Un crossover tra Mappaterra del mago e La corsa dell’oritteropo di Francesco Pelosi e Omar Martini
Stiamo parlando di La strana morte di Alex Raymond (abbreviato: SDOAR), opera di Dave Sim in cui il fumettista espone anche le sue idee a proposito di ciò che chiama “metafisica del fumetto”, una sorta di ingerenza dell’immaginazione sulla realtà. Omar stava giusto dicendo che Sim non si preoccupa mai più di tanto di non essere capito…
(la prima parte della chiacchierata la trovi QUI)
Francesco: Sì, il problema di non essere capito non sembra sfiorare mai più di tanto Sim. Probabilmente parte della forza dei suoi fumetti sta anche qui. Tornando invece a ciò che dicevamo all’inizio, certo, è dura considerare “corretta” la sua affermazione riguardo al fatto che l’archetipo femminile di Jessica Millbanks si sarebbe “incarnato” in Grace Kelly, ma ciò che mi porta a leggerla come qualcosa di più di una semplice metafora verbale, è proprio tutto il discorso che viene fatto più avanti nel corso di SDOAR, su come le sceneggiature di Ward Greene abbiano influenzato in maniera occulta la vita e la morte di Alex Raymond.
Sono andato a rileggermi il lunghissimo scambio via fax che Sim e Alan Moore hanno avuto nel 1997, pubblicato da Black Velvet nel volume, Alan Moore: ritratto di uno straordinario gentleman, curato da smoky man, Gary Spencer Millidge e te. In quel dialogo Sim è principalmente interessato a From Hell, il fumetto di Moore e Eddie Campbell sui delitti di Jack Lo Squartatore, e Moore a un certo punto gli dice: «Vedi, in un certo senso, le periferie dell’omicidio, mito, dicerie e folklore che riguardano un caso specifico, mi sono sempre sembrate potenzialmente più fruttuose e appaganti di uno studio ridondante sulle mere questioni legali attorno al cuore di un delitto».
E poi spiega come il suo metodo di lavoro si fondi spesso sul tracciare prima di tutto una «mappa mentale presa dall’alto» dei fatti che vuole esplorare e di come poi, se questa mappa degli eventi, dei personaggi e delle loro implicazioni, è abbastanza precisa e accurata, qualunque dettaglio anche superficiale che salti fuori in seguito sia «destinato ad adattarsi perfettamente al contesto, in un modo o nell’altro».
Sim gli risponde: «Il periodo di gestazione di Reads [il nono volume della saga di Cerebus] rispecchia quanto hai detto a proposito della tua esperienza con From Hell. Ogni piccolo frammento in cui mi imbattevo (o almeno la maggior parte) sembrava trovare il proprio posto all’interno del lavoro finito».
Ecco, la precisa sensazione che ho avuto leggendo queste parole, è che SDOAR sia un enorme incidente fumettistico su questo metodo di lavoro. Là dove From Hell (ma anche Alice in Sunderland di Bryan Talbot, che mi pare un lavoro con la stessa idea di indagine alla base) riesce a ricollegare tutti “i puntini” e a dare al lettore un discorso compiuto, per quanto tutt’altro che deterministico, SDOAR sbanda malamente, con tutte le suggestioni e gli interrogativi che Sim mette in campo durante il racconto, che si sgonfiano pesantemente e alla fine non sembrano altro che sue paranoie personali. Che ne pensi? E ancora: hai notato questo tipo di approccio in Reads?
Omar: Concordo: Dave Sim non sembra mai avere dubbi… Su nulla. É la sua forza (e anche la sua debolezza intrinseca), che si unisce alla sua vena di moralista. È convinto di essere nel giusto… Sempre… Per cui si arroga il diritto di esprimere le proprie opinioni con la forza della loro esattezza, che non può essere messa in discussione. Questo aspetto lo si vede anche nella sua introduzione al volume che citi, Reads, dove è convinto, soprattutto nel discorso dell’autoproduzione, di essere (implicitamente l’unico) dalla parte della ragione e che sarebbe capace (probabilmente più per sfinimento che per reali motivazioni) di convincere chiunque della veridicità del proprio punto di vista. Peccato, però, che “dimentica” che non è stato l’unico a portare avanti la bandiera dell’autoproduzione. Probabilmente non è casuale che non nomini (nella prefazione, mentre in Reads è presente) Jeff Smith, con cui ha avuto una faida durata anni (e credo mai conclusa) e che è arrivato a sfidare per, letteralmente, picchiarsi. È questo che rende ormai sempre più problematico rapportarsi con i diversi aspetti di questo autore e delle sue idee: ragionare sulle sue posizioni e su come le espone; comprendere come utilizza gli elementi autobiografici che diventano elemento indissolubile di una visione del mondo e della materia dei suoi fumetti; ragionare su quali possano essere gli argomenti “interessanti” da utilizzare per un racconto a fumetti. Ecco, alla fine la cosa più interessante del suo essere “controcorrente” e “bastian contrario”non è tanto il fatto che lui ha ragione e, di conseguenza, tutti cercano di non avere contatti con lui perché si rendono conto che i loro ragionamenti sono sbagliati, quanto il fatto che, cercando di delineare un giudizio obiettivo su quello che ha realizzato, finisce effettivamente per farci ragionare su quegli aspetti della narrazione a fumetti che davamo implicitamente per scontati.
È proprio per queste ragioni che penso Sim abbia applicato solo in parte il discorso della mappa mentale in cui i vari punti del discorso si (ri)uniscono in un ragionamento in cui tutto sembra adattarsi perfettamente, ma anche dove si possono scoprire nuovi punti che possono entrare a far parte del discorso che l’autore (in questo caso, Moore) fa, se non addirittura condurlo verso nuove direzioni. Il discorso mooriano della “mappa mentale” implica, a mio giudizio, esplorazione e approfondimento, che ti possono condurre verso territori imprevedibili. È la scoperta che la strada banale che fai tutti i giorni, senza apparenti elementi particolari e che ormai non guardi più, percorrendola con il “pilota automatico”, in realtà, solo un secolo prima, era stata frequentata da un personaggio famoso, era stata il teatro di qualche evento importante o di una scoperta fondamentale. Questa nuova co(no)sc(i)enza ti permette di attribuire a quel luogo un valore diverso. La mappa, in Moore, è movimento di avvicinamento dall’alto verso il basso per mettere maggiormente a fuoco la materia, ma anche “penetrazione dell’interno” per scoprire livelli diversi, solo paralleli o che riescono a intrecciarsi. È il lavoro che fa nei suoi testi recitati, di cui Eddie Campbell ha realizzato in maniera mirabile l’adattamento a fumetti (Sacco amniotico e Serpenti e scale), ma è anche l’elemento che contraddistingue i suoi due romanzi La voce del fuoco e Jerusalem. È quello che compone la psicogeografia, e che lo accomuna a Iain Sinclair, suo amico scrittore (e collaboratore occasionale di DaveMcKean).
In Dave Sim (per cui in Reads, ma anche in altre opere come il penultimo dittico su Hemingway che citavo prima) quando c’è questo movimento di “messa a fuoco”, per documentarsi e aggiungere determinati elementi che aiutano a formare un quadro più preciso, viene effettuato, a mio giudizio, esclusivamente per motivare il proprio assunto iniziale (un altro esempio di questo tipo è il suo Judenhass). Con un atteggiamento decisamente manicheo (la pensi come me oppure sei contro di me), non me lo vedo studiare qualcosa e trovare degli elementi che lo fanno cambiare completamente idea o posizione su un determinato argomento. I vari pezzi che aggiunge sono semplicemente quelli che confermano ulteriormente il suo assunto iniziale… Oppure li inserisce per ridicolizzarli e confermare la sua idea. Prescindendo dalle idee, è proprio il suo atteggiamento verso ogni cosa che mi rende difficile credere che possa avere un approccio analogo a quello di Moore. Forse potrà esserlo nella forma, ma non nello spirito che lo guida.
Diverso invece è Alice in Sunderland di Bryan Talbot che, più che presentare analogie con From Hell, mi sembra sia più vicino al Serpenti e scale di Moore & Campbell, con la sua disamina sociologica, storica e geografica di un’opera, un autore e un luogo. Tra l’altro, ora che mi ci fai pensare, credo che la “mappa mentale” Talbot l’abbia usata anche per il suo La storia di un topo cattivo. Nella postfazione della nuova edizione appena riuscita in libreria, infatti, racconta la genesi di quel graphic novel ed è affascinante leggere la sua graduale e causale messa a fuoco della tematica che voleva approfondire: un percorso accidentato (come potrebbe essere altrimenti con una mappa?) che si è evoluto mescolando elementi, incontri e letture casuali.
F: Sono andato a recuperarmi la nuova edizione del Topo cattivo uscita da poco per Tunué (e tradotta da te) per rileggere la postfazione che citi e hai ragione: il lavoro di Talbot su quel materiale sembra proprio aver seguito una mappa come quelle di cui stiamo parlando.
Mi fa sorridere il fatto che siamo finiti a parlare di mappe dell’immaginario, perché è esattamente l’idea su cui ho basato il lavoro sulle opere di Moore che sto portando avanti, decidendo di avanzare “a caso”, fra i richiami e le analogie che mi si presentano mano a mano che le leggo. Questo tipo di procedimento nella ricerca porta all’altro concetto che volevo discutere con te, che ho trovato in SDOAR e che Moore cita spesso: il fatto che tutto ciò che viviamo durante la nostra vita non sia soggetto allo “scorrere del tempo” ma sia invece un unico blocco di tempo congelato, dove le cose accadono, sono accadute e accadranno continuamente, in un’eterna compresenza. Questo concetto di matrice einsteiniana, chiamato Eternalismo, fondamentale nel Jerusalem di Moore ma, in generale, in quasi tutte le sue opere da From Hell in poi (e di cui lui ha parlato anche con te, nella bella intervista che gli hai fatto nel 2002, ripubblicata recentemente nel libretto Alan Moore – 5 interviste, curato da smoky man), viene adottato, per me abbastanza sorprendentemente, anche da Sim in SDOAR. Qua e là durante l’ “indagine-conferma della sua tesi iniziale”, Sim commenta che i fatti inerenti la morte di Alex Raymond sono «accaduti… Accadono… Accadranno», utilizzando sempre questa forma omnicomprensiva dove i verbi vengono declinati nelle tre forme temporali.
Lo stesso concetto l’ho ritrovato anche in George Sproot, il fumetto di Seth, quando il protagonista fa considerazioni riguardo all’impossibilità di stabilire cosa ci sia prima della vita e dopo la morte e dice che una volta, leggendo un fumetto, ha avuto un’illuminazione: «Queste caselle in fila», commenta riferendosi alle vignette, «forse non sono solo in sequenza. Forse l’azione della casella centrale non è solo determinata dall’azione della casella precedente, forse è anche influenzata da quello che deve avvenire nella casella successiva. Deve completare l’azione e prevederla in entrambe le direzioni. Forse così il futuro determina sia il presente che il passato».
Considerando che Sim in SDOAR adotta il punto di vista della “metafisica del fumetto”, ovvero di un’ingerenza dell’immaginario sulla realtà, la tesi che propone Seth in George Sproot sulla non-sequenzialità del fumetto e sul suo essere a tutti gli effetti una rappresentazione di un Universo Blocco eternalista, mi sembra possa centrare con il nostro discorso, soprattutto con le visioni di Moore e Sim che, pur non potendosi accumunare per i differenti approcci che hai evidenziato prima, hanno certamente dei punti in comune. Ecco, non ho una vera domanda su questo, vorrei più che altro chiederti un commento, il tuo punto di vista, su Eternalismo e fumetti e, al solito, su come e dove questo potrebbe essere rintracciabile nelle altre opere di Sim.
O: Ma sai che proprio oggi, mentre leggevo A Seventh Man (Il settimo uomo) di John Berger e Jean Mohr, lucido libro sulla migrazione e sull’uso del lavoro, purtroppo ancora attuale dopo quasi cinquant’anni, il critico faceva delle considerazioni sul tempo che, in parte non sono poi così dissimili da quelle espresse da Seth? Sintetizzando in modo sicuramente rozzo, lo scrittore afferma che per il migrante il presente non esiste, ma è preso in mezzo a uno stato costante in cui ricorda il passato, ormai immutato, e spera, immagina e vive per il futuro, per il momento in cui tornerà a casa, dopo l’esperienza disumanizzante vissuta all’estero. Il presente è solo una pausa, una interruzione, un modo per ottenere (e far avvenire) il futuro (che rappresenta un modo per riacquistare alcuni aspetti del proprio passato) e viene vissuto in modo ambivalente: quando lavora, come il modo per ottenere il denaro necessario al proprio obiettivo, mentre il tempo “libero” (che cerca di essere ridotto al minimo, continuando a fare ore su ore di straordinario) è il tempo per riprendere le forze o, al massimo, per parlare e ricordare la propria casa assieme agli altri migranti (ancora una volta, il tentativo di riacquistare il proprio passato).
Trovo affascinante questa idea dell’Eternalismo, anche se l’implicito aspetto deterministico non mi convince completamente, però la manipolazione del tempo realizzato nel fumetto (ma anche nel cinema e nella letteratura) è sempre stato un aspetto che mi ha affascinato e conquistato. Forse è proprio l’elemento che preferisco perché riesce a coniugare l’aspetto narrativo, come la contrapposizione di noi stessi in diversi momenti delle nostre esistenze (per esempio la frase finale del Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald), all’aspetto formale con cui ogni tipo di autore si è potuto sbizzarrire (il montaggio, quasi ejzenstejiniano dell’Urlo e la furia di William Faulkner, tutta la costruzione, ovviamente, di Quarto potere di Orson Welles oppure i flashback, solo immaginati, di Cuore selvaggio di David Lynch).
Naturalmente non mi sto dimenticando che stiamo parlando di fumetti, e gli autori che hai citato sono partecipi di questa concezione. A mio giudizio, in Alan Moore non è solo presente nelle opere che hai citato (tra l’altro, il concetto di psicogeografia che utilizza è proprio questo: Eternalismo applicato a un luogo), ma è fondamentale negli esperimenti in cui racconta (e soprattutto riepiloga) la Storia dei generi dagli anni Novanta in poi. Che si tratti di Supreme (con Superman e il genere supereroistico), della testata “Tomorrow Stories” (che tocca varie tematiche), del cinema con Cinema Purgatorio, della letteratura (di genere e non) con La lega degli straordinari gentlemen o dell’horror con Providence (il capitolo sugli effetti di Lovecraft sull’immaginario collettivo è puro genio!) altro non è se non vedere “da lontano” una serie di avvenimenti che, messi assieme l’uno dopo l’altro, perdono il proprio aspetto sequenziale per acquisirne uno più compatto, dove la linearità viene abbandonata a favore di una serie di costanti contaminazioni e inserimenti, mescolamenti di cause ed effetti, che danno origine, alla fine, al famoso “blocco” di cui si parlava.
Lo stesso Dave Sim, con l’idea stessa di concepire una serie di 300 episodi che si sarebbe conclusa con la morte del personaggio titolare (anche se, a mio giudizio, ha un po’ barato nel corso dell’esecuzione dell’opera), è intrisa di questa filosofia. Mi viene anche da pensare che questa concezione possa essere in linea con la mentalità di Sim: immaginare un tempo “immutato” (o “immutabile”) è coerente con l’idea del creatore che possiede poteri di vita e di morte sulla propria creazione, a cui si aggiunge l’elemento che, essendo l’autore/creatore, ha già previsto tutto, per cui i vari personaggi (anche per propria “natura) non possiedono il libero arbitrio di scorrazzare “a proprio piacimento” per le pagine della storia, ma sono inseriti all’interno di un sistema ove tutto è collegato, ogni cosa è già stata decisa a priori e nulla può essere cambiato. Infine, nulla mi toglie dalla testa che questa idea occupi territori adiacenti a quelli della religione, per cui, considerata la svolta spirituale che ha avuto, non fatico a credere che, anzi, questa visione sia coerente con la sua concezione della vita.
[continua]