Il continuo mutamento iconografico che, negli ultimi 30 anni, ha portato Giorgia Meloni da giovane virgulto di Alleanza Nazionale a diventare Presidenta del Consiglio deə Ministrə, è – fuor di dubbio – uno dei percorsi di ricerca del consenso più interessanti del nuovo secolo. Ma soprattutto è la prova lampante di come il postfascismo…
…scusa, mi rendo conto che devo fare una precisazione; per come la vedo io il postfascismo è tutto ciò che ha seguito la svolta di Fiuggi, mentre il Movimento Sociale è stato una lineare continuazione, per quanto camuffata (vedi il mimetismo di cui ti dirò tra un po’) del fascismo classico (corporativismo, stato etico e tutte quelle cazzate lì)…
ma torniamo al discorso principale: ti stavo dicendo questo postfascismo prima di essere un’ideologia, è – come lo era stato il fascismo – una prassi mimetica per la conquista del potere.
Nel corso del 1923 il ministro delle finanze Alberto de’ Stefani, elaborò una serie di riforme liberiste che vennero attuate l’anno dopo. Una di queste consistette nell’accorpamento di alcuni ministeri affini. Tra le varie fusioni ci fu quella per cui il Ministero delle poste e telegrafi assorbì il Commissariato per la marine mercantile e il Ministero delle ferrovie, diventando il Ministero della comunicazione. A dirigere il neonato ministero fu chiamato Costanzo Ciano a cui fu affiancato, per volere stesso del Duce, come sottosegretario Sergio Panunzio.
Ora, il nome di Panunzio, come è giusto, ti dirà poco e niente, ma devi sapere che fu uno dei massimi teorici del fascismo.
Di origini pugliesi, di estrazione altoborghese, si avvicinò al sindacalismo rivoluzionario e si legò d’amicizia con Benito Mussolini ai tempi della sua direzione de “l’Avanti”, seguendolo poi in tutta la sua parabola politica.
È proprio nell’anno in cui diventa sottosegretario che dà alle stampe, per i tipi di Alpes (casa editrice diretta da Arnaldo Mussolini, fratello minore di Benito, che nel 1929 pubblicherà l’esordio di Alberto Moravia, Gli indifferenti) un pamphlet dal titolo programmatico: Che cos’è il fascismo.
Il fascismo, secondo Panunzio, – lo dice papale a pagina 75 del suo libercolo – non è un’ideologia, quanto un fatto che si svolge.
Non devo mica interpretarla io questa affermazione. L’ha fatto John Austin nel 1955 (in italiano lo ha pubblicato Marietti qualche anno fa, con il titolo di Come fare cose con le parole, leggilo è illuminante): un fatto che si svolge è un atto performativo, un’azione che, attraverso l’enunciazione di se stessa, permette il verificarsi del contenuto dell’enunciazione stessa. In parole povere, una narrazione. È in questo senso che Camillo Berneri (lo sai chi fu, vero? se no te lo racconto in una prossima pantomima – fammelo sapere) – in un bellissimo saggio del 1934 – definì Mussolini un grande attore.
Per inciso, la parte che ha interpretato meglio, secondo me è stata quella del salame appeso a stagionare in piazzale Loreto il 29 aprile 1945: atto performativo (sostanzialmente involontario) che ha dato un senso a una parte di storia successiva – non è questo l’ambito per parlarne, ma ti rimando intanto alla lettura di un testo fondamentale di Sergio Luzzato, Il corpo del Duce, Einaudi, 1998.
Torniamo al nostro argomento. Quasi stesse scrivendo un trattato di narratologia fascista, Panunzio continua affermando che il fascismo può permettersi di essere rivoluzionario e conservatore nel medesimo tempo – no, metti da parte l’indignazione e aspetta di sentire come chiude il ragionamento, non è un paradosso di comodo, è un’assoluta verità strutturale – perché spiega, il fascismo conserva il passato, realizza il presente e si orienta al futuro «nei limiti della condizionalità e dell’attualità storiche».
Ecco questo è il nodo centrale. Il fascismo non agisce sulle condizioni storiche e sociali, ma si muove nei loro limiti, raccontando a chi in quelle circostanze può attribuirgli il potere (il re nel ’22, una minoranza votante meno che dignitosa nel ’23 del secolo successivo) la storia che vuole sentire.
Con l’intervento di un bravo parrucchiere e di un grafico nemmeno particolarmente abile nei fotoritocchi, Giorgia Meloni ha messo in pratica la teoria panunziana. Ha abbandonato il MSI (quindi il fascismo storico) in favore di Alleanza Nazionale (il fascismo in declinazione attuale), depurato di cazzate come il corporativismo, l’antiamericanismo e l’antiebraismo: quello era il carro lanciato verso il potere. Da giovane oppositrice (nel MSI contestava la riforma Jervolino) diventa, come responsabile di Azione Studentesca, fiancheggiatrice del Ministero della pubblica istruzione, per diventare addirittura ministra con il quarto governo Berlusconi. Al termine della sua grigia carriera di burocrate ministeriale, assume un’immagine da pornostar anni Novanta (il riferimento chiaro dei manifesti con cui pubblicizza il suo nuovo marchio: Fratelli d’Italia, è Selen), per poi trasformarsi in materna e bigotta casalinga e diventare una incontenibile Erinni durante la sua opposizione al governo Draghi. E arriviamo alla trasformazione finale, quella in Presidenta che deve tenere insieme consenso interno e riconoscimento internazionale.
Meloni è una grande attrice, che all’interno di una complessità sociale come quella attuale, dove è impossibile (o per lo meno molto difficile) distinguere gli elementi dalle relazioni che li compongono, è riuscita a ottenere il potere variando aspetto di continuo, creando ogni volta personaggi nuovi. Ovvio che chiunque (e intendo proprio chiunque) si candidi a governarti, lo fa solo per sua affermazione e interessi personali, mica perché ti vuole bene, ma il modo in cui il camaleontismo ideologico performativo (il fascismo, a differenza del comunismo, è ancor vivo – anche se post – proprio grazie a questa sua natura mimetica) ha assunto in Giorgia una forma biologica così chiara ed evidente, per me, ha dello straordinario. Cioè, è come se Mystica esistesse davvero.
Il fascismo può essere contemporaneamente tutto. Rivoluzionario e controrivoluzionario, popolare ed elitario, sociale e dittatoriale. Giorgia, al tempo del MSI era giovane, stava nel Fronte della Gioventù ma aveva fondato un coordinamento dedicato ai vecchi. Gli Antenati. Il problema di questo tipo di narrazione è che per dire di essere una cosa devi affermare di essere anche il suo contrario. Giorgia viene da quella scuola (il fascismo) per cui dirsi giovane e vecchia, rivoluzionaria e conservatrice, autoritaria e libertaria, corporativista e liberista, oppositrice e collaboratrice, pornostar e mamma cristiana, spaventata dalla sostituzione etnica e farsi le foto con i bimbi etiopi, sono esattamente la stessa cosa. Però è anche furba, sa che ci sono cose che non puoi più dire di essere. Tipo che non può più dire di essere fasciste, nemmeno post.
Probabilmente, all’interno di questo dualismo narrativo non avrebbe problemi a dirsi antifascista, ma siccome anche la narrazione più stupida (come è la sua) ha bisogno di una sua logica interna, per come abbiamo visto che funziona l’ideologia mimetica cui fa riferimento, cioè secondo contrapposizioni risolte in una specie di corporativismo lessicale, per dirsi antifascista dovrebbe ammettere di essere prima di tutto fascista. Questo, non perché non lo sia ma perché ci sono cose che non è opportuno dire, è ovvio che non può farlo.
Non fa un cazzo da anni, ma è invecchiato lo stesso. Vive a Milano, e non potrebbe farlo in nessun’altra città italiana. Legge e parla di fumetti dal 1972 (anno in cui ancora non sapeva leggere). Ha una cattiva reputazione, ma non per merito suo. Ama e praticava la boxe, poi si è rotto. Beve tanto in compagnia di gente poco raccomandabile, tipo Paolo con il quale – per colpa di una di quelle bevute – si è ritrovato a curare QUASI.