Andavo alle medie, e da non molto tempo avevo scoperto Imago, la prima libreria che a Brescia vendeva fumetti, insieme a libri di grafica e fotografia e qualche pornazzo d’autore o meno. Verosimilmente ci possiamo collocare fra il 1994 e il 1995, più verso il ’94 per quel che vale. Fatto sta che mi viene regalato questo volume pazzesco, Il piacere della paura, pubblicato da Mondadori qualcosa come vent’anni prima. Un volume un po’ à la Luca Carboni, usato ma tenuto bene, privo della sovraccoperta si presentava nelle vesti di questo bel monolito nero con la scritta arancio in caratteri molto anni Settanta decorata da una mano fluttuante dello stesso colore pronta a ghermirmi.
Ne sapevo ancora poco di fumetti a quei tempi, ammesso che ne sappia qualcosa ora, leggevo per lo più “Dylan Dog” e i mutanti Marvel che all’epoca mi entusiasmavano tanto, vuoi anche per il fatto che io nei redazionali entusiasti di Lupoi, Scatasta e compagnia cantante, allora lanciatissimi per i primi vagiti della short lived branca italiana della Casa delle Idee, ci credevo. Avevo tredici anni e mi sembrava di partecipare alla rivoluzione, tipo. Sta di fatto che mi casca in braccio ‘sto tomo che mi ha scaricato addosso una valanga di short stories a fumetti ed estratti da volumi più lunghi a opera di un cast letteralmente stellare. Su Il piacere della paura ho letto il mio primo Richard Corben (Cyd & Opey) e quel mozzico di Lone Sloane di Philippe Druillet (tratto da Delirius) che tanto ha segnato la mia immaginazione e forse per la prima volta me ne accorgevo. Per tacere di Alex Toth, Breccia, Battaglia, Buzzelli e Winsor McCay fra gli altri. Una terapia d’urto, letteralmente.
Di quelle pagine ricordo il profumo amaro, di carta vecchia, anzi, usata ma tenuta bene, ma comunque non di primo pelo. Carta vecchia e spregiudicatezza. Sì, perché mentre leggevo (e rileggevo, e rileggevo) pensavo «cazzo, ma qui succede di tutto». Percepivo che si sperimentava, e che di regole ce n’erano poche. Era tutto molto imprevedibile. Era tutto molto wow.
E mi ci sono ritrovato, di recente, sfogliando una raccolta di racconti brevi a fumetti di Pietro Alligo. Freak ai confini del mondo. Alligo non era presente nel volumone che ha scosso la mia prima adolescenza, eppure mi ha fatto sentire lo stesso profumo. Anche se la carta è nuova. Il come, il perché, di preciso non lo so. A livello di scrittura i raccontini fulminanti col plot twist finale non sono niente di nuovo, né particolarmente spregiudicato, roba che s’è vista già. Ma non sta mica sempre lì, la magia del fumetto che se il disegno non contasse niente si potrebbe tutti legger prosa.
E la magia succede per lo più lì, in quel tratto dal realismo quasi fotografico, iper dettagliato che costruisce mondi allucinati dal respiro cosmico, stralci di universi psichedelici che sono un trip assurdo e che ti fanno pensare a qualcosa di cosmico. Nella loro sintesi, i raccontini di Alligo contengono un respiro filosofico, certo più di quanto lo spazio concesso sembrerebbe permettere, e la polpettina di comfort food con dentro un goccia di LSD è fatta. La libertà, la spregiudicatezza, il «qui succede di tutto» si tornano a respirare. Torna l’effetto wow.
Credo sia perché un’opera è figlia di un contesto, e quel contesto lì, gli anni ‘70something, a livello fumettistico trasmettevano proprio quell’idea di vale tutto, di proviamo a vedere cosa succede, di noi facciamo e chissenefrega. Oggi tanti fumetti, non tutti, escono tiratissimi, tipo macchine da corsa ai box, tutti puliti che da un certo punto di vista va anche bene e non è che all’epoca fossero fatti a cazzo di cane, anzi, non un solo nome che ho citato in questo pezzo assurdo è un artista meno che estremamente capace (Carboni compreso, non me ne vogliano i palati fini in ascolto), ed è forse per questo che sapevano andare con il flow senza fare cazzate immani. Sia quel che sia, quel tempo è passato ma tornarci, sia leggendo Alligo sia soffiando una nuvola di polvere via dal grosso volume nero, è stato un piacere che mi ripropongo di riservarmi più spesso.
Stefano Tevini e l’Onorevole Beniamino Malacarne sono un reboot del classico Dottor Jekyll e Mister Hyde ma, invece di seguire il trend contemporaneo dell’inclusività, deviano dal canone nel fatto di essere ambedue dei fetenti. Nati entrambi nel 1981, uno è una specie di scrittore (romanzi, fumetti, articoli, quella roba lì), l’altro è un lottatore di wrestling. Tevini ti parlerà di fumetti, fantastico e simili, Malacarne di Wrestling (oltre a occuparsi della gestione operativa dei reclami e soprattutto di chi li esprime).