A undici anni usavo il “Diario Vitt”, attendevo ogni settimana l’uscita del “Corriere dei Ragazzi” e non andavo a letto senza aver visto Carosello.
Jacovitti era ovunque.
Nei momenti di noia in classe, con la biro, aggiungevo su una nuova pagina del diario, baffi e occhiali ai suoi salami animati e ai vermi parlanti.
Il suo mondo mi sembrava strampalato, quindi divertentissimo; la sua straripante fantasia mi attraeva e a volte mi ci ficcavo inventandomi un posto dentro le sue storie.
La prima volta che ho visto un quadro dell’olandese quattrocentesco Hieronymus Bosch l’ho guardato con una certa familiarità e con lo stesso desiderio di infilarmi nella narrazione: i suoi oggetti inventati, trasformati, i suoi animali fantastici, la visione burlesca, onirica e allegorica, l’apparente caos, l’ardimento, fino a essere fantastica follia, l’affollamento che regna nei suoi dipinti, mi ricordavano altro: il caos del mondo di Jacovitti.
Chiarisco subito. Due visionari geniali e stravaganti, due trasformisti che animano realtà irreali con immaginari fantastici, utopici, entrambi unici e iconici, irriverenti e provocatori, differenti per tecnica e stile, per epoca e cultura ma, nonostante tutto, così simili.
Ambedue veicolano, attraverso l’arte, un linguaggio per rompere gli argini delle regole e attestarsi su nuovi statuti di libertà. Usano la tela come un palcoscenico del loro mondo interiore, proiettano i propri codici simbolici e scelgono la libertà totale come codice di comunicazione.
L’arte, TUTTA, è il primo “luogo” del tutto è possibile e Jacovitti e Bosch l’attraversano con il linguaggio del gioco per indurre alla riflessione.
La portata rivoluzionaria del valore della loro comunicazione, non condannata alle sterili belle maniere facili, toglie ogni guaina di prudenza, li allontana dal lavoro uniforme, spesso una trappola di riproduzioni simili, per immergerli in un mondo ricco di significati e lontano dalla pura ricerca estetica.
L’analisi di simili realizzazioni induce a chiavi di lettura a diversi livelli e l’attenzione si muove nella semiotica del disegno dai significati ai a significanti, ammaliando nell’interazione il lettore- spettatore e intrappolandolo nella ricerca interpretativa.
Anche se non è sensato paragonare tavole di legno quattrocentesche dipinte a olio in bottega a fogli di carta disegnati con un pennino per essere riprodotti in stampa, e neppure affiancare due artisti di epoche storiche così lontane, rimango ammaliata dalle affinità dei loro percorsi creativi, come sempre mi capita con tutto ciò che è insolito.
L’arguzia e la satira, usate fino a toccare punte di autentica spietatezza, li contraddistinguono in una narrazione convulsa e atemporale. Simili anche alcuni lati del carattere: misantropi, sedentari, curiosi… e che altro?
Proviamo a capire .
La mostra “Bosch e un altro Rinascimento” in corso, ancora per qualche giorno, a Palazzo Reale a Milano, permette di vedere da vicino alcuni capolavori di questo artista. Alcuni per la prima volta in Italia .
Bosch opera in ambiente fiammingo e miniaturista, lavora indifferente a ogni corrente negli anni in cui il conterraneo Erasmo da Rotterdam pubblica Elogio della follia. È lontano dalla classicità imperante del nostro Rinascimento illuminato e da quanto da noi meglio espresso con Leonardo da Vinci.
Nasce nel 1450, eredita nel 1447 la bottega di famiglia van Aken a Hertogenbosch in Olanda; ne allarga progressivamente la committenza grazie alla posizione sociale acquisita con il matrimonio e all’adesione alla “Confraternita di Nostra Diletta Signora”. Con il nome modificato in Hieronymus Bosch diventa famoso e ricercato nelle corti più illuminate d’Europa.
La sua biografia è lacunosa e controversa. Bosch non firma le sue opere e quelle a noi pervenute e certificate sono solo trenta.
La sua figura è complessa, a tratti misteriosa: è un solitario, conoscitore delle suggestioni dell’esoterismo medioevale, interessato alla magia, all’alchimia e alla stregoneria, nutre curiosità per la tradizione popolare e per le dottrine eretiche. Si discute ancora l’ipotesi formulata da Wilmen Fraenger che Bosch facesse parte pure del gruppo eretico dei “Fratelli del Libero Spirito”, una confraternita presente nella sua città dedita alla pratica di riti religiosi fondati sulla promiscuità sessuale, allo scopo di tornare nuovamente allo stato di purezza di Adamo prima del peccato originale, gli Adamiti, che gli avrebbe commissionato il “Giardino delle delizie ” il suo capolavoro più noto.
Bosch dipinge con spregiudicatezza, libero da condizionamenti, disegna le sue conoscenze e il suo pensiero con audacia, usando astuzie che gli permettono di superare anche le barriere dell’Inquisizione e sia che lo si consideri un eretico che dipinge scene erotiche come pratiche iniziatiche e l’ esaltazione del piacere come veicolo religioso o un moralista bigotto, come precedentemente ritenuto, Bosch produce visioni sataniche, oniriche, orgiastiche, incredibili e talmente fantastiche da precorrere anche la fantascienza e influenzare una moltitudine di seguaci da Brueghel a Salvator Dalì e Joan Mirò fino a ispirare le correnti novecentesche delSimbolismo, dell’Espressionismo Tedesco e del Surrealismo.
La modernità della sua opera, tanto fantasiosa da avvicinarlo all’immaginativa dei fumetti, è evidente guardando i suoi trittici.
Nel “trittico delle Tentazioni di sant’Antonio” al centro non troviamo Trinità, santi o madonne ma iconoclastici mondi popolati da umani poco umani, oggetti stravaganti, navi volanti, bipedi e quadrupedi ricomposti, animali immaginari, tavole straripanti di simboli estratti dalla memoria popolare e reinterpretati, alcuni con immagini di straordinaria futuribilità.
Libero da schemi prospettici e senza tridimensionalità, stende il colore in modo piatto come nella grafica moderna, usa lo spazio senza regole, lo addensa con scene grottesche e fantastiche, diaboliche e paradisiache, in una narrazione non imposta, invita lo sguardo a soffermarsi con libertà, indagare, sognare e perdersi .
Guardando una tavola di Jacovitti, una qualsiasi, notiamo la stessa esuberanza di immagini, la stessa necessità di deformare, inventare, tagliare e ricostruire oggetti, animali e persone, la stessa straordinaria bravura inventiva e una satira acuita nel tempo, prima lieve e, negli anni, sempre più pungente.
È nel “Il Giardino delle delizie” esposto nell’ultima sala della mostra, l’apoteosi del lavoro di Bosch, che il parallelismo con la narrazione di Jacovitti diventa più evidente.
Per leggerlo bisogna partire dal basso e muoversi verso l’alto, proprio come in alcune tavole di Jacovitti.
Partendo dal fondo, attraverso abbinamenti cromatici raffinati e disegni minuziosi, si entra in un mondo da interpretare.
Bosch è il primo artista a rappresentare rappresenta il peccato con scene di ludica carnalità, il pentimento con danze sataniche e i nudi caricaturali hanno pose bizzarre, scomposte, a volte oscene.
Cinque secoli dopo, anticipando e precorrendo anche la pop art, Jacovitti usa la stessa maestria e, con caricature pungenti dal gusto felliniano (di Fellini era pure amico), esaspera, ironizza, deforma, ingigantisce i caratteri fino a farne la propria cifra; disegna corpi femminili opulenti e brutti, corpi maschili ridicoli e goliardici, impegnati in pose improbabili, assurde, fantasticamente acrobatiche.
Sbeffeggiando tutto e tutti .
Di Benito Jacovitti conosciamo la biografia con certezza; nasce nel 1923 a Termoli; a Firenze inizia la facoltà di Architettura mai terminata e si stabilisce nel 1957 a Roma.
Lavora per “il Vittorioso”, “il Giorno” e “Linus”, muovendo i suoi personaggi attraverso un’epoca che transita dalla guerra al postconflitto, tra fenomeni di costume, impegno e disimpegno civico, per finire in un’Italia in pieno boom economico.
I suoi personaggi tempestano i Caroselli negli anni Settanta e gli elementi grafici, estranei al contesto narrativo, diventano il suo elemento di distinguo.
A barchette di carta, scatole di sigarette, cerini che animano le sue tavole, si aggiungono lische di pesce, salami, vermi, fino a diventare il carattere della sua narrazione e il suo marchio.
I suoi personaggi famosi sono ritratti e satira della società e invadono l’immaginario comune anche se le sue tavole rappresentano mondi bizzarri, oggetti sminuzzati e ricomposti, apparenti nonsense.
Jacovitti anima l’inanimabile con fluidità e spavalderia, posiziona oggetti per riempire istintivamente dei vuoti in un horror vacui estremo, si muove sulla carta liberamente, con uno stile personale e riconoscibile, disegna per assolvere a un’esigenza intima e leggerlo è addentrarsi nel labirinto Boschiano, fermarsi, abbandonarsi, ricominciare, svicolare, imbucarsi e sostare nuovamente.
Per sua stessa ammissione è un umorista solitario, anarchico di centro, antifascista e anticomunista. Fortemente critico nei confronti del capitalismo e, libero da costrizioni, sperimenta ambiti nuovi.
Anche lui come Bosch vive il proprio microcosmo lontano da qualsiasi corrente, schema e influenza.
Due sbeffeggiatori, compulsivi con un’ossessione che li conduce a riempire tutti gli spazi vuoti.
Quando si addentra nei meandri erotici, un piccolo frammento della sua immensa produzione, e affronta il nudo, crea un’esilarante, strampalata e caustica parodia del più conosciuto saggio erotico di tutti i tempi, il Kamasutra.
Prima ne cura il recupero e restaura le illustrazioni originali e nel 1977, ispirandosi proprio quelle immagini, ne disegna una versione illustrata raccolta nel Kamasultra.
Sono tavole dai contenuti particolarmente audaci che portano alla rottura con l’editoria cattolica, che fino ad allora era stata tra i maggiori committenti del suo lavoro, e dimostrano come Jacovitti si liberi sempre nel suo percorso da ogni tipo di censura.
Il suo erotismo è buffo; nudi sgraziati e contorsionismi improbabili disegnati con padronanza assoluta, spesso direttamente con il pennino e nel pieno della maturità artistica.
È per il suo universo grafico, per il suo virtuosismo, per la sua “scorrettezza” che Jacovitti lavora come Bosch
«Il mio erotismo non suscita basse eccitazioni, io odio le oscenità», dichiara Jacovitti in un’intervista. Le sue vignette non esaltano il piacere e non turbano, sono disegni grotteschi e burleschi; i personaggi sembrano dedicarsi all’atto tra bizzarrie improbabili, difficoltà fisiche, costrizione, consumati in accoppiamenti acrobatici e coatti affini alla bolgia infernale.
Immagini che rafforzano il parallelo con Bosch.
Se avviciniamo una tavola di Jacovitti al “Giardino delle delizie” possiamo entrare nel dettaglio.
Entrambi si burlano di ogni convenzione dipingendo. liberi nella narrazione, senza indicarne il percorso di lettura, divertendosi, leggeri, senza l’irritante compiacimento per il proprio lavoro.
La loro maestria e la loro bravura sono il risultato di esperienza e studio e sono un mezzo, non il fine.
Con uguale modernità rispetto alla cultura corrente, tagliano e modificano oggetti e corpi, reinventandoli in un immaginario straordinario e istintuale.
Jacovitti, quando viene intervistato, non dà nessun valore simbolico alla moltitudine e al significato dei suoi oggetti. Pare non averne contezza. E Bosch pure, se diamo credito ad alcune biografie che suggeriscono lavorasse sotto l’effetto di erbe narcotiche-stupefacenti.
Istinto e ossessione portano comunque entrambi a giocare con i particolari e a perdersi nel piacere della minuzia, creando puzzle inimitabili.
Nulla ha di sacrale il lavoro di Bosch e irriverente è quello di Jacovitti che nel tempo, sperimentando ogni mezzo di comunicazione, disegna anche mazzi di carte anticomunisti, tarocchi celtici, giochi dell’oca erotici, sdoganando il suo pensiero più satirico, cinico e spudorato e dribblando ogni censura .
Entrambi superbamente alternativi, osano graffiando e la loro audacia incita, a tratti, riflessioni scomode.
Io non chiedo di più a un’immagine.
Non sa cosa ci fa qua. Dei fumetti era appassionata in passato. Curiosa e iperattiva vorrebbe vedere e vivere tutto: è una perenne dilettante di nuove passioni. Da sempre respira il mondo dell’interior design che è diventato parte della sua vita e del suo lavoro: ristruttura spazi collettivi e privati, progetta interni, disegna mobili e complementi d’arredo unici, ogni tanto anche in giro per il mondo. Vive di quello che le piace fare. Progetti futuri? Non fare progetti.