Jhonny Puttini è uno dei personaggi più singolari del wrestling italiano. Pur non facendo il lottatore, si trova spesso al centro della scena grazie a un’intraprendenza fuori dal comune che lo mette in situazioni degne di essere raccontate. Di recente, Jhonny ha fatto un’esperienza negli Stati Uniti in cui ha arbitrato diversi match importanti e conosciuto alcune star immortali del wrestling mondiale. Con quest’intervista vogliamo far parlare un pezzo di storia della disciplina.
Jhonny ha iniziato il suo viaggio che era un bambino appassionato di wrestling. Quel bambino è cresciuto, ne ha combinate tante ed è arrivato in America. Ci racconti la tua storia?
I miei primi approcci con il wrestling sono stati come per molti L’uomo tigre e Celebrity deathmatch [trasmissione con le celebrità, sotto forma di pupazzi di pongo, impegnate sui ring di wrestling in duelli esagerati tipo i cartoni animati di Willy il Coyote ma più splatter, che negli anni Novanta andava in onda su MTV].
Certamente guardando entrambi i programmi mai avrei pensato che un giorno anche io sarei salito sul ring. Qualche anno dopo grazie alle demo dei videogiochi della Playstation mi sono imbattuto in un gioco dell’allora WWF, ora WWE, il quale innescò in me un sentimento di curiosità verso quell’insolita disciplina che mescolava sport e spettacolo così esagerato e così teatrale.
Mi ricordo che la prima volta che ho visto il vero wrestling è stato facendo zapping a tarda notte nei primi anni Duemila. Ho trovato Velocity, programma televisivo che andava in onda su Italia 1 e che era commentato da Christin Recalcati, che faceva vedere le star del wrestling americano: per la prima volta vedevo in carne ed ossa i personaggi che utilizzavo nei videogiochi. Per seguire quel signore con i baffi biondi mi inventavo sempre nuove scappatoie per restare davanti la televisione fino a tardi. Se solo avessi saputo…
Poco dopo è scoppiata la mania del wrestling, di nuovo tutti lo guardavano, compravano gli zaini, le riviste, le action figure e tutti i gadget più improbabili. Sfogliando a casa dei nonni la rivista “Di più TV” ho letto l’intervista fatta a un wrestler italiano: Fabio Ferrari detto “Red Devil”. Non ci potevo credere, qualcuno lottava proprio in Italia e non è tutto, una delle palestre in cui i wrestler si allenavano si trovava a pochi chilometri da casa mia. Dovevo trovarla a ogni costo. Così armato di Pagine Bianche (non avevo internet a casa) e tanta pazienza ho speso ogni centesimo della mia paghetta settimanale alla cabina telefonica contattando tutte le palestre della zona senza risultati. Finalmente è arrivato internet a casa, e a quel punto ci ho messo poco a rintracciare il luogo dovrei avrei incominciato ad allenarmi.
Mi ricordo il primo giorno che sono andato in palestra e ho visto il ring: un ring da boxe scassato e duro come il cemento ma sticazzi, per me era il “Madison Square Garden”.
Il primo passo nel sogno è corrisposto alla prima mazzata, mi hanno detto fin da subito che non ero fisicamente adatto a fare il wrestler ma non avevo la minima intenzione di mollare. Sul ring ci sarei salito, non con le classiche mutande aderenti ma con la divisa da zebra, la tipica maglia bianca e nera da arbitro.
Da quel momento è cominciato un viaggio lungo 15 anni che mi ha portato sui ring di tutta Italia e di mezzo mondo, dal palazzetto del paesino sperduto nella campagna alla fiera di fumetti gremita di fan urlanti in cosplay. Anni di amicizie, scazzi, chilometri macinati in auto, in aereo e a piedi, e soprattutto tanti sacrifici. Ne è valsa la pena? Tutte le volte che conto uno, due, tre mi rispondo: «Cazzo, si!»
Come hai fatto a diventare un personaggio per certi versi più carismatico di tanti lottatori?
Non ho mai avuto le qualità fisiche per fare il wrestler, ma ho sempre avuto l’altra caratteristica fondamentale per la disciplina: la personalità. Io, un personaggio, lo sono sempre stato. Dovevo solo convincere me stesso e gli altri. In questo salire sul ring mi ha aiutato con la timidezza: pian piano ho messo su una faccia di bronzo niente male. Poi, come per tutte le persone che lavorano sul ring, è questione di impegno costante. La mia presenza sui social è costante, per esempio su Instagram mi faccio almeno cinque stories al giorno per invitare i miei fan a seguirmi in situazioni a volte anche molto semplici e quotidiane come i miei allenamenti mattutini.
Chi come me lavora con la propria immagine deve curare i propri contatti con continuità, la mia faccia di bronzo mi porta a farmi sempre nuove conoscenze nel mondo dello spettacolo con cui poi mi sento regolarmente per parlare di opportunità di lavoro.
La mia particolarità in questo senso è che sono il primo arbitro ad aver usato la propria immagine in questo modo uscendo dal proprio ruolo tradizionale di attore non protagonista sul ring. Nel mio viaggio negli USA per esempio hanno apprezzato molto il fatto che fossi un arbitro italiano, non ci potevano credere e in diverse occasioni mi hanno chiesto di sfruttare la mia lingua per creare situazioni divertenti nei match.
Il tuo viaggio negli States è ricco di episodi gustosi, alcuni dei quali coinvolgono vere e proprie icone del wrestling e della cultura pop, da Hulk Hogan a Kane. Facci sognare e raccontaceli!
Premetto che se la mia compagna Santhel non mi avesse convinto a mollare tutto e a partire, proponendomi come arbitro negli Stati Uniti, a suon di calci nel culo non avrei mai realizzato questo mio sogno. Per sette settimane ho attraversato il Nord America in lungo e in largo arbitrando diciotto match in sette diverse federazioni per sei Stati. Gli aneddoti divertenti sono numerosi
Per primo l’episodio più importante: le ho fatto la proposta di matrimonio in ginocchio davanti alle telecamere di Wrestlemania 38 e agli sguardi di 78.453 spettatori paganti più lo staff. Direi un main event niente male.
Vi ho poi raccontato di quella volta che ho cantato Volare per Hulk Hogan? Mi trovavo nel locale gestito da Jimmy Hart, il leggendario manager col megafono, che sapeva della mia presenza e mi aveva chiesto di cantare qualcosa in italiano. Ero al banco a bere una birretta e Jimmy mi chiama, salgo sul palco e mi ritrovo vicino a Hulk Hogan. QUEL signore con i baffi gialli. Non avete idea dell’emozione che ho provato ad avere a pochi centimetri da me la persona che, se stiamo parlando di wrestling qui e ora, beh è grazie a lui. A quel punto è partita la musica. La versione di Gipsy King. In spagnolo. Inutile dire che ho cantato completamente a caso, azzeccando una nota ogni venti e ancor meno parole e che nel momento clou mi sono strappato la maglia come faceva Hulk sul ring. Un momento trash che rimarrà negli annali della storia del wrestling. Giudicate voi se è un bene o un male.
Un altro dei miti di gioventù è Kane, il colosso mascherato fratello di Undertaker. Ho ancora la action figure a casa. Secondo voi come mi sono sentito quando mi ha chiamato per invitarmi nel suo ufficio dove esercita la carica di sindaco di Knox County in Tennessee? Davanti a lui facevo fatica a parlare e continuavo a guardare Santhel. Aveva una gran voglia di chiacchierare di wrestling, mi ha mostrato i suoi memorabilia e ha stappato un whiskey super buono. Alla fine è stato lui a chiederci una foto ma purtroppo non ci ha schiantati al suolo.
Com’è lavorare nel wrestling in America? Quali sono le differenze con l’Italia?
In America il wrestling è un business che fa girare abbastanza soldi per cui è realistico pensare di lavorare a tempo pieno in questo mondo non solo come lottatore ma come staff o cameraman.
La gente va spesso a vedere gli spettacoli e riempie i palazzetti di spettatori paganti che tengono in piedi federazioni che stipendiano gente che si dedica solo al wrestling.
In America l’approccio al wrestling è professionale, un lottatore di una federazione indipendente è come un calciatore di serie D.
In Italia, anche se a qualcuno non piacerà leggere queste righe, il wrestling è fondamentalmente un hobby. Le persone lo praticano con grande impegno e passione però mancando la possibilità di farne un lavoro mancano tutta una serie di atteggiamenti che si assumono in situazioni professionali. Per esempio, in America la richiesta di una foto a un wrestler famoso da parte di un wrestler meno famoso o di uno staffer porta a essere visti più come fan che come professionisti.
Come viene vissuto il wrestling dai fan americani? Com’è l’atmosfera nelle arene?
Negli States, andare a vedere il wrestling è come andare a vedere la partita in Italia. CI sono i cori, ci sono veri e proprio ultras fedeli ai vari lottatori e la gente fa casino. Una serata di wrestling è come andare al cinema, una forma di intrattenimento parte integrante della cultura locale.
Mi è capitato di vedere le vecchiette in prima fila e non c’è niente di strano.
Una volta ho quasi mancato un booking perché nel centro commerciale dove dovevo arbitrare c’erano due show e mi sono presentato a quello sbagliato.
Da un semplice sguardo alle tue pagine social si vede che hai un rapporto particolare con le celebrità, che spesso riesci a conoscere personalmente come testimoniano le decine di foto che ti fai con loro. Ci vuoi raccontare questa parte di te?
Lo confesso, sono uno stalker. Da grande appassionato di musica seguo i concerti di molti artisti. Chiamatela fortuna, chiamatelo colpo d’occhio ma mi capita spesso di vederli in situazioni extra concerto tipo al ristorante. A quel punto mi avvicino e faccio due parole con loro. Vi ho già detto che ho una gran faccia di bronzo?
Poi c’è da dire che, girando per concerti, gli addetti ai lavori ti riconoscono, ti prendono in simpatia e quando possono ti danno una mano a incontrare la celebrità che stavi aspettando. In questo modo ho passato dei bei momenti con personaggi dello spettacolo di cui non faccio il nome perché non voglio farmi pubblicità alle loro spalle.
Il futuro di Jhonny Puttini ci riserva ancora tante avventure. Ci vuoi dare qualche anticipazione?
Presto, molto presto, mi vedrete insieme a Santhel come concorrente di “Stupido Hotel Show”, il primo reality al mondo ambientato in un albergo che sarà trasmesso su Youtube, Twitch e Facebook.
Per il resto il mio futuro è il wrestling: vorrei trasferirmi all’estero per continuare la mia esperienza americana e lavorare a tempo pieno sul ring.
Potete seguire le avventure di Jhonny Puttini QUI e QUI.
Stefano Tevin e l’Onorevole Beniamino Malacarne sono un reboot del classico Dottor Jekyll e Mister Hyde ma, invece di seguire il trend contemporaneo dell’inclusività, deviano dal canone nel fatto di essere ambedue dei fetenti. Nati entrambi nel 1981, uno è una specie di scrittore (romanzi, fumetti, articoli, quella roba lì), l’altro è un lottatore di wrestling. Tevini ti parlerà di fumetti, fantastico e simili, Malacarne di Wrestling (oltre a occuparsi della gestione operativa dei reclami e soprattutto di chi li esprime).