Tuono Pettinato

Paolo Interdonato | QUASI |
Disegno di Marco Corona

Anche quando sei un incontinente verbale, capace di riempire un paio di cartelle in un’ora intorno a qualsiasi argomento, ci sono temi che è difficilissimo toccare. Quello cui vogliamo dedicare QUASI di giugno è il più difficile di tutti.

Vogliamo parlare di Tuono Pettinato. Vogliamo analizzare i suoi fumetti come meritano. Vogliamo indagare le forme del suo racconto, la molteplicità della sua cultura. Vogliamo dire il piacere e le incazzature che ci ha procurato. Vogliamo trattare i suoi fumetti tributando loro il giusto rilievo, ma senza far loro sconti. Vogliamo raccontare la poetica di Tuono e se possibile evitare di invischiarci nella sua mitizzazione.

Volevo bene a Tuono. Gliene voglio ancora. E scrivere queste righe è doloroso, perché la sua assenza fa ancora male. Ci incontravamo in occasioni puntuali – ai festival, alle presentazioni dei suoi libri, nella redazione di uno dei suoi editori – e chiacchieravamo. Era infaticabile e devoto alla chiacchiera e al cazzeggio. A volte si proseguiva durante la cena. Periodicamente ci si sentiva in chat. Era gentilissimo e spietato: un’intelligenza affilatissima che gli consentiva di liberare una cattiveria sottile senza che nessuno ne avesse mai a male.

Quando pronunci il suo nome, c’è sempre qualcuno pronto a dirti che era un uomo buono. Forse la confusione era dovuta all’assonanza con lo pseudonimo che si era scelto. Una prossimità di suoni che lo aveva indotto a chiamarsi su Facebook “Buono Pettinari”.

Tutte le volte che sento qualcuno parlare della bontà di Tuono, ho la sensazione di assistere al tentativo di rinchiudere nel mito quell’essere voluminoso e materico, con una presenza fisica evidente capace di sprigionare un’aura di simpatia travolgente. Una sorta di Charlie Brown risolto in quella insopportabile definizione che dava il titolo al primo Oscar Mondadori dedicato a Peanuts di Charles M. Schulz: Il bambino a una dimensione.

Tuono era gentile, non cedeva mai alla tentazione del turpiloquio o della volgarità, neanche quando una parolaccia avrebbe potuto far ridere. Pareva un uomo privo di vizi (a meno che tu non voglia considerare il consumo di Estathè una pratica censurabile). Non c’era in questo suo comportamento, rispettoso tanto delle esigenze altrui quanto delle loro aspettative, nessuna idea di rinuncia al peccato. Pareva quasi che comportarsi in modo da non scatenare mai imbarazzi o tensioni fosse quello che ognuno di noi avrebbe sempre dovuto fare. Un maestro di vita leggera alla ricerca del minor attrito possibile nelle relazioni umane.

Tuono era anche il crudelissimo autore di Corpicino, di Nirvana, dell’Odiario, di Chatwin, … Raccontava un mondo di infanzia violata, di media invadenti, di malvagi, di cialtroni, di irresponsabili, di egoisti… E in mezzo a questa selva di cattiveria e asperità si muovevano i suoi personaggi, all’incrocio tra l’ingenuità del Pinocchio collodiano e l’ottimismo del Candido di Voltaire.

A stargli accanto potevi avere la sensazione che lui si sentisse proprio così.

Non l’ho mai visto bere alcolici. Eppure, a cena, quando qualcuno si offriva di riempirgli il bicchiere, non diceva mai di no. Poi, per tutta la sera, a ogni invito al brindisi, sollevava quel calice e lo avvicinava alle labbra, facendo attenzione a non bagnarsele. Quando ci si alzava da tavola, il bicchiere di Tuono era lì, pieno, senza la minima traccia di unto lungo i bordi, a raccontare la sua presenza a quel tavolo e a ricordare le decine di battute condite di sigmatismo pronunciate durante la serata. E le risate.

Una volta, durante una festa di Radio Onda d’Urto, l’ho intervistato – con Arabella Urania Strange – nello spazio incontri della “Libreria del gatto nero”. Un incontro molto bello, seguito da una tarantella di vino e bicchieri che non scorderò mai. Al termine della chiacchierata, ci avevano portato dei vassoi con il cibo che qualcuno, gentilmente, era andato a prendere nello spazio ristorante, evitandoci la fila. Mentre eravamo seduti in un angolo a mangiare, ci si avvicinava sistematicamente qualcuno dell’organizzazione con dei bicchieri di carta, colmi di un vino rosso così così. Tuono, fedele alla regola non scritta che rispettava sempre, accettava il suo bicchiere e simulava di berne subito un sorso. Era abilissimo e nessuno si accorgeva della finzione (forse anche perché quel vino così così era stato consumato in grandi quantità un po’ da tutti). Dopo un po’, il bicchiere di vino di Tuono spariva e lui era subito pronto ad accogliere con misurato entusiasmo la persona sorridente che gli si avvicinava porgendogliene un altro. Alla fine della serata, avevo contato che il rito si era ripetuto almeno sei volte. Prima di andare via, ho deciso di fare un giro nello stand della libreria. È stato quello il momento in cui ho scoperto che, dietro ciascuna delle pigne più alte di ultime novità e best seller dell’impegno, era nascosto un bicchiere di carta colmo di vino così così. Tuono sorridente, intanto, stava ringraziando, con un caldo sorriso, la persona che gli porgeva l’ennesimo bicchiere.

Tuono Pettinato è morto il 14 giugno dell’anno scorso. Mi ha insegnato che la gentilezza è una forma superiore di crudeltà. Per tutto il mese QUASI brinda ai suoi fumetti.

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