I pensieri di Titti

Titti Demi | post-it |

ovvero le disavventure di una svitata

Uno.

Da tempo non compro fumetti in libreria. Spesso ordino online in maniera mirata. Gli ultimi sono stati edizioni franco-belghe. Durante l’ultimo festival di settore in cui sono stata ho girato, perlopiù annoiata, ciondolando tra i grandi editori e la self area, senza entusiasmarmi per niente. Solo la mostra di Lorenzo Mattotti mi ha tenuta a bocca aperta, e la sua lectio magistralis è stata di una profondità avvolgente: i disegni non mentono, se togli le didascalie e li guardi resta solo che, se non hai nulla da dire, i tuoi disegni non dicono nulla.
Inserisco questa pagina di José Muñoz perché mi piace e condivido quello che il fumettista argentino ha sempre detto sul fumetto. Quel dire altro rispetto al testo. E siccome ormai, da tempo, i fumetti li guardo e basta, mi restano solo quelli che funzionano togliendo il testo. In giro c’è penuria. La scena “underground” italiana è appiattita: basta guardare la selezione dell’inserto di “Domani” per farsene un’idea. È un discorso generale ovviamente. Ci sono tanti nuovi autori che mi piacciono, anche se gli ultimi scaffali che ho riempito sono in lingua originale. E qui si aprirebbe tutto un discorso su cosa propongono gruppi editoriali, ma il mio pensiero, alla fine, è per cazzeggio tra amici. Ciao.

Due.

Herzhaft lebenslänglich.

Anke Feuchtenberger

Tre.

Di Anke amo tantissimo i primi fumetti, quelli degli anni Novanta. L’uso delle prospettive dall’alto e dal basso, le deformazioni, le ombre, la linea pulita, e le atmosfere sempre un po’ cupe e misteriose, queste gambe che si allargano e ti chiedi dove vanno con quel passo spedito, e non è mai niente di prevedibile.
Molti di questi fumetti secondo me hanno influenzato Akab, insieme ad Al Columbia: stesse deformazioni e tagli, i volti spigolosi, l’espressionismo, poi boh… Per scrivere ‘sta cazzata ho bruciato la moka e stavo mezzo incendiando casa. Ciao.

Quattro.

In questi giorni ho iniziato a smontare una stanza in casa di mia madre. Una stanza che tenevo per me, come laboratorio e deposito. Ora mi è rimasta la casa intera e mi sono detta «mi allargo»: pessima cosa da fare in un momento in cui le energie sono ai minimi storici.
Le conseguenze sono visibili solo a me. Mia madre non si stupirebbe: caos ovunque, libri, strumenti, carte sul pavimento… Solo Gatò si trova a suo agio in questo nuovo mondo in cui tutto gli è permesso, quindi oggi mi sono decisa. Ho preso il caffè aspettando che Gatò uscisse prima di allontanarmi dalla cucina. Ho messo su una lavatrice e trasportato gli ultimi fumetti nel loro nuovo posto.
A gennaio pensavo che Roxanne vend ses culottes vincesse il premio giovani autori ad Angoulême. È una storia fresca, disegnata con ritmo: mi sono imbattuta online in foto degli originali e mi sono sembrati belli. C’è, mi sembra, nei giovani autori d’oltralpe meno prendersi sul serio, meno autoreferenzialità, più voglia di cazzeggiare, insomma. E si vede dal modo in cui sono sui social.
Viviamo veramente in un paese di vecchi, facciamo due disegni in fila e dichiariamo al mondo capolavori, un modo molto facile per non crescere e rimanere a stagnare nella comfort zone dei cuoricini su Instagram.
In Roxanne è presente – non accidentalmente – questa madre che si lamenta della poca presenza della figlia e che sa amare preparando pranzi.
Mi mancherà tantissimo la pitta di patate che mia madre cucinava solo per me.
Gli atti d’amore passano dai fornelli.

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(Quasi)