Ci pensiamo dopo

Boris e Paolo | QUASI |

Siamo usciti spesso. Abbiamo bevuto e mangiato, chiacchierato, ballato, cantato, litigato e fatto monologhi, delirato, detto cazzate, sedotto, riso, schifato, fallito, camminato, visto, ascoltato, annusato, toccato, qualche volta perfino scopato.
E quando non siamo usciti, siamo rimasti sulle nostre poltrone a cazzeggiare, leggere, giocare, fumare, bere e mangiare, oppure a masturbarci, o al limite a scopare.
Avevamo un sacco di cose da fare e sapevamo (così come lo sappiamo ora) che ci sono due modi per farle: il primo prevede che ci si sieda e si pensi al modo migliore per metterle in pratica; l’altro che le si faccia.
Non siamo un granché nella progettazione e, così, invece di fare quello che avremmo dovuto, abbiamo tergiversato, procrastinato. Adesso inizio: solo un’altra partita, un’altra puntata, un altro biscotto, un’altra pagina, un altro bicchiere, un altro bacio…

Siamo dei perdigiorno, dei terribili, infaticabili, perdigiorno. Per esserlo senza pagare pegno, bisogna che gli altri non se ne accorgano. Pensa al più grande procrastinatore di tutti i tempi, Quinto Fabio Massimo, che sconfisse Annibale senza mai dare battaglia ma facendo solo finta di essere pronto a combatterla, in qualsiasi momento. Solo che quel momento non arrivava mai. Per noi è la stessa cosa. Bisogna che tutti pensino che si sia degli infaticabili lavoratori: presentarsi puntuali agli appuntamenti, non essere mai in ritardo, rispettare le date concordate. Il tempo non è elastico, è l’irrefrenabile succedersi degli eventi. «Se la vita fosse un contenitore, esso conterrebbe tempo». E in quel contenitore, lo sappiamo, non ci può stare tutto. E allora abbiamo imparato a prenderci tutto il tempo che vogliamo e a ritardare, più che possiamo, le cose che dobbiamo fare. E, tra il volere e il dovere, c’è di mezzo il potere. Per riuscire a fare quello che vogliamo, dobbiamo sapere con precisione come possiamo fare, nel tempo che ci resta, quello che dobbiamo.

È un’arte sottile e segreta che ogni grande procrastinatore sa gestire con leggerezza e sicurezza. Quando il momento ultimo, quello oltre il quale si mostra la propria assoluta inaffidabilità e si guadagna la qualifica pubblica di perdigiorno, è troppo vicino per riuscire a fare quello che si deve, si comincia, a rotta di collo, senza ripensamenti, senza mai guardarsi indietro. Si mostra, nell’azione, un’incredibile sicurezza, costretti a rimuovere ridondanze e barocchismi, orpelli e fronzoli. Il dovere, portato all’essenza, diventa efficacia.

È questo il reale motivo per cui il fumetto ci piace così tanto. È un’arte sottile e segreta, estremamente adatta ai perdigiorno. Quelli che hanno voglia di lavorare, e lo fanno programmaticamente come impiegati felici (che terribile ossimoro!), si perdono in spiegoni, disegni che fanno capire tutto, ambienti che non avevano proprio voglia di mettere in pagina ma – dannazione! – lì ci voleva un campo lungo. I nostri narratori preferiti rasentano la rudezza, sono bruschi, cercano l’essenziale, amano le campiture, sottraggono e non accumulano, cercano di sparire nel segno e soprattutto non spiegano niente, perché sanno che ti sarà comunque difficile capire se non hai capito già. E non buttano il loro tempo per rispiegarti l’ovvio, lo usano semmai per deviare, perché quando ci si dedica ad altro rispetto a quello a cui ci si dovrebbe dedicare, si fa il lavoro migliore e più preciso. Quando deviano, infatti, sono capaci di perdersi in milioni di trattini minuscoli, di dettagli oziosi, di respiro.

QUASI a novembre si perde nel procrastinare. Anche il tema che ci diamo è blando e poco normativo. Sappiamo che dobbiamo riempire questo novembre di funghi, arance, broccoli, castagne e melograni, e vino rosso, ma a come farlo, credici, ci pensiamo dopo.
Tanto, lo sai, siamo affidabili: ci trovi qui, precisi come quelli della mascherpa, ogni lunedì, mercoledì, venerdì, sabato e ogni volta che abbiamo l’urgenza e la voglia di raccontarti qualcosa.

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(Quasi)