Il gatekeeping come strumento di rivendicazione

Stefano Tevini | Due calci al balloon |

Sì, ma rivendicazione di cosa?
Del diritto di essere stronzi. Quel diritto misero che sembra più importante di quelli veri. Portami l’età pensionabile a novant’anni, fammi pagare la sanità ma non toccare il mio diritto sacrosanto a far schifo, possibilmente più degli altri.
Ecco, forse mi sono lasciato prendere la mano e sono partito dalla fine. Ergo, facciamo un passo indietro, a un fenomeno miserabile che negli ultimi anni si sta ripetendo troppo spesso. Ogni volta che in un reboot, in un adattamento, in un sequel, in uno spinoff o in una temporanea sostituzione per morte improvvisa che nel mondo dei fumetti non sembra mai essere un problema definitivo, viene introdotto un personaggio gay, donna, non binario, non bianco o con un’altra di quelle caratteristiche che fan girare le palle a quelli che io non sono di destra né di sinistra non datemi del razzista ho anche amici gay, si aprono le gabbie delle scimmie urlatrici e inizia il campionato olimpionico di chi posta il rant più accorato, più becero, più velatamente xenofobo, omofobo o sessista.

Il Doctor Who affronta l’ennesima rigenerazione e ne esce donna? Eh no, non va bene, e giù post e video di protesta su YouTube… no, non posso dire da stronzi – ops, l’ho detto – ma diciamo sessisti, naturalmente mascherati da colte analisi che in confronto la Sorbona è la bocciofila del quartiere. Il dottore donna non va bene perché violerebbe non si sa bene quale canone inciso su tavolette in quarzo rubino conservate nel caveau della BBC. Non perché qualcuno è sessista. Non perché qualcuno è… ci siamo capiti.

Nella nuova serie Prime Video ambientata nella Terra di Mezzo, Gli anelli del potere, dovrebbe comparire un elfo dalla pelle scura. Boom. Scoppia la rete. Eh no. Non si può. Perché? Perché boh, non si può ma non datemi del razzista, ho anche amici gay, io. Molto bene, chi sa dirmi se Tolkien si è mai pronunciato a riguardo? E anche se fosse, ‘sticazzi? Voglio dire, non mi pare glie ne fregasse granché ma metto in conto di potermi anche sbagliare.
 In ogni caso, un adattamento cinematografico è una rilettura di un universo narrativo che evidentemente non si esaurisce con l’opera del suo creatore. Voglio dire, visto che quando si parla di mito e canone saltano fuori più esperti nel settore che virologi in pandemia o allenatori quando iniziano i mondiali, qualcuno pensa che i lettori di Stazio siano insorti per quella licenza poetica sull’invulnerabilità di Achille? Sì, perché nemmeno quella è canonica, nell’Iliade viene addirittura ferito, sorpresa sorpresa, ma nessuno ha fatto a tutti le palle alla julienne per questo motivo. Stacce, e ce sei stato. E non dirmi di no perché domani vengo a controllare e se non hai ancora trifolato i testicoli a nessuno perché Achille invulnerabile no no e poi no, e poi ti meno, ma ti meno male.
Ah no, scusa. Achille invulnerabile va bene. Non è mica nero. O donna. O trans. O gay. Cioè, insomma, quella è una questione complessa ma non la vuoi approfondire ma a prescindere non sei omofobo. Hai persino amici gay.

Però converrai con me che è misero usare il canone o qualsiasi altra scusa per dare una giustificazione patetica e con lo spessore di un foglio di carta velina, ma che ha una sua base teorica, a quello che vorresti come un safespace all’incontrario (cos’è un safespace te lo spiego dopo), un posto fatato dove le tue fantasie di maschio bianco cis etero sono ancora realtà, dove gli eroi son tutti bianchi, virili e muscolosi, dove le donne sono il pupazzetto che anche se non te lo regalavano la tua collezione era in qualche modo completa, dove non esisteva la complessità.
Ora, io capisco questo tuo bisogno di contatto con il tuo io bambino, questa tua… non dire omosessualità repressa non dire omosessualità repressa non dire omosessualità repressa… l’hai detto… coglione… ma sei un bimbo grande ed è ora che tu affronti un rito di passaggio che si chiama reality check. Sarà dura ma ti sono vicino, ed è per questo che ho deciso di procedere per punti:

Punto primo: il canone non ha valore giuridico. Nella cultura pop, con i suoi sequel, prequel, reboot e tutti gli altri modi di rimaneggiare la proprietà intellettuale tendenzialmente con la finalità di massimizzarne il profitto, il canone è arbitrario. Dove arriva il canone, per esempio, nei Cavalieri dello Zodiaco? Alle dodici case? Asgard è canone o no, visto che nel fumetto non c’è? E Lost Canvas? E Omega? Ma soprattutto, chi lo decide? Sei libero di usufruire di quella parte che preferisci del tuo universo narrativo preferito, nella forma che preferisci (fumetto, romanzi, serie TV, persino sex toys se li trovi in commercio), per qualsiasi motivo, incluso il fatto che sei razzista, sessista oppure omofobo. Sappi, tuttavia, che anche io sono libero di farmi un’idea su di te.

Punto secondo: pecunia non olet. La quasi totalità dei fumetti, romanzi, serie TV, film, inserireprodottocommercialeapiacere che ami  e che hanno segnato la tua crescita sono, per l’appunto, prodotti commerciali. Sono realizzati da un’impresa con lo scopo di farci dei soldi. Ora, chi guarda i conti delle imprese in questione si è accorto di una cosa: targettizzare solamente un pubblico di maschi bianchi cis etero, o femmine nel caso di prodotti specifici, forse forse non è più così redditizio. Là fuori c’è una moltitudine di neri, asiatici, indiani, maschi, femmine, non binari, quarantenni maschi che amano Sailor Moon e i Mini Pony e tante altre categorie che, per consumare detti prodotti commerciali, vogliono qualcosa che li faccia affezionare, immedesimare, appassionare. E se non lo trovano sai cosa? Non consumano i prodotti in questione, perché è loro diritto (almeno quanto è tuo diritto non consumarli per qualsiasi motivo, per esempio perché sei omofobo o razzista, per dire) e le aziende che li producono fanno meno soldi.

E qui vorrei aprire un inciso: non si tratta di ideologia cieca, ma di calcoli per far quadrare il bilancio. Faccio in tal senso un esempio: nel 2020 Marvel Comics, mica l’ultimo degli scappati di casa, stava per lanciare una nuova serie dei New Warriors che, nelle intenzioni degli autori, si sarebbe dovuta rivolgere ad alcune fasce di pubblico quali body positive e LGBT. Problema: alcuni personaggi sfioravano veramente il ridicolo. Per esempio i due supereroi non binari Snowflake (che in inglese significa persone che tende a offendersi un po’ troppo facilmente), in grado di lanciare cristalli simili a fiocchi di neve affilatissimi, e Safespace (che in inglese significa uno spazio libero dalla comunicazione violenta e minacciosa, detta hatespeech), in grado di generare campi di forza protettivi, oltre a Screentime, un ragazzo che ha respirato un gas che gli permette di stare sempre connesso a internet con la mente. Praticamente uno smartphone vivente.

Ora, all’uscita dell’anteprima della serie Marvel ha subito un bombardamento a tappeto di perculamenti assortiti che, al di là dei rant più beceri che sono fisiologici, ha fatto capire alla Casa delle Idee che nonostante tutte le buone intenzioni questa nuova versione dei New Warriors forse era veramente un tentativo goffo e potenzialmente ridicolo di assecondare i gusti di determinate fasce di pubblico. Ok, per esempio, il matrimonio gay di Northstar, ok Miles Morales, ma qui gli autori hanno pisciato lunghetto e il pubblico si è fatto sentire. Risultato: la serie è stata cancellata ancora prima di uscire. Non per ideologia. Non perché Marvel Comics esprima idee conservatrici, tendenzialmente è l’opposto seppur blandamente. I nuovi New Warriors non hanno mai visto le mensole di una fumetteria perché la casa editrice ha valutato che il rischio di un danno economico era più grande di un possibile ritorno d’immagine che già si stava profilando come negativo.

Terzo punto, e qui arriviamo all’apertura di questo mio pezzo: il pubblico è cambiato perché il mondo è cambiato. In che senso? Che le minoranze usano i mezzi di comunicazione. Perché possono accedervi più facilmente? Perché hanno preso consapevolezza dei loro diritti? Perché ne hanno piene le palle di ingoiare rospi? La risposta è forse, e la questione meriterebbe una trattazione a parte. Sta di fatto che prima gli stronzi erano liberi di essere stronzi. Potevano permettersi un linguaggio che ora non si possono più permettere, e che un tempo veniva rappresentato nei prodotti che consumavano mentre oggi le aziende fanno più attenzione. Oggi gli stronzi non sono più liberi di essere stronzi, e se offendi qualcuno te ne prendi le responsabilità. Civili, penali o economiche. Offendi qualcuno e quel qualcuno giustamente s’incazza. Ne ha il diritto anche se la cosa ti urta. E, soprattutto, ha in diritto di non contribuire al bonus annuale dei manager delle aziende che vendono prodotti che lo fanno sentire offeso o perculato.

Ed è per questo che, ogni volta che una minoranza viene rappresentata nei fumetti, nelle serie TV, al cinema o in qualsiasi ambito in cui prima non succedeva quasi mai, in cui solo in rari casi, come quello emblematico di Sun-Man, l’He-Man nero, solo ad alcuni era concesso avere eroi in cui immedesimarsi, gli stronzi a cui è stato tolto il privilegio di essere tali frignano come bambini a cui è stato tolto il giocattolo e tirano in ballo le scuse più tristi, invocano e talvolta inventano sacri canoni per recintare prodotti d’intrattenimento che non appartengono più alla loro visione limitata del mondo.  Chi era privilegiato si sente accerchiato e risponde in maniera aggressiva, e nella maggior parte dei casi il punto sta lì. Naturalmente il politically correct ha i suoi eccessi, ma la sopportazione di chi si sente dare del frocio, del negro e compagnia cantante, come se il problema si limitasse al linguaggio, ha i suoi limiti, con buona pace di chi si sente ferito nel profondo dal dover assaggiare il sapore della propria medicina.

Ti è piaciuto? Condividi questo articolo con qualcun* a cui vuoi bene:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

(Quasi)