Risulta evidente che il suo è un atteggiamento passivo-aggressivo. Tutte queste domande, che si fingono affermazioni, denunciano un’insicurezza insopportabile. Attenta com’è alle mie dimensioni, le commenta con stupore. Però sta ben attenta a non avvicinarsi al letto. E di cosa ha paura? Sono qui per il piacere.
Questa cuffia rosa mi imprigiona le orecchie. Il corpo ispido e peloso, infilato nella vestaglia di tessuto acrilico, si carica di energia elettrostatica. Ogni movimento è una festa di scintille tra le lenzuola. Non so dove tenere la coda. E quella fa domande irriverenti con tono di sentenza perentoria.
È proprio scema. Ci siamo incontrati poco più in alto, nel bosco, e lei era tranquilla. Avrei potuto saltarle addosso con un solo balzo e si sarebbe tutto risolto in un attimo. Invece ho deciso di giocare. Le ho indicato la strada più lunga, lei ha sorriso e l’ha imboccata. Mi sono precipitato qui e la porta era aperta. La vecchia non era niente di che. Ho fatto quello che andava fatto e mi sono travestito.
L’attesa è stata estenuante. Quando iniziavo a cedere che non sarebbe mai arrivata, ho sentito bussare.
Al suo ingresso la stanza illuminata ha cambiato colore. Un rossore soffuso si è impadronito delle pareti. Il suo profumo acerbo mi rimbalzava nelle narici. La sua presenza riempiva tutti i sensi.
Da lontano, ha iniziato a fare apprezzamenti sulle mie misure. Sulle mie dimensioni. Sembrava chiedere a cosa mai potessero servirmi parti del corpo così grandi, corpose, turgide e vitali.
Per guardarti, per ascoltarti, per ghermirti.
A quel punto si è sollevata la gonna, mostrandomi quello che nascondeva. Il suo profumo era insopportabile ai miei sensi sviluppatissimi.
Assai attenta che io potessi vedere tutto, ha detto:
«E quella bocca? Per mangiarmi meglio?»
E mi è saltata addosso.
Noi, Rosso Foxe.