Non so davvero perché la protagonista di Elise e i nuovi partigiani si chiami, appunto, Elise. Nel senso che la storia, uscita da poco per Oblomov e firmata da Dominique Grange e Tardi, è basata sulla biografia dell’autrice. Racconta gli anni della rivolta, dai primi ’60 del secolo scorso, in Francia. Forse l’artista, che in passato ha conosciuto il carcere per la sua attività politica, ha preferito modificare alcune vicende o creare un personaggio a cui attribuirle. Ma questa è solo un’ipotesi, la questione è irrilevante. E non mi soffermo sul libro, presto te ne parleranno altri su Quasi (numero cartaceo). Io l’ho divorato e ti consiglio di fare altrettanto. Ti parlerò d’altro. Hai visto il titolo, già l’immagini e forse già sai la storia che ti racconterò: è stata narrata da tanti. Ma vale la pena raccontarla ancora, fare un po’ d’ordine, magari non la conosci così bene. O semplicemente mi va di parlarne. Quindi mettiti comodo, partiamo.
«Da un canto del maggio francese»
Su Fabrizio De Andrè sono state versate parole a fiumi. Prima e dopo la sua morte. Specie dopo. Pure io ho contribuito con qualche rigagnolo. Intendiamoci, che si parli delle sue canzoni è cosa buona e giusta. Specie rifuggendo dall’agiografia, che al contrario non è mai cosa buona e giusta.
Ora ti accenno a un singolo aspetto del cantautore genovese. Quello, per così dire, derivativo delle sue canzoni. George Brassens, Bob Dylan, Vangeli apocrifi, Edgar Lee Masters e via dicendo. Puoi scaricare, su questo singolo argomento, un bel pezzo di Alessio Lega. La non originalità di molte composizioni di Faber ad alcuni ha fatto parlare di plagio; ad altri ha fatto ridimensionare la sua grandezza; ad altri ancora la questione è indifferente o non la conoscono neppure. Comunque sia, la non originalità di tante sue canzoni non intacca la mia personale considerazione (sì: molto alta). Non ho bisogno di santini e rifuggo le agiografie, te l’ho detto. Non ho mai avuto desiderio di individuare «il più grande» in nessun campo. Questione oziosa. Per me ci sono «quelli grandi per davvero» e De Andrè rientra nella categoria. La rielaborazione di testi/opere altrui, fatta con intelligenza, per me è arte esattamente come la creazione di un’opera totalmente originale. E, aggiungo, mi sembra che De Andrè abbia sempre riconosciuto i debiti contratti con altri artisti, così come l’importanza dei contributi dei tanti collaboratori, da Giuseppe Bentivoglio a Mauro Pagani fino a Ivano Fossati, in un elenco incompleto.
Sulla non originalità di alcuni suoi lavori ci sarebbe da dire molto più di questo pistolotto. A me serviva solo un accenno per dirti che in Storia di un impiegato la Canzone del maggio viene invece presentata con quel laconico «Da un canto del maggio francese». Un’assenza di indicazioni specifiche che, per i suoi detrattori, può alimentare la critica feroce che lo dipinge come sanguisuga di ispirazioni altrui, plagiatore senza vergogna né gratitudine verso le proprie fonti. Non andò così, ma per la spiegazione devi avere pazienza.
Quel «canto del maggio francese» era Chacun de vous est concerné, di Dominique Grange.
L’origine dell’omaggio della cantante francese al collega genovese te lo faccio raccontare da Roberto Danè (produttore dell’album di De Andrè), da un’intervista trovata qui:
«C’era una ragazza che cantava questa canzone. Un inno del maggio parigino, anzi l’inno più famoso di quei giorni. Ce ne innamorammo subito e pensammo a una traduzione. Telefonai a Parigi, contattai amici discografici per avere la sub edizione di quel brano e poterlo così tradurre in Italia. Be’, era strano, non si riusciva a stabilire un contatto preciso … Bene, alla fine di un lungo giro che non finisce più, mi portano al quarto piano di una casa di periferia; e in quella stanza lontano da tutto e da tutti, vuota, incontro una ragazza, la ragazza della canzone, quella che cercavo. Era ricercata. Io non lo sapevo, l’ho scoperto lì; e ho scoperto anche che lei non voleva avere diritti su quella canzone. Mi disse “Ve la regalo, è una canzone di tutti”.»
L’uomo che riesce a favorire il contatto fra la coppia Danè e De Andrè e Dominique è Georges Wolinski. Tienilo a mente, poi ci torno.
Due parole su Dominique Grange
Giusto due, giuro, praticamente una cosa da WikiQuasi. Dominique nasce nel 1940, è coetanea proprio di De Andrè. Ama cantare, vorrebbe farne la sua professione già da giovanissima. Ci riuscirà, ma in un percorso in cui la passione musicale si unirà all’impegno politico, che presto diventa prevalente. Ha 28 anni quando il maggio 1968 l’avvicina ai movimenti libertari, la travolge come «un vento che non si può fermare» (una QUASI citazione che poi ti spiego), come donna e come artista. Canta nelle fabbriche in sciopero, compone canzoni di lotta che diventano inni nei movimenti di protesta.
Il primo disco è autoprodotto, lei non vuole alcun intermediario. Costa 3 franchi, ben poco anche per quei tempi. Tutti i proventi vanno a gruppi di sinistra d’azione, librerie militanti, sono reimpiegati nella lotta. Il disco è questo:
Come vedi contiene Chacun de vous est concerné, oggetto principale del mio articolo. Sarà un’altra canzone, Les Nouveaux Partisans, a causarle problemi giudiziari. Meglio, contribuirà a crearli.
Te lo faccio spiegare con parole sue, prese e riassunte da qui.
«Les Nouveaux Partisans è stata immediatamente proibita in radio. … Il suo contenuto non è stato chiaramente estraneo ai problemi giudiziari che ho avuto in seguito: quando sono stata condannata, ha fatto parte delle prove a carico. Il tribunale mi accusava di cantare canzoni che incitavano all’aperta violenza e alla guerra di classe; i versi alla fine della canzone furono considerati come un appello alla lotta armata. … Quindi, questa canzone contro la violenza dello Stato fu considerata come strumento sovversivo … ha contribuito, nel 1971, a farmi andare in galera.»
Dopo un mese e mezzo di carcere e isolamento, esce dalla prigione ed entra in clandestinità. Come abbiamo visto, l’incontro con Danè avviene in questo periodo.
La clandestinità dura fino al 1976. Per sopravvivere, le è utile l’amicizia con Wolinski, che già in gioventù le era stato vicino. L’aveva voluta accanto per lo spettacolo teatrale Je ne veux pas mourir idiot, dove Dominique interpreta una studentessa del maggio. Praticamente se stessa. Nello spettacolo oltre a recitare canta le sue canzoni. Fuori dal teatro, vende i propri dischi.
Ora, finita la carcerazione, Georges aiuta ancora l’amica, facendola lavorare per “Charlie Hebdo”.
Peraltro, questa storia attraversa altri incroci col mondo del fumetto. Te lo ha ricordato Paolo qualche settimana fa: «Il 10 ottobre 1977 la banda di “Charlie Hebdo” decide di lanciare una rivista di fumetti con il medesimo formato e la medesima periodicità del settimanale satirico. La chiama, apoditticamente, “L’hebdo de la B.D.” e non sarebbe memorabile se quello non fosse il luogo in cui Tardi conosce Grange [nota mia: e i due iniziano una relazione che li lega affettivamente tuttora].»
Ecco. Ora è il momento di inserire la parentesi su Georges Wolinski.
“Imagine”
Tranquillo, non sei finito per sbaglio su un altro articolo. Parlo proprio di Imagine, la canzone più famosa di John Lennon.
Da giovane non l’amavo molto. Bella, certo, ma della musica di quegli anni amavo il rock duro di Deep Purple o Led Zeppelin, o le sonorità più complesse di Genesis e Pink Floyd, per dire. La trama semplice semplice al pianoforte di Imagine era lontana dai miei gusti, e il testo mi sembrava bello quanto ingenuo.
Mi sbagliavo. Le parole scorrono su una melodia immediata e avvolgente: una composizione in cui testo e musica procedono in perfetta armonia. Ma, soprattutto, il suo pacifismo ha cessato di sembrarmi banale e adolescenziale. Le affermazioni di Lennon sono in realtà taglienti: affinché si possa creare un mondo diverso e migliore si deve, innanzitutto, desiderarlo. E per mantenerlo non dovrebbero esistere nazioni, religioni, desideri di possesso. Concetti rivoluzionari oggi quanto allora.
La tragica morte di Lennon (ucciso l’8 dicembre 1980) ha fatto diventare quel brano, che già prima era il suo pezzo più celebre, una sorta di “inno depotenziato”. Tutti possono canticchiarlo, fregandosene del contenuto. Esattamente come feroci capi di stato hanno potuto sfilare per le strade di Parigi accompagnati proprio da Imagine, dopo l’attentato alla redazione di “Charlie Hebdo”: la retorica del potere offusca il quadro complessivo, lo piega ai suoi fini. Ed è purtroppo molto efficace.
Insomma, sì, sto parlando di Wolinski, ucciso nell’attentato del 7 gennaio 2015. Uno degli uomini per cui, dopo e per un breve periodo, «siamo stati tutti Charlie Hebdo». Tutti, anche quelli che anni prima non avrebbero esitato ad arrestare Dominique o a zittire Wolinski e l’intera rivista.
Scusami, ti ho complicato la mappa di questo articolo. Afferrami la mano, ti riporto sulla strada principale.
Il dono di Dominique Grange a De Andrè
Parlare di diritti d’autore a Dominique è come mostrare Il Vernacoliere a Joseph Ratzinger. Inopportuno, ecco. Ogni canzone, per lei, non è tanto un messaggio, quanto un mezzo da utilizzare in lotte sociali. Sintetizza bene il suo pensiero con quel «Ve la regalo, è una canzone di tutti» detto a Roberto Danè.
Sui ragionamenti che il produttore deve aver fatto a De Andrè dopo aver ricevuto il dono non ho trovato tracce. Posso immaginare che nella discussione sia entrato lo stato di clandestinità di Dominique. Dunque l’asciutto «Da un canto del maggio francese» ha una spiegazione ben diversa da una volontà di non riconoscere all’autrice originale nemmeno i meriti artistici. Si tratta, ne sono convinto, di tutelare l’anonimato di una ricercata.
De Andrè inizialmente fa una traduzione pressoché fedele del brano. Si limita a inserire un suo verso, riproposto modificato a chiusura di ogni strofa:
Parole bellissime. Un vezzo autoriale che fa il paio col mio, quando ho voluto parafrasarle nel capitoletto biografico sulla Grange. Solo che De Andrè poi ci ripensa. In Storia di un impiegato pubblica la canzone in una seconda versione, più libera rispetto all’originale. E in cui, invece, è proprio il verso a chiusura delle strofe a richiamare il concetto «Chacun de vous est concerné» con l’ormai famoso «Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti», destinato a diventare uno slogan potente che attraverserà diverse generazioni, capace di scuotere le coscienze dagli anni ’70 alla Val Susa, passando per Genova 2001.
Storia di un impiegato (e di un uomo libero)
Storia di un impiegato meriterebbe una trattazione a parte. Oppure, specularmente, che io non ne parlassi affatto, tanto è laterale rispetto al mio racconto. Però il disco e il suo autore sono protagonisti di altri incroci di destini, fra il cantautore genovese e Dominique Grange. Seguimi.
Il disco esce nel 1973. È la storia (sintesi brutale, la mia) di un uomo che, travolto dalla propria avversione verso il potere, diventa una sorta di giustiziere proletario. Tutto questo, bada bene, quando il terrorismo di sinistra, nella realtà, deve ancora esplodere. Un album bellissimo, molto politico e per certi versi profetico, amato più da me che non dal suo autore, che lo definirà tormentato e non se ne riterrà mai pienamente soddisfatto.
Posso capirlo. De Andrè era un borghese benestante. Nessuna venatura negativa in questa constatazione, di cui lui stesso era consapevole. De Andrè era, innanzitutto, un uomo e un pensatore libero. Scusa, per spiegarmi prendo in prestito parole che ho scritto in passato, faccio prima:
«Suicidi, carcerati, sconfitti: questi erano i suoi eroi. Uomini e donne sempre e comunque veri, non privi di difetti. Ma non si pensi che in De Andrè questo essere vicino al “diverso” fosse frutto della snobistica inclinazione dell’intellettuale. Era nato ricco, ma fin da ragazzo aveva fatto la sua scelta: la sua era la Genova dei bordelli, degli artisti, dei perdenti. E dei poeti-cantautori. La frattura che volle creare con le sue “alte” origini familiari era più di un vezzo adolescenziale: era una presa di distanza esistenziale, prima che politica. Con la sua vicinanza agli sconfitti riusciva a non esprimere semplicemente l’affinità dell’intellettuale eccentrico, che alla fine non gratifica che se stesso, ma soprattutto la restituzione della dignità a quei soggetti. E alla fine quell’umanità perdente (che a molti provoca rabbia, paura, o nella migliore delle ipotesi pietà) riusciva a muoverci verso un sentimento più nobile e difficile: l’affinità umana.»
Tutto questo per dirti che la ribellione strutturata, ideologica e per così dire «collettiva e militante» dell’impiegato non è del tutto uguale a quella di Faber. Ciò che mi colpisce, e di cui ti voglio parlare, è che la distanza (apparente più che sostanziale) fra la militanza fuorilegge di Dominique e l’intellettuale attitudine libertaria di Fabrizio conduce entrambi a sfiorare un altro crocevia dell’esistenza. Se, infatti, la Grange ha conosciuto galera e clandestinità, come ti ho raccontato, un rischio simile lambisce pure Fabrizio.
Un articolo di Mimmo Franzinelli, che puoi leggere integralmente qui, racconta infatti che pochi giorni dopo la strage di Piazza Fontana il suo nome finisce nelle indagini. Ci entra marginalmente e solo per il suo rapporto di amicizia con un certo Isaia Mabellini, uno dei tanti extraparlamentari di sinistra inizialmente, e assurdamente, inquisiti. Non è il caso adesso di affrontare la strage di Milano, altrimenti non ne usciamo più. Ti basti sapere, o ricordare, che nonostante esistessero fin dall’immediato elementi che potevano indirizzare i sospetti sul versante neofascista, gli inquirenti mantennero per troppo tempo l’attenzione sulla pista anarchica.
L’autore di Bocca di rosa, ovviamente, non venne toccato oltre dalle vicende processuali della strage. Ma, te lo insegna proprio lui, «una notizia un po’ originale non ha bisogno di alcun giornale. Come una freccia dall’arco scocca, vola veloce di bocca in bocca». Così pure un nome originale, una volta finito nelle carte di indagini politiche, non ne esce facilmente. Specie quando è così succulento. Così, pochi anni dopo, l’acquisto della casa e del terreno a Tempio Pausania, in Sardegna, attira l’attenzione dell’antiterrorismo, che addirittura ipotizza la volontà del cantautore di creare una sorta di comune per estremisti di sinistra… Fino a definirlo simpatizzante delle BR, per il solo fatto d’essere stato invitato a cantare dal Circolo Due Porte, considerato una «recente creazione di copertura per le Brigate Rosse.»
Tutto questo, ti ripeto, in sintesi. Leggiti l’articolo di Franzinelli se vuoi approfondire. O farti un paio di risate amare.
Non so se e quanto De Andrè fosse a conoscenza di queste attenzioni da parte del Sisde e degli agenti antiterrorismo, che lo interessano fino al 1979. Probabilmente il sequestro subito quell’anno contribuì a far capire che «il noto cantautore e contestatore» non fosse un brigatista. La questione è emersa solo anni dopo la sua scomparsa. Io l’ho fatta lunga, ma mi sembrava interessante e curioso ricordare che in quegli anni qualsiasi parola ribelle poteva farti rischiare il carcere. Solo il caso lo ha lasciato nel campo del possibile per Fabrizio e lo ha trasformato in realtà per Dominique.
Interessante, però, è anche un’altra considerazione. Dominique e Fabrizio hanno entrambi combattuto il potere, in modi diversi. Piaccia o meno, era scontato che il potere reagisse. Lo fa sempre. Ma non sempre con la lucidità e la sottile ferocia con cui tormenta il protagonista di Storia di un impiegato. A volte il potere non è fatto di protagonisti machiavellici e brillanti, per quanto malvagi ai nostri occhi. Spesso è fatto di coglioni ottusi, che scambiano un uomo di idee libertarie per un terrorista. Ti dovesse capitare di averci a che fare, col potere, non saprei dirti quale delle due ipotesi sia preferibile (avere contro un malvagio brillante o un coglione ottuso). Nel dubbio, stanne alla larga. Ora, torniamo all’argomento principale.
Da Grange a De Andrè e ritorno
Non ho trovato dichiarazioni in cui Dominique esprime giudizi o altro sulla versione del suo brano da parte di De Andrè. Non ne ho trovate anche per la mia incapacità di tradurre, anche a livello basico, testi francesi. A dire il vero non ho alcuna inclinazione per nessuna lingua che non sia quella «del bel paese là dove ‘l sì suona». Imbranato e pigro io, e morta lì. Però è pacifico che la Grange sa che la diffusione della canzone, ancora oggi a più di cinquant’anni da quando è stata composta, è dovuta soprattutto alla versione italiana. E l’introduzione, da breve inizio a se stante, è diventata parte integrante della canzone anche nella versione francese. Sì, parlo di…
«Lottavano così come si gioca
I cuccioli del Maggio, era normale
Loro avevano il tempo anche per la galera
Ad aspettarli fuori rimaneva
La stessa rabbia, la stessa primavera»
È così che si chiude un cerchio iniziato con l’inaspettato dono di una ricercata a Roberto Danè: Dominique Grange torna alla sua Chacun de vous est concerné, ma la fa precedere dall’introduzione in italiano. Ascoltala, ti farà bene.
Vive una crisi di mezza età da quando era adolescente. Ora è giustificato. Ha letto un bel po’ di fumetti, meno di quanto sembra e meno di quanto vorrebbe. Ne ha pure scritti diversi, da Piazza Fontana a John Belushi passando per Carlo Giuliani (tutti per BeccoGiallo) e altri brevi, specie per il settimanale “La Lettura”. Dice sempre che scrive perché è l’unica cosa che sa fare decentemente. Gli altri pensano sia una battuta, ma lui è serio quando lo dice.