Un suplex dritto al cuore: Do A Powerbomb, un atto d’amore di Daniel Warren Johnson

Beniamino Malacarne | Squared Circle |

Daniel Warren Johnson è un autore semplice, molto lineare nel suo processo creativo. In soldoni, lui prende una dose cavallina di amore puro, l’aspira con una siringa ipodermica e te la pianta più o meno dove ti batte il cuore, effetto Mia Wallace che come ti ripigli dalla lettura di un suo volume pure tu ansimi: «Ho detto cazzo che botta, che botta cazzo!». L’ha fatto con Murder Falcon, una spremuta di cuore di uno che l’heavy metal l’ha amato duro e usata per cucinare un urban fantasy esagerato con personaggi steroidei che sono un distillato ultrapop innaffiato di adrenalina. In quel fumetto meravigliosamente sparato fuori da un cannone si vedono un sacco di mazzate disegnate con un dinamismo da far sanguinare gli occhi, perfetto per raccontare una storia d’azione che parla dritta alla pancia e che sì, ti fa piangere perché Daniel Warren Johnson ti sa far emozionare, cazzo se gli viene bene, con poco, con invenzioni narrative semplici quanto senza paura, con cui sembra divertirsi un casino ma con cui ti parla anche della morte e della possibilità di non farcela, non importa se ce l’hai messa tutta, succede e non c’è niente di male perché è tutto parte della vita, e l’importante è aver amato fino alla fine con tutto quello che avevi.
Ecco, Do a Powerbomb è quella roba lì. Murder Falcon, ma con il wrestling. E se ci sono fumetti e wrestling shakerati e buttati giù tutti d’un fiato, quei due fili così importanti di quella rete di sicurezza emotiva e mentale che in qualche momento del cazzo, brutto forte, ti è tornata utile, e che ancora sono due coordinate più importanti sulla mappa di quel posto bislacco che è la tua testa, beh, forse Daniel Warren Johnson di siringhe nel cuore te ne ha piantate due per poi sedersi sugli stantuffi con un legdrop tipo Hulk Hogan finché l’arbitro non ha contato uno, due, tre e tu te ne sei rimasto lì steso a riprenderti.

Sì, perché la ricetta è la stessa e obiettivamente, al netto di tutte le implicazioni personali che di cuore qui ce ne lascio una fetta bella grossa, Do a Powerbomb segue quasi pedissequamente la traccia di Murder Falcon ottenendo pressoché gli stessi risultati: una figata da paura che ti fa ridere e ti fa piangere, un braccio teso dritto nei denti che ti manda gambe all’aria in un ottovolante di esaltazione a cannone e bestemmie a denti stretti, di speranza e di tristezza dura. Ero lì sul ring con i Sun and Steel a combattere quel torneo indetto da un necromante per riportare in vita l’anima di una lottatrice trapassata, mi esaltavo a ogni mossa, tra l’altro rappresentata con una plasticità e un’energia cinetica esplosiva della madonna, roba da farti venir giù i denti, e mi disperavo ogni volta che l’arbitro contava i protagonisti con le spalle a tappeto.
DWJ prende tanto dal wrestling. Prende la visività, prende il dramma e prende l’intensità, ma soprattutto prende l’esagerazione sopra le righe portandola oltre gli ovvi limiti della realtà fisica utilizzando la propria arte di fumettista per sparare l’azione, la tensione e il dramma sempre più in alto, esagerando, travolgendo le barriere per volare altissimo con momenti di pura sboronaggine esplosiva dove ti puoi solo chiedere cosa s’inventa per mandare avanti una storia la cui tamarraggine ha già ampiamente raggiunto livelli stellari.

Quando ho pensato a questo pezzo non sapevo con quale delle mie due identità scriverlo, ma è giusto che alla fine a firmarlo sia l’Onorevole Beniamino Malacarne. Perché l’occhio alla fine è il suo, di quel Mister Hyde vagamente dissociato che si attiva quando l’energia del ring fa vibrare l’aria, quello che pian piano prende il controllo quando il suo corpo ospite si allaccia gli stivali rigorosamente fino al terzultimo buco, per poi legarsi le stringhe in disavanzo dietro ai polpacci. L’Onorevole Beniamino Malacarne, che il sapore elettrico dell’aria carica dei palazzetti lo conosce bene, che con Daniel Warren Johnson si capisce, perché lungo gli stessi cavi immaginari connessi al centro del cuore i due fanno scorrere il potere di incendiare l’emozione.  

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