«Oh, ma hai visto quelli dei Marvel Studios che bordello hanno messo in piedi?»
«No, cos’hanno fatto?»
«Il nuovo film di Spiderman. Una roba assurda, il multiverso, con il dottor Strange, e poi chiamano tutti i personaggi dei film precedenti, quelli della Sony. Una buriana assurda, ti dico»
«Tutti tutti? Ma tipo… anche Andrew Garfield?»
«Chi?»
«Ecco, appunto. Comunque ce l’ho anch’io una sceneggiatura del genere, per un film di Flash.»
«Fa un po’ vedere… no. Troppo ordinata. Troppo lineare. Ha tutto troppo senso. Siamo la DC, noi, ti pare che usciamo con una roba fatta bene?»
«Ehm… ci sarebbe il film di James Gunn, la Suicide Squad…»
«Lascia perdere. Quello è un caso. Guarda il resto, ti pare ci sia una logica dietro? Senti, facciamo così, stasera vieni da me, ho una bottiglia di whiskey del discount e un paio di acidi che mi avanzano. Spazzoliamo tutto e poi mischiamo le pagine della sceneggiatura, vedrai che alla fine viene perfetto, ok?»
Ecco, io me li immagino così gli sceneggiatori di The Flash. Fatti e incoscienti, con un mazzo di fogli A4 battuti da un gatto sotto anfetamina e rimescolati come un mazzo di carte da poker. Perché l’atmosfera che trasmette questo film è di un lavoro messo in piedi totalmente a caso, partito con un’idea di massima farcita di quel che veniva fuori sul momento, tipo una pasta fatta con quel che avanza nel frigo alle tre di notte in fame chimica dopo un cannone. Brutto? No, non esattamente. Alla fine ci si diverte, se si fa uno sforzo di sospensione dell’incredulità tanto intenso da vincerci una finale olimpica di sollevamento pesi. Il concetto di Flash che grazia alla sua super velocità viaggia nel tempo e fa casino con le linee temporali alternative è un buon motore per una narrazione che schiaccia l’acceleratore e non si pone limiti in termini di fantasia e da questo punto di vista il film non si risparmia, quel che sembra mancare è il senso della direzione. Sì un sentiero tracciato alla meno peggio c’è ma poi le cose si affastellano, succedono un po’ per accumulo e in certi passaggi il tutto gira un po’ a vuoto.
Certo, ci sono tonnellate di fan service, dal Batman di Keaton che fa ben più di una comparsata al Superman con il volto di Nicholas Cage, sogno proibito purtroppo mai realizzato, e fa tutto molto piacere, un effetto nostalgia che riesce alla grande così come gli effetti cumulativi dei casini che Flash combina con il multiverso mantengono il ritmo tendenzialmente, anche se non sempre, a livelli elevati ma poi c’è la computer grafica che pare uscita dalle riviste di PC che mio padre prendeva in edicola negli anni ’90, e una certa confusione di registri che ok l’ironia ma qui spesso fatichi a capire quando vogliono scherzare e quando vogliono fare i seri perché non sembra ma fare umorismo come si fa nell’MCU, piaccia o meno su quello non discuto, non è come dirlo, c’è un metodo e se non lo sai gestire fai un pastrocchio. The Flash, a conti fatti, è un fritto misto che per certi aspetti è anche godibile ma poi ti vien da pensare “Ok, ci siamo fatti una risata ma non è che puoi cavartela sempre così”. Perché no, non credo che si possa costruire una poetica su questo film.
Il fatto divertente per davvero è che The Flash rappresenta l’universo cinematografico DC Comics con una precisione che se quella era l’intenzione di partenza c’è da togliersi il cappello. Si tratta in entrambi i casi di un baraccone senza una direzione precisa, un navigare a vista che ci mette una pezza via l’altra tutte rigorosamente peggiori del buco, un’impresa tragicomica partita con un ritardo ancora non recuperato, in grado tuttavia di regalare qualche momento di grande divertimento. E voglio chiudere il pezzo con i nostri sceneggiatori, contenti del risultato finale del loro lavoro.
«Visto che bel cazzatone? Alla fine è uscito come lo volevamo.»
«Certamente, alla fine…» DRIIIIIIN «…pronto? Dottor Warner che piacere! Ha letto la sceneggiatura? Visto che bel cazzatone? Come dice? Certo, capisco… arrivederci allora, e saluti alla signora!»
«Embè?»
«Dice che tra poco esce in sala il film dei Cavalieri dello Zodiaco.»
«E com’è?»
«Pare che qualcuno abbia fatto un cazzatone peggio del nostro…»
Stefano Tevini e l’Onorevole Beniamino Malacarne sono un reboot del classico Dottor Jekyll e Mister Hyde ma, invece di seguire il trend contemporaneo dell’inclusività, deviano dal canone nel fatto di essere ambedue dei fetenti. Nati entrambi nel 1981, uno è una specie di scrittore (romanzi, fumetti, articoli, quella roba lì), l’altro è un lottatore di wrestling. Tevini ti parlerà di fumetti, fantastico e simili, Malacarne di Wrestling (oltre a occuparsi della gestione operativa dei reclami e soprattutto di chi li esprime).