Io, Tuono, non l’ho mai conosciuto

Quasi | Plat du jour |

parole e immagine di Armin Barducci

C’è una cosa ai cui tengo molto: non racconto mai cose che non so. Può sembrare una cosa ovvia, ma è più difficile stare fermo su questo concetto che mantenerlo.

Era il 2004 o giù di lì. Mi ero ritrasferito a Bolzano dopo cinque anni, alquanto confusi, durante i quali vivevo a Bologna. Ai tempi avevo ancora dei legami con l’Emilia e quindi, di tanto in tanto, tornavo da quelle parti. A Bolzano, in quegli anni, c’era molto fermento fumettistico e assieme a uno scapestrato gruppetto di ”ritornanti disperati” avevamo creato il Progetto Monipodio. Fresco di stampa, con ancora l’odore dell’inchiostro addosso, avevamo una fotta pazzesca di andare ovunque ci capitasse per fare banchetto e diffondere il morto “numero 1”. Così, in quell’estate, mi sono ritrovato in Provincia di Modena, in zona Appalto di Soliera, a partecipare a un festival molto rustico: Rottura del Silenzio. Birra, murales, banchetti vari, fumetti e musica. Era situato in una vecchia scuola coloniale occupata. Molto bella nel suo insieme. Faceva una caldo pazzesco, con un umidità rasente il limite della sopportazione umana. Bevevi birra e non andavi mai in bagno: una cosa terribile. Non ci si ubriacava, ma tutto diventava stranamente ovattato. Il contesto del festival era molto simpatico. C’era Ericailcane che aveva dipinto una roulotte, c’erano i ragazzi di Fumetti Disegnati Male che improvvisavano un Cadavere Squisito in tema noir, c’ero poi io che facevo dei murales collettivi. Poi il palco, la musica, il frastuono, il caldo, l’afa.

Il mio banchetto era sfigatissimo, decisamente isolato, e di grandi contatti con gli altri partecipanti non ne avevo. Però avevo le mie birre e un grande entusiasmo giovanile. Non ricordo bene se poi abbia venduto qualcosa, ma ai tempi era super importante stare dietro al banchetto ed essere presente. Cosa che con gli anni ho lasciato perdere. Lungo la facciata che dava sul palco, cerano i banchetti dei collettivi, tra i quali Donna Bavosa. Lì, nel più totale caldo, in perenne zona priva di ombra, c’era Tuono. Faceva banchetto anche lui. Io un pochino sapevo chi era, ma ai tempi ero sì, grande e grosso (ok non grosso, lo sarei diventato poi), ma timido da morire. Quindi ho fatto un po’ di compere e gli ho detto: «Ciao. Prendo questo». Tuono mi ha risposto grazie e io me ne sono andato felice e beato con una copia di Ergo in mano.

In quell’occasione non gli avrei più parlato. Poi, negli anni, ci si salutava alle fiere: due o tre convenevoli e nulla più. Era quella cosa che tutti conoscevano tutti. Quando in quelle occasioni incontravo Tuono, c’era sempre tanta gente con lui che aveva smania di parlargli. In cuor mio avrei voluto farlo anche io, ma è andata così. Non lo potrò più fare. Quindi mi accontento dei suoi lavori, dei libri, dei ricordi di tutta quella serie di giochi di parole che scriveva su Facebook.

Quindi, si. Io, Tuono, non l’ho mai conosciuto.

Però, cazzo, se mi manca.

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