Si scrive “Maverick” ma si legge “Boyd” – Due di Tre

Andrea G. Ciccarelli | Affatto |

Una recensione (s)ragionata in tre atti di Top Gun: Maverick

(segue)

Atto II

Arrivato a San Diego, dove tutti noi giovani andiamo per la Comicon o, in alternativa, per correre dietro ai jet in decollo a cavallo di una moto, Maverick viene informato della cosa di Bugliano e perché è stato chiamato lì. Per togliere ai buglianesi la voglia di atomica, sono stati selezionati dodici piloti Top Gun. Tra questi Maverick, dopo opportuno addestramento mirato a insegnare loro le cose vere della vita che lui, pilota anziano, conosce bene, sceglierà i sei migliori che dovranno bombardare l’inaccessibile impianto. O, comunque, quelli con più midichlorian nel sangue.
Ma la verità è che è stato il comandante della Flotta del Pacifico, l’ammiraglio Tom “Iceman” Kazinsky, vecchio compagno di corso e amico dello stesso Maverick, a volerlo richiamare alla Top Gun (lo vediamo imbolsito e con la faccia di Val Kilmer in una foto che sa già di funerale militare). I superiori di Maverick ondeggiano tra «è un figo» ed «è un coglione», mentre, per i giovani Top Gun, Maverick è definitivamente un vecchio scorreggione. E il pensiero corre al celebre brano di Renato Zero sulla frustrazione della terza età.

Nel bar locale dove i giovani Top Gun si riuniscono per non smentire l’immagine di inguaribili coglionazzi con cui li conosciamo da più di trent’anni (coglionazzi e coglionazze: nel 2022 ci sono anche le donne), Maverick reincontra Penny – una sua vecchia fiamma, ora mamma single e barista milfissima che ha il volto e le amabili rughette di Jennifer Connelly –, chiamata a sostituire nell’inevitabile love story il personaggio dell’improbabile astrofisica bona interpretato da Kelly McGillis nel film del 1986 visto che, nel frattempo, l’attrice si è inchiattita e quindi nessuno l’ha chiamata per questo sequel. A differenza di Val Kilmer, che si è inchiattito pure lui ma a cui, per un crudele parallelismo tra vita vera e vita in scena, una brutta malattia ha portato via la voce, cosa che servirà – spoiler! – a renderlo l’unico personaggio che muore in questo film. A parte forse un pilota buglianese senza volto, anche se la memoria un po’ mi tradisce e non sono sicurissimo che quello non riesca invece a eiettarsi prima dello schianto del suo aereo.

Ma l’incontro che destabilizza davvero Maverick è quello con uno dei giovani Top Gun che dovrà istruire, Bradley “Rooster” Bradshaw che ha il volto dell’attore Miles Teller, uno che dopo Whiplash ha sviluppato una forte esperienza nell’interpretare il ruolo del giovane bullizzato da un anziano e che, dopo la brutta esperienza sul set del catastrofico Fantastic Four, ha dimostrato di saper uscire vivo anche da uno schianto mortale. Entrambi aspetti che sicuramente saranno valsi all’attore un bel vantaggio quando si è trattato di scegliere il volto più adatto per questo ruolo. Rooster è infatti figlio dello scomparso navigatore di Maverick, Goose, morto a seguito di un incidente mentre i due volavano assieme per l’addestramento da Top Gun, una morte per la quale Maverick non ha mai smesso di sentirsi in colpa. Maverick sembra scosso alla vista del giovane, che veste da tamarro come il padre, ha i baffi e porta gli occhiali a specchio da tamarro come il padre e, esattamente come faceva il padre, canta al piano quella canzone tamarissima che è Great Balls Of Fire. Anni prima, sul letto di morte, la madre di Rooster (interpretata da Meg Ryan, che però vediamo solo in un paio di fotogrammi presi dal film del 1986 ma che sostituiscono adeguatamente il cachet che l’attrice avrebbe sicuramente preteso per partecipare a questo sequel), aveva strappato a Maverick – al tempo ancora istruttore – la promessa che avrebbe fatto di tutto per evitare che il figlio si arruolasse in Marina, così da tenerlo lontano dall’infausto destino del padre. E lui lo aveva fatto, ostacolando per diversi anni la carriera del ragazzo che, ovvio, ora odia doppiamente Maverick: perché sa che è stato Maverick a boicottarlo e perché, comunque, lo ritiene colpevole della morte del padre.

Con queste premesse, l’addestramento dei giovani Top Gun non è facilissimo: a parte Rooster che un po’ odia Maverick e un po’ si contende il ruolo di primo della classe con Jake “Hangman” Seresin (uno yuppie del cielo che non esita a mettere i compagni in pericolo pur di portare a termine una missione), il problema è che questi giovani si credono stocazzo e non riescono proprio a ficcarsi in testa che devono temere Bugliano e la sua imbattibile aviazione.
E così Maverick li rimette tutti in riga, dimostrando loro che, anche se è un sessantenne coi capelli tinti e i denti sbiancati, è ancora in grado con arditissime manovre di abbatterli tutti. Esattamente come farebbero i buglianesi se questi giovani sprovveduti se li trovassero davanti in un duello aereo. Insomma, muti, puniti e fare le flessioni, mentre i superiori di Maverick continuano a ondeggiare tra «è un figo» ed «è un coglione». Più la seconda, però.

Nei giorni seguenti, tra un’uscita in mare con Pennie dove si replica la celebre scena di Fantozzi e Filini in barca col Barambani e una fuga post-coitale dalla finestra della camera da letto della donna in perfetto stile Dawson’s Creek, Maverick prepara un piano per distruggere l’impianto dei buglianesi canaglia: (questa parte la copio e incollo più o meno paro paro da Wikipedia che tanto è tecnica): volare a bassissima quota in mezzo alla valle dove si trova la struttura, in modo da evitare il puntamento dei sistemi missilistici nemici, per poi eseguire una ripida cabrata e superare la montagna che fa da scudo all’impianto. A quel punto, agganciare l’obiettivo con i laser e colpirlo con bombe guidate, per poi eseguire un’altra ripida ascesa per superare il versante della montagna successiva – una manovra che metterà a rischio di cedimento strutturalmente i velivoli – e allontanarsi prima di essere intercettati dagli avanzati aerei buglianesi con cui, nella peggiore delle ipotesi, sarà necessario ingaggiare un combattimento. Ma meglio di no che, lo sappiamo già, i buglianesi hanno la superiorità aerea.

I giorni passano e i giovani Top Gun, nonostante un sacco di allenamento a infilarsi in canyon che non esistono e a superare montagne invisibili (la dematerializzazione del conflitto è la chiave di volta di tutto il moderno warfare insieme al discorso sul tempo più volte ribadito nel film e che, lo sappiamo già, rimanda direttamente al pensiero di Boyd), sono ancora troppo lenti e non riescono a sentire la Forza che gli serve per centrare il bersaglio. Continuano a pensare mentre volano e questo, dice Maverick, in un combattimento è il male assoluto. Però farli giocare insieme a football sulla spiaggia (tutti a torso nudo – a citare la celebre scena di beach volley del 1986 –, tranne la donna, il nerd e il nero ciccio), almeno un po’ contribuisce a far nascere in loro il necessario spirito di squadra senza il quale l’avversario avrà sempre la meglio.
Ma non è abbastanza e il tempo stringe: i buglianesi hanno accellerato la messa in produzione del loro impianto e bisogna bombardarli prima che inizino a produrre l’uranio arricchito, altrimenti poi, facendo saltare per aria l’impianto, si rischia di contaminare con le radiazioni tutta la valle. Che in effetti è uno scrupolo ecologista che gli americani e i loro alleati della NATO hanno da sempre, visto l’ampio utilizzo che hanno fatto di bombe e proiettili all’uranio – questa volta, però, impoverito – nei Balcani, nelle due guerre del Golfo, in Somalia e in Afghanistan.
Chi si è beccato il cancro per colpa loro non può che commuoversi per questa grande scelta di civiltà manifestata nel film.

Maverick allora decide di andare a trovare l’amico ammiraglio con cui finora si è solo smessaggiato ma con cui sente il bisogno di confrontarsi sul fatto che lui è sì un asso a volare ma non gli frega un tubo di insegnarlo agli altri. E lì scopre che l’amico è in fin di vita. La malattia gli ha quasi tolto la voce – che, nella vita vera e per lo stesso male, l’attore non ha più: nel film, quindi, lo fanno parlare con un effetto speciale – e così riesce a dire solo poche cose e pure abbastanza banali: vedrai che ce la fai, la vita va avanti quindi devi farlo anche tu, se non sono abbastanza bravi tu insegnagli a esserlo. E via dicendo.
Poi, in quello che sicuramente avrà messo le basi di uno spettacolare effetto Mandela ai danni di Val Kilmer, i due si abbracciano per un ultimo saluto. E infatti, poco dopo, Iceman muore. Si piega la bandiera, i marines sparano in aria, gli aerei sorvolano il funerale in formazione “uomo scomparso” e Maverick, con un pugno ben assestato e pieno di pathos, infila sul coperchio della bara dell’amico defunto la spilla con le sue ali da pilota.
La morte di Iceman, però, vuol dire anche che Maverick non ha più il culo parato. E così, dopo che un paio dei giovani Top Gun rischiano di lasciarci la pelle per una manovra troppo azzardata e che uno stormo di uccelli kamikaze fa precipitare un F18 da cinquanta e passa milioni di dollari, prevale la fronda «è un coglione» e Maverick viene accompagnato alla porta.

Ora le nuove direttive del corso di addestramento sono decisamente cambiate. Basta creare tutto questo inutile stress e senso di frustrazione a dei poveri giovani colpevoli solo di essere tali. L’ammiraglio Beau “Cyclone” Simpson, che ha sostituito Maverick in questa Hogwarts con troppa Burrobirra, lo dice con chiarezza: uno, se non riuscite a fare il percorso senza schiantarvi, andate più lenti; due, se stare troppo bassi è un problema, volate più alti. Poi vedrete che con i buglianesi un accordo si trova.
Ma Maverick non si rassegna e, dopo aver parlato con Penny che lo motiva a non mollare e lo richiama alle sue responsabilità con un intensissimo «Quelli sono i tuoi ragazzi!», ruba un F18 e dimostra che il percorso si può fare e il bersaglio si può centrare, esattamente all’altezza e alla velocità che diceva lui. Perché lui è un anziano e, per riuscire, i giovani devono solo imparare a stare muti, puniti e fare le flessioni. «Bravo Maverick!», esclama all’unisono il tavolo della briscola della saletta in fondo al bar.

E infatti, anche stavolta, invece di essere appeso a testa in giù, Maverick viene premiato: sarà lui il capo squadrone della missione e Rooster il suo gregario. Hangman invece resterà sulla portaerei, a masticare il suo stuzzicadenti e pronto ad alzarsi in volo in caso di emergenza. Così, ancora una volta la fiction ci racconta un mondo dove gli anziani, lungi dal togliersi dalle balle, tengono ben stretta la cloche e asfaltano chiunque si frapponga tra loro e quel parcheggio all’ombra.

Secondo interludio

Nel 1986, dopo l’uscita di Top Gun, il numero di giovani americani che firmava per poter volare con la Marina crebbe del 500 percento. Dopotutto, nelle grandi città, fuori dai maggiori cinema che proiettavano il film, erano state collocate delle stazioni di reclutamento mirate proprio a sfruttare l’entusiasmo dei ragazzi dopo la proiezione. Top Gun era il frutto di una convergenza di interessi tra Hollywood e il Pentagono ed era stato prodotto con in mente quell’obiettivo.
Nei primi anni Ottanta, infatti, il Pentagono voleva nuovi soldati e quindi chiedeva ad Hollywood progetti da supportare che potessero disegnare – e rendere affascinante – nella mente del grande pubblico la nuova forma dell’apparato militare USA. Così, quando i due produttori Don Simpson e Jerry Bruckheimer portarono sulla scrivania del Dipartimento della Difesa la sceneggiatura di un film che parlava di piloti e aerei militari con un taglio visivo e narrativo più vicino a MTV che al cinema classico, l’ok governativo a sponsorizzare e finanziare il film arrivò immediatamente. Top Gun era il film perfetto per l’operazione di rebranding che la U.S. Navy voleva per la propria immagine nell’epoca successiva alla débâcle in Vietnam.
Questo legame a filo doppio tra Hollywood e il Dipartimento della Difesa – che esiste da sempre e continua ancora oggi – ha un nome preciso: Miltary-Entertainment Complex. I produttori cinematografici hanno bisogno di far vedere nei loro film degli aerei, dei mezzi corrazzati, delle operazioni militari? Bene, il Dipartimento della Difesa è pronto a dare loro una mano, fornendo mezzi e personale altamente specializzato. A patto di poter dire la propria sulle sceneggiature. Perché è attraverso le storie che l’industria militare forma la percezione delle persone e crea la propria agenda all’interno del sistema della comunicazione. 
E questo non riguarda esclusivamente film “di guerra”: Godzilla, Iron Man, Transformers, Ms. Marvel e persino Don’t Look Up, solo per fare alcuni esempi recenti, sono tutti film dove il Dipartimento della Difesa è intervenuto per dare una mano in fase di produzione ma, secondo il sito Spyculture.com, anche per emendare parti del film ritenute non conformi agli obiettivi di comunicazione governativi. 
Tanto che, a un certo punto, l’opinione pubblica statunitense ha cominciato a chiedersi se questa strategia non fosse incostituzionale, dal momento che, così facendo, il Dipartimento della Difesa influenza direttamente l’esito delle sceneggiature dei film (e quindi riduce la libertà di espressione) e utilizza materiale pubblico (l’equipaggiamento dell’esercito pagato dai contribuenti) per far crescere la propria influenza nell’industria cinematografica.
Ma se Top Gun: Maverick è il successo a cui tutti stiamo assistendo, è perché, in questo preciso momento, il Governo americano ha bisogno esattamente di questo film, alla cui trama è tempo di tornare.

E, appunto, dobbiamo tornare a parlare del film, per la terza (e conclusiva) parte di questa lunga, lunghissima recensione (s)ragionata. È già scritta e impaginata ma, purtroppo, dovrete aspettare fino a domani, per leggerla.
Nel frattempo, godetevi la vita e, per chi può, amatevi tantissimo.

(continua)

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