È QUASI Natale. Non sai mai cosa regalare. Ecco una sfilza di consigli.
Orsù!
I regali di Alessandra Falca
Allora, visto che sono libraia, questa volta faccio il mio lavoro:
01. Liz Moore – Il peso (Trad. Ada Arduini) NN Editore
Questo è il primo libro di Liz Moore, da noi uscito quest’anno, ma se trovate gli altri due anch’essi editi da NN Editore, recuperateli. Una scrittrice superba che racconta la provincia americana e che si fa leggere. Un libro con un mistero e che parla d’amore e di solitudine. Consigliatissimo.
02. Vitaliano Trevisan – Works – Einaudi
Questo è un memoir. Trevisan si è ucciso a gennaio di quest’anno e ci ha lasciato questo bellissimo romanzo autobiografico. Non ha fatto altro che prendere il suo libretto di lavoro e raccontarsi. Non smetterete di leggerlo. Io l’ho bevuto.
03. Patricia Highsmith – Diari e Taccuini 1941-1995 (Trad. Viola Di Grado) – La Nave di Teseo
Per la prima volta stampati in Italia i diari e i taccuini della più grande: Patricia Highsmith. Colei a cui si ispirano tuttə. Se non avete mai letto i suoi gialli correte in libreria a comprarli. Recuperateli. Ripley vi rimarrà nel cuore. Nei diari, dopo aver letto i romanzi, scoprirete una Highsmith iperattiva, folle, innamorata, passionale, ubriaca e ossessionata dallo scrivere. Un libro per amatori. Anche perché sono più di mille pagine. Emozionante.
04. Alessandro Ceccherini – Il mostro – Nottetempo Edizioni
Questo è un “romanzo” sul mostro di Firenze, non è un reportage, non è una cronaca. Questo è il primo romanzo scritto sul mostro di Firenze. E Alessandro Ceccherini fa centro. È al suo primo romanzo e corre come un treno. Il libro si legge come se fosse un film. Si riescono a vedere tutti i personaggi e lo sappiamo, la trama è avvincente. Ve lo consiglio. Io l’ho letto in tre giorni e mi è rimasto sotto pelle. Ceccherini non risparmia niente e nessuno. Datemi retta. Fatevi un regalo. Il ragazzo si farà. E voi avrete letto il suo primo libro. Chirurgico.
I regali di Arabella Urania Strange
L’unica cosa che mi piace del natale è la colossale regressione all’infanzia che consente (anche se solo per poco, e in certe circostanze). Dolci! Regalini! Cose che luccicano! Un libro che parla di infanzia in modo sommesso, misterioso e incantevole è Storie del pavimento di Gherardo Bortolotti (Tic, 2018). 50 pagine, paragrafi brevi, luminosità imprevedibile, presenze microscopiche e fatate. Non è nuovo ma chissene, ne ha scritti tanti di libri Gherardo ma questo è il mio preferito. Le figure non ci sono, mi dispiace, ma in un cervello appena un po’ attivo si scatenerà Miyazaki.
I regali di Lella Parmigiani:
Tira aria di Natale e QUASI, la rivista che non legge nessunə mi chiede: «Cosa metti sotto l’albero di Natale? Vale tutto: dischi, libri, cibo, viaggi, progetti…»
Allora io ci metto un progetto bello, nato dal nulla qualche anno fa che si sta espandendo silenziosamente in gran parte d’Italia.
Vorrei mille progetti simili: sono progetti d’amore, ciò di cui più abbiamo bisogno.
Un’amica, la Begni (da noi l’articolo per un’amica è d’obbligo), affiancata da Simona e Patrizia, nel 2015, inizia ad aggregare il maggior numero di persone possibili in un’opera relazionale a scopo benefico, usando semplicemente il lavoro a maglia, da sempre, di fatto, momento di aggregazione femminile.
Il progetto accoglie chiunque voglia partecipare e parte dalla ricerca di un luogo fisico dove ci si possa incontrare, a tutte le ore, per fare quadrati di lana. Nasce “VIVA VITTORIA”, in uno spazio dato dal Comune di Brescia, alle spalle di Piazza Vittoria, e diventa da subito luogo di creazione e collaborazione ma anche di aggregazione, conoscenze e amicizie.
Persone di ogni età, genere, provenienza e lingua lavorano al progetto. Chi arriva torna con amici, partner, familiari e il cerchio si allarga fino a fare partecipare migliaia di persone all’opera. Le stanze dove si lavora hanno sei vetrine sulla strada. La gente si ferma, guarda incuriosita, entra, chiede e partecipa in un flusso di 150 persone in media al giorno.
Si tira tardi e mentre si lavora si mangia, si chiacchiera, si ride e si canta.
I quadrati vengono etichettati, timbrati e uniti fra loro con un filo rosso in piccole coperte di un metro quadro che verranno poi vendute in piazza Vittoria, in un fine settimana di novembre, tappezzando il pavimento della piazza con 15.000.000 quadrati di colori e decori diversi in un opera dalla partecipazione immensa, indimenticabile.
Lo scopo finale è donare il ricavato alle associazioni in aiuto contro la violenza alle donne.
Ricordo quei giorni: sole, aria fredda, migliaia di persone e di sorrisi e noi stupite e felici di tanto successo.
Un successo al di sopra delle aspettative, un ricavato importante, la richiesta inaspettata di collaborazioni e l’inizio di una sorellanza in tutta Italia.
Viva Vittoria da quel giorno si replica dove ne venga fatta richiesta, in fitta collaborazione; a oggi sono ventisei i siti che hanno aderito, per marzo 2023 sono previste le piazze di Darmstadt (Germania) e Modena, in autunno Busto Arsizio, Firenze ,Vigevano
Sembra un nulla, detto e fatto ma non è così.
Bisogna conoscerla la Begni per sapere che cinquanta chili di ottimismo riescono a fare l’impossibile.
Tenacia, costanza e generosità muovono Cristina, entusiasta trascinatrice sta aggregando migliaia di persone con un progetto alla portata di chiunque, e un nugolo di persone nell’associazione e fuori l’aiutano.
Arrivano quadrotti dalle scolaresche, dai reparti degli ospedali, dalle carceri, dalle RSA, dalle associazioni di quartiere.
La forza di questo progetto sta nel non aver bisogno di finanze per l’attuazione, di usare uno strumento di aggregazione di facile apprendimento, di fare rivivere la tradizione anche tra i giovani e rimarcare in ogni occasione il concetto che «La violenza si può fermare cominciando da noi stesse e dalla consapevolezza che noi decidiamo della nostra vita».
Noi diamo spesso per risolti e superati alcuni concetti preistorici e alieni sulle donne ma l’ignoranza, la sudditanza e la violenza si insidia da sempre nelle nostre vite.
Quella psicologa è la più usata ,quella che ti fa sentire sbagliata e la cultura alle nostre spalle non ci aiuta.
C’è un libro illustrato della fumettista svedese Liv Strömquist che dovrebbe essere diffuso in tutte le scuole. Efficace, persino esilarante, ti svela come anche personalità impensabili, considerate eccellenze nei loro ambiti abbiamo diffuso idee errate e preconcetti fomentando ignoranza, disagio e repressione.
Liv Strömquist in Il frutto della conoscenza, con vignette essenziali e istruttive, ti racconta in modo documentatissimo come è stata vissuta la donna nel tempo e cosa accomuna Jean-Paul Sartre e altri agli inquisitori.
Il Signor Harvey Kellogg (1852-1943), quello dei corn-flakes, era anche medico e scrisse testi sulla salute sostenendo che la masturbazione femminile provocava il cancro all’utero, l’epilessia e la follia.
Sant’Agostino (354-430) capovolse il concetto che il sesso era un dono degli Dei e lo fece diventare un tradimento nei confronti di Dio, in cui la donna era la grande peccatrice perché portatrice di sporche tentazioni .
Jean-Paul Sartre (1950-1980) in L’essere e il nulla spiega che la donna ha bassa autostima perché non ha un sesso ed è bucata.
Questo libro, vuoi per l’uso delle immagini nitide, per chiarezza, semplicità, vuoi per i testi documento, racconta la visione maschile della donna dalla preistoria ed è fondamentale.
Sì, dai, metto anche questo sotto l’albero!
I regali di Francesca Colaluca
Sotto l’albero di Natale trovi una bacchetta magica. Puoi esprimere tre desideri: quali e perché?
«Mi colse un’inquietudine enorme. Pensai: “Giacché mi fa male non fumerò mai più, ma prima voglio farlo per l’ultima volta”. Accesi una sigaretta e mi sentii subito liberato […]. [N]on era la mezzanotte, ma le ventitré, un’ora impossibile per un’ultima sigaretta.»
(Italo Svevo, La coscienza di Zeno, 1923, III capitolo “Il fumo”)
La stessa inquietudine coglie me a dicembre. A differenza di quella di Zeno quale manifestazione della tensione tra il dovere e il piacere, e in questa altalena, la volontà di non scegliere e quindi di procrastinare, la mia inquietudine nasce dalla percezione dell’incompiuto. Sento, a dicembre più che in altro momento, l’affanno per il tempo che è trascorso, per la vita che è passata. Per tutto quanto non mi è possibile più fare. Non voglio scrivere di persone che avrei dovuto chiamare, di cene che ho eternamente rimandato o di quelle che non preparerò più, di concerti ai quali non sono andata e neppure di carezze che non potrò più dare. Non racconterò neanche del sentimento di tristezza che mi assale pensando a quanto avrei potuto dire, fare e baciare. No, non voglio. E non perché è fra le quaranta regole della bustina di Minerva ma perché, allo stesso modo in cui Zeno ha provato l’ebbrezza della libertà accendendo quella che in quel momento costituiva l’ultima sigaretta quale soluzione al suo apparente malessere, io sento di aver trovato un regalo sensato e originale, certamente impegnativo, da mettere accanto all’abete di QUASI.
Il regalo da mettere sotto le lucine è lo spartito di John Cage. Una composizione in tre movimenti del 1952 per qualunque strumento musicale o ensemble. Lo spartito dà istruzione all’esecutore di non suonare nulla (tacet) per tutta la durata del brano. Il primo movimento dura 30 secondi, il secondo 2 minuti e 23 secondi ed il terzo 1 minuto e 40 secondi; la durata totale, ossia 4 minuti e 33 secondi, dà il titolo all’opera. Offro 4’33” per tre ragioni. La prima come metafora del silenzio: far tacere il mondo per sentire i suoni del proprio corpo. Per iniziare si potrebbe rimanere all’ascolto per un paio di minuti. Non è facile ma è una bella sfida. Una volta scopertisi, ci si potrebbe concentrare sui rumori del mondo. Insospettabili scoperte. La seconda ragione sposta l’interesse sull’azione compiuta dalla rivelazione dell’ascolto nella sfera fisica e psicologica. L’azione di percepire il rumore o il suono all’interno e all’esterno dell’involucro provoca cambiamento. Questo mutamento accende lo sguardo e illumina inevitabilmente, proprio come le lucine dell’albero, punti di vista nuovi che mostrano come due bottiglie di coca-cola non sono mai uguali. La terza ragione: nulla è solamente come appare. In una occasione, Cage suonò con strumenti musicali improbabili quali una vasca da bagno, un innaffiatoio, cubetti di ghiaccio, una pentola a vapore e un vaso di fiori, a riprova che niente è scontato. Cosi anche uno spartito segnato solamente da pentagrammi racconta una storia con una punteggiatura alternativa alle note musicali facendo udire suoni “invisibili”.
Mentre Zeno si prepara alla mezzanotte accendendo l’ennesima ultima sigaretta, io voglio augurare a tutte, tutti e tuttə delle Serene Feste. Auguri!