Alan Moore, Dave Sim e La strana morte di Alex Raymond (4 di 4)

Quasi | La corsa dell’oritteropo, Mappaterra del Mago |

Un crossover tra Mappaterra del mago e La corsa dell’oritteropo di Francesco Pelosi e Omar Martini

Stiamo parlando di La strana morte di Alex Raymond (abbreviato: SDOAR) di Dave Sim, ma siamo andati un po’ fuori strada. Omar per fortuna ha riportato la barra a dritta e Francesco stava proprio dicendo che quest’opera, anche con tutte le criticità sue e del suo autore, lo ha sconvolto e continua a farlo.

(La prima, la seconda e la terza parte della chiacchierata)

Omar: SDOAR ha effettivamente diversi aspetti che lo rendono una lettura frustrante, incamerando elementi altissimi e realizzando un tour de force grafico come raramente se ne sono visti nel campo del fumetto, ma avendo anche delle derive e delle divagazioni che lo rendono inconcludente e, in certi punti, anche ridicolo per quanto si prende sul serio. È fondamentalmente vittima di sé stesso e sono d’accordo con te sul fatto che SDOAR rappresenti la morte (come autore) di Dave Sim. Morte non solo per le ragioni (alcuni dicono misteriose) legate al problema col polso e che gli impediscono di disegnare, ma anche perché fallisce nel realizzare quello che doveva forse essere, nella sua idea, il suo libro definitivo. Il primo fallimento è, ovviamente, quello legato alla testata “Glamourpuss”, dove nasce e si ricava il suo spazio ben definito; il secondo fallimento è proprio questo libro perché non è riuscito a portarlo a termine, nonostante l’essere stato costretto a chiedere aiuto a un altro disegnatore; il terzo è legato al fatto che quest’opera non vuole rimanere conclusa e “rivive” con un crowdfounding, dove si può partecipare e accedere alle scansioni di ulteriori tavole che Sim ha realizzato dal 2021, quando si è rimesso a lavorarci sopra, realizzando quasi 300 pagine, fondamentalmente dei collage, ma anche riuscendo a disegnare qualcosa (questo è il link alla raccolta fondi, se qualcuno volesse partecipare).
È un’opera labirintica, che perde di vista la propria stessa struttura, in parte anche a causa del suo essere incompiuta: inizia, come abbiamo detto, con dei finti comic book di 24 pagine ciascuno, ma al “quinto numero” perde la cornice narrativa legata alla manager della fumetteria e questa suddivisione, continuando a parlare dei vari collegamenti (stretti o lontani che siano) a Alex Raymond e alla sua fine. A un certo punto si inserisce (casualmente?) un’ulteriore suddivisione interna (poco chiara, a dire il vero) in quattro parti, senza raggiungere una vera e propria fine (dato che non esiste), e poi viene passato il testimone a Carson Grubaugh, che realizza una fantomatica quinta parte, composta da una cinquantina di tavole sulla base di collage realizzati dallo stesso Sim.
Da questo punto di vista, sembra anche a te che la storia prenda alcune direzioni che poi vengono interrotte, non solamente per la questione del problema al polso?

Francesco: Si, e quello è proprio l’aspetto più disorientante del tutto. Non so quanto Sim avesse di pronto a livello di scaletta e di punti da trattare prima di cominciare il lavoro. Ma vedendo come si evolve la cosa, direi proprio che la maggior parte degli elementi gli si sia palesata in corso d’opera. E non ci sarebbe nulla di male in questo se solo SDOAR non fosse una sorta di “opera a tesi”, volta a voler dimostrare qualcosa a tutti i costi, pretendendo però di avanzare per associazioni sincroniche di significati.
Finché il libro sembrava essere un’analisi sulla Golden Age delle strip di avventura e delle loro tecniche tutto si teneva, compresi gli accenni alle cose che “non tornano” nella morte di Raymond. Le prime avvisaglie di caos si hanno nel punto che hai citato tu prima, quando Sim si lancia in una disamina puntigliosa del modo in cui Milton Caniff stringe la mano a Raymond in una foto, affermando che da quello e dai loro sguardi si capiscono parecchie cose sulla presunta rivalità dei due e addirittura su come Caniff sapesse che Raymond stava diventando più bravo di lui partendo però da una sua idea di rappresentazione della realtà sulla pagina. Una teoria anche interessante, se solo non si volesse spacciare per vera a tutti i costi. Ecco, da lì mi pare che tutto salti per aria e che la paranoia di Sim prenda il sopravvento, trasformando la storia in uno di quei documentari complottisti che si trovano in rete. La messa in campo di Aleister Crowley, del cannibale William Seabrock, e di tutta la questione “occulta” fra Ward Green e Margaret Mitchell è poi la vetta massima dell’ossessione, quasi un farneticare su carta, proprio perché apre parentesi su parentesi per non chiuderle mai.
Ripeto, sono tesi per me interessanti che affrontano aspetti della realtà che mi incuriosiscono molto e che vengono generalmente trattati pochissimo, per cui ben vengano. Ma il modo in cui l’ha fatto Sim purtroppo non fa che screditare ancora di più queste visioni che potremmo chiamare “magiche” o “olistiche”. Per questo amo e rispetto tanto il lavoro di Alan Moore nella “seconda parte” della sua carriera, quella da quando si è dichiarato mago in poi. Anche lui affronta i mondi metafisici ma tiene sempre ben presente la necessità “materiale” e razionale di una comunicazione fatta di immagini e parole. Per parlare a qualcuno, devi innanzitutto usare una lingua condivisa da entrambi. Altrimenti il rischio è quello di parlare solo a te stesso.
Penso a Chester Brown, altro grandissimo autore che dice cose che possono infastidire o stranire la maggior parte della gente, quando parla della sua idea della prostituzione in Io le pago, o di come secondo lui Gesù sia figlio di una prostituta in Maria pianse sui piedi di Gesù. La base dell’intero lavoro di Brown è solida, ogni affermazione che fa, ogni svisata dal “canone” che si permette, è sostenuta da argomentazioni che tengono e da una quantità impressionante di testi di riferimento. Questo perché sa che sta lanciando una bomba e non lo sta facendo tanto per fare, ma per instillare un’idea diversa, per certi versi nuova, nella società e sa che ha bisogno di una base solida per farlo. Lo stesso hanno fatto Moore e Melinda Gebbie in Lost Girls con i più grandi tabù del nostro pensiero: sesso, incesto e pedofilia. Ne hanno tratto un capolavoro che permettendosi tutto quel che vuole, è anche inattaccabile, per lo meno da un pensiero onesto e critico. E questo perché pensa prima di tutto a chi legge. Sim ha fatto invece l’esatto contrario: pensa a sé e alla sua visione, pretendendo che chi legge lo segua per forza.
Ok, dovevamo chiudere e mi son fatto prendere la mano… Che ne dici? C’è qualcosa che ti torna in tutto questo o che vorresti aggiungere?

O: Guarda, non posso che sottoscrivere quello che dici. Il concetto della “metafisica del fumetto” rende implausibile questo libro e lo fa diventare uno strano esperimento il cui scopo è di difficile comprensione. Se all’inizio, quando Sim parla di “metafisica del fumetto” sembra quasi che usi un’espressione bizzarra, usata un po’ a effetto e il cui significato è poco chiaro, successivamente, quando continua il discorso e inizia a dare qualche accenno in più, l’implausibilità inizia davvero a regnare sovrana. Non solo per l’inserimento di questi elementi “magici” e complottistici, ma proprio per il concetto in sé di cui possiamo intuire la portata. A occhio, sembra essere una specie di rielaborazione personale del concetto di sincronicità di Carl Gustav Jung, applicato però esclusivamente al fumetto. A mio giudizio sono fondamentalmente due gli elementi che rendono poco rigoroso il suo approccio: il primo è che non spiega mai realmente e concretamente che cosa intende con quel concetto, “bluffando” e parlandone come se fosse una cosa il cui significato è di dominio pubblico; il secondo è che l’analisi dei dati e il collegamento delle situazioni ha approcci diversi (a volte prende il valore letterale delle affermazioni delle persone “coinvolte”; a volte, invece, ci ricama sopra le proprie elucubrazioni). Non solo: in alcuni casi, proprio come il racconto della rana e dello scorpione, non resiste e trova anche il “tempo” di infilarci dentro alcune sue considerazioni, come quando sottolinea la presenza di un uomo con la gonna nel fumetto “Twin Earths” (che nella versione riprodotta di Dave Sim diventa, stranamente “Twin Earth”).

Quando arrivi alla conclusione del libro, non si capisce bene che cosa dovrebbe essere SDOAR perché, come affermi giustamente, perde di vista il proprio obiettivo, non si comprende perché tutti quegli elementi debbano c’entrare con la morte di Alex Raymond ma, soprattutto, che cosa dovrebbe significare la morte di quell’importante autore di fumetto. Nemmeno l’aiutante di Sim sembra capirlo, trovandosi impossibilitato a dare una conclusione plausibile. Lui stesso è cosciente che è posticcia e probabilmente abbiamo un libro semplicemente perché qualcuno ha voluto mettere la parola “fine” a quelle centinaia di pagine, altrimenti sarebbero potute continuare ancora per molto tempo, come era l’intenzione originale di Dave Sim.
Parlando di approccio al materiale documentale e alle idee che sottendono un approccio personale, trovo interessanti i due esempi di autori che portano avanti dei discorsi sicuramente non “canonici”. Il discorso sulla magia di Moore ha in sé degli elementi poetici (la magia come espressione del “potere” della parola, come linguaggio, e della sua forza creatrice) che non escludono la presenza al proprio interno di una certa ironia, come quando afferma di adorare una specie di marionetta. Anche Moore con il suo concetto di Idea Spazio probabilmente attinge a Jung e al suo inconscio collettivo, però è qualcosa che lo sceneggiatore inglese non vuole usare come una visione del mondo da imporre ai propri lettori e che deve essere accettata come una verità assoluta, ma è un’idea (appunto!) che utilizza a suo uso e consumo.
Discorso ancora diverso è quello di Chester Brown. È vero che lui presenta a noi lettori una grande massa di documentazione nei libri che citi, come anche in altri precedenti, Louis Riel oppure nelle sue raccolte di racconti a fumetti, ma quella massa di dati io la vedo più come una guida che spiega e motiva le scelte narrative e grafiche che ha preso durante la realizzazione dei suoi fumetti.
In questa lunga chiacchierata, abbiamo parlato di diversi aspetti di SDOAR, ma ce ne sarebbe altri ancora da affrontare. Uno di quelli che mi stanno più a cuore (e qui probabilmente finisco anch’io in un approccio monomaniacale che mi accumuna a quest’opera) è vedere l’evoluzione che ha avuto rispetto alla sua originale uscita a puntate. Infatti quello che ha fatto Sim non è stato semplicemente riprendere quello che aveva già realizzato, apportando dei ritocchi e continuando da dove si era interrotto, bensì è ripartito dall’inizio, rifacendo tutto ex novo e probabilmente cambiando anche l’approccio (devo ancora andare a rileggere e controllare, ma ho questo ricordo dell’indugiare in maniera quasi ossessiva proprio sul momento dell’incidente automobilistico, di cui in SDOAR rimane solo quella doppia tavola su sfondo bianco dell’auto che “vola”). Conterei quindi di parlare proprio di questo in uno dei due pezzi che mi rimangono del ciclo di articoli La corsa dell’oritteropo. Nonostante i ritardi che ho accumulato in questi mesi, vorrei cercare di portare a termine quello che mi ero prefisso.

[fine]

Ti è piaciuto? Condividi questo articolo con qualcun* a cui vuoi bene:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

(Quasi)