Dal 10 giugno al 10 luglio, negli spazi decisamente suggestivi di EXSA (Ex Carcere di Sant’Agata), in vicolo Sant’Agata 21, Bergamo Alta, si inaugura una mostra importante. Maurizio Bovarini è un grande disegnatore e fumettista, scomparso presto e dimenticato in fretta. Paolo Valietti, che oltre un quarto di secolo fa ha fondato con Paolo De Francesco la Fattoria Digitale Moltimedia, ha deciso di riappropriarsi di un pezzo delle sue memorie affettuose. Dopo aver verificato che quell’amore era ottimamente riposto, ha preso contatto con la famiglia Bovarini e ha progettato una mostra e un catalogo che cercano di rendere giustizia al disegnatore dimenticato.
L’entusiasmo di Valietti è travolgente. È riuscito a smuovere, addirittura, Boris e Paolo, due noti culi di piombo. I due lo hanno ascoltato con gioia durante l’allestimento, hanno contribuito con un paio di interventi al catalogo e parteciperanno alla chiacchierata inaugurale della mostra oggi, venerdì 10 giugno, alle 18:30.
Proponiamo, con una punta di orgoglio, la nota biobibliografica accuratamente predisposta da Valietti per il catalogo.
di Paolo Valietti
Maurizio Bovarini è stato un disegnatore straordinario e vulcanico. È stato anche, almeno in apparenza, indifferente alle malizie editoriali, grandi e piccole, che permettono a un autore di ritagliarsi un posto sicuro nella storia. Ricostruire la sua biografia, quasi completamente assente da tutti i testi di storia del fumetto e dell’illustrazione, ha richiesto la raccolta di informazioni di prima mano dalla famiglia: la moglie Adele e i figli Andrea e Alessandra.
Famiglia è racconto, ma anche archivio.
Un intero archivio che svela il disegnatore. L’intenso lavoro che si articola in migliaia di disegni. Schizzi, matite, cartoncini e cartoncioni. Lavori a pennino e pennello. Strappi fotografici intorno ai quali costruire immagini. Tavole a fumetti, vignette.
Maurizio Bovarini nasce a Bergamo, nei borghi storici della parte bassa della città, il 31 luglio 1934. Abita in piazza Pontida, l’unica a Bergamo dotata di autoproclamato Duca, teatro annuale del “rasgamènt de la ègia”, retaggio pagano con falò da celebrarsi a metà quaresima.
È l’ultimo di 6 fratelli, maschi il primo e l’ultimo, con quattro sorelle in mezzo. Il padre è reduce della Grande Guerra, la madre è maestra. Frequenta le scuole elementari tra il 1940 e il 1945 e questo aiuta a farsi un’idea della sua infanzia.
In famiglia si studia. La carriera scolastica del nostro è discontinua e incompleta. Una turbolenza che trova pace solo quando, nei primi anni Cinquanta, frequenta i corsi di disegno e pittura appena inaugurati all’Accademia Carrara.
Respira da subito il mondo della carta stampata. A pochi metri da casa, c’è la sede dell’Istituto Italiano di arti grafiche. Nome altisonante per una tipografia, che è anche casa editrice, nata alla fine dell’Ottocento e costruita in quei borghi per la presenza della roggia seriana, forza motrice per le macchine da stampa prima dell’elettrificazione. I cambi turno riverberano vita per quelle strade. Solo negli anni Sessanta la tipografia si sposterà in periferia, con vista autostrada, per meglio gestire le tirature milionarie di “Topolino” e di una buona fetta dell’editoria periodica italiana.
Il fratello, maggiore di dieci anni, scrive e confeziona libri scolastici. È proprio lui a introdurlo nel settore editoriale, dove ha la possibilità di comprendere i meccanismi, ai tempi abbastanza complessi e articolati, della realizzazione di una pubblicazione. Si fa le ossa tra antologie e atlanti geografici, infilando qua e là le sue prime illustrazioni. Sul finire degli anni Cinquanta inizia a pubblicare una pagina di disegni umoristici a tema musicale sul settimanale “Le Ore”.
La musica è da subito una passione centrale. Nella Bergamo degli anni Cinquanta c’è una certa vivacità nella scena Jazz. I locali del centro ospitano volentieri esibizioni di formazioni locali.
Sul finire del decennio si sente pronto ad allargare lo sguardo e si presenta con un portfolio negli uffici Mondadori a Milano. Viene assunto come grafico illustratore e inserito nella redazione di “Arianna”.
Gli anni Sessanta iniziano in una stanza condivisa con un collega a Milano e sono scanditi dai rientri a Bergamo nel fine settimana. In quel periodo conosce Adele che sposerà nel 1964.
Un paio d’anni di grosse esperienze in campo editoriale. Illustra anche, per “il Corriere dei Piccoli”, Gli Ammutinati del Bounty su testi di Tolomei. Lavorando per l’editoria, non solo come grafico ma anche come illustratore, si muove tra gli stili con agilità e interpreta di volta in volta modalità espressive adeguate al contesto. La propensione al grottesco comincia a intravedersi anche in questo tipo di lavori.
Spazio per lavori personali in Italia non c’è. Le testate da imitare vengono da Parigi, capitale culturale europea che manifesta una certa vivacità.
Interrompe la collaborazione con Mondadori e si sposta in Francia. I primi 2 mesi del 1962 li passa cercando di piazzare i propri lavori nelle diverse redazioni. Spera di potersi fermare a Parigi: in quegli anni anche la scena Jazz è vivace. Un concerto di John Coltrane lascia in lui segni profondi.
Le cose non vanno come spera. Torna a Milano, ma la trasferta non è stata infruttuosa: ha costruito una rete di contatti. Esistono altri disegnatori pronti a sperimentare strade diverse e ci sono anche spazi editoriali anomali dove pubblicarle. I suoi disegni cominciano a comparire quell’anno su “Sinè Massacre” e “Bizare”. Illustra anche per “Adam” e poi per “Hara Kiri” fino a “L’Enragè” del 1968.
A Milano, nel frattempo, è art director per le testate “Auto Italiana” e “Amica” spostandosi tra Editoriale Domus, “Corriere della Sera” e “Selezione del Reader Digest”. Realizza illustrazioni per “Cucina Italiana”.
Nel 1964 vince il premio Unità e, da quel momento, pubblica illustrazioni per i racconti ospitati nella pagina culturale de “L’Unità”. Nel 1967 si aggiudica, a Tolentino, il primo premio alla IV Biennale dell’umorismo nell’arte; ne seguirà una personale nell’ambito dell’edizione successiva, nel 1969.
Giornalista iscritto all’albo dal 1965, con esame probabilmente vissuto anche come sorta di rivincita rispetto al percorso scolastico ballerino.
Dirige dal 1967 il mensile per soli uomini “Kent”, interessante esperimento derivativo della formula “Playboy” con collaboratori di rilievo del mondo della cultura e del giornalismo. Su quelle pagine trova spazio anche la sua libertà di illustrare in una gabbia grafica molto libera.
Nel settembre del 1968 firma un’edizione italiana di “Hara Kiri”, ribattezzata “Kara Kiri”: fedele all’originale francese ma effimera, durerà solo nove numeri.
Nel 1969 arriva il settimanale “Cronaca Vera” con l’editore Garassini, lo stesso delle due precedenti esperienze. Cura il progetto grafico della testata che resterà immutato negli anni. Una pubblicazione decisamente originale nel panorama editoriale. Dopo una partenza lenta, raggiunge punte di 600.000 copie. Bovarini risulta anche come direttore responsabile. Accompagnato da Antonio Perria, giornalista e scrittore sardo, segue il settimanale fino alla morte.
La musica Jazz trova casa a Milano con la nascita del Capolinea: il meglio della scena mondiale si esibisce sul palco della cascina sui navigli. Il nostro diventa un frequentatore assiduo del locale e la produzione di disegni, ritratti e manifesti, dedicati alla musica afroamericana, è ricca e variegata.
Nel 1971 lo troviamo a bordo della rivista “Cabalà” che inaugura una nuova stagione della satira italiana. Nel 1972 su “L’Arcibraccio”, altra rivista satirica costruita da Luca Aurelio Staletti, agente dei più trasgressivi disegnatori transalpini.
Il mensile “Linus”, che fino a quel momento aveva privilegiato i fumetti americani, inglesi e francesi, subisce un cambio di proprietà e di direzione. La costruzione del mensile passa dalle mani di Giovanni Gandini a quelle di Oreste del Buono. Il nuovo direttore apre in maniera significativa le porte agli autori italiani: nel 1973 i fumetti di Bovarini compaiono frequentemente sugli almanacchi annuali e sui supplementi della rivista.
Nello stesso periodo realizza anche una parodia del film di Bernardo Bertolucci dal titolo Ultimo Tango a fumetti che viene sequestrata, seguendo lo stesso destino della pellicola.
Sulle pagine del settimanale “Epoca” nel 1974 compare per alcuni mesi la striscia Lessico Familiare.
Nel 1975 pubblica il suo libro sul ventennio fascista dal titolo Eia Eia trallallà, in equilibrio tra satira, illustrazione e fumetto.
Comincia qui la sua collaborazione con l’agenzia Quipos di Marcelo e Coleta Ravoni, che lo rappresenta insieme ai maggiori autori argentini del fumetto e dell’umorismo disegnato che in quegli anni, dopo il colpo di Stato del generale Videla, si rifugiano a Milano.
Attraverso quella mediazione, arrivano un capitolo per un volume collettivo dedicato a Casanova, cui partecipano anche Dino Battaglia, Lorenzo Mattotti, Enric Sió, Altan, Oski e Guido Crepax) e una storia su “Eureka” con testi di Max Bunker.
Lo troviamo a bordo della rivista satirica “I quaderni del Sale” di Pino Zac fino alla chiusura di quell’esperienza da cui nascerà il settimanale “Il Male”, al quale però non partecipa.
Nel 1978 la collaborazione con Altan ai testi lo aiuta a mettere a fuoco il personaggio Morgan sulle pagine di “Alter Alter”.
Nel frattempo le sue vignette sono ospitate su diverse testate umoristiche, come “La Bancarella” o “Humor Graphic”, o satiriche, come “CaneCaldo”, e nella pagine della posta di “Linus”.
Editiemme nel 1980 pubblica il libro La dinastia dei Miller recuperando una storia pubblicata nel 1973, Philadelphia Miller, il Mancino, integrandola con un secondo capitolo, Il figlio di Philadelphia Miller.
La collaborazione con l’editore Dario Mogno, grazie anche al supporto di Luigi F. Bona, continua negli anni successive in qualità di illustratore per diverse testate del settore medico, e in particolare per “Tempo medico” e “The Practitioner edizione italiana”.
Sempre del 1980 è la storia Solo chi cade può risorgere: Lo scandalo dei danni di guerra, pubblicata nell’ambito di “Storie d’Italia (a fumetti): di scandalo in scandalo”, curioso progetto del settimanale “Panorama”.
Schizzofrenia del 1982 raccoglie in volume le vignette realizzate a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta.
Continua la produzione satirica con collaborazioni con il rinato “Il Sale” e con l’inconsueta esperienza de “L’anamorfico” di Pino Zac nel 1984.
Sempre per Editiemme, su commissione di Janssen Farmaceutici, sono pubblicate in volume le illustrazioni per campagne di sensibilizzazione sanitaria ed educazione alimentare.
Fino alla scomparsa, cura la rubrica disegnata Fffortissimo sulle pagine di “Musica Jazz”, per la quale realizza anche copertine per dischi.
Muore improvvisamente nella notte tra il 12 e il 13 luglio del 1987, a cinquantatré anni, ed è seppellito al cimitero di Bergamo.