli di formato. L’editoriale del primo numero dichiara, con toni altisonanti: «”(À suivre)” chiederà ai maestri del nuovo genere di esprimersi in libertà assoluta. “(À suivre)” presenterà tutti i mesi i nuovi capitoli di grandi racconti senza porre limiti di lunghezza che non siano quelli voluti dagli autori stessi. Con tutta la sua densità romanzesca, “(À suivre)” sarà l’irruzione selvaggia del fumetto nella letteratura.»
Questa riconciliazione coatta tra fumetto e letteratura e un’irruzione selvaggia di cui non tutti sentivano il bisogno. Potrebbe essere la chiave per leggere il decennio successivo. Ma questa è un’altra storia.
Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi).