Non ci è dato sapere quanto e come Alan Moore e Kevin O’Neil abbiano progettato il finale della loro Lega degli straordinari gentleman. È noto che Moore ha sempre il pieno controllo sulla trama dei suoi lavori prima di cominciare a scriverli ma con la linea ABC, secondo quanto dice anche lui, si era imposto di provare un approccio differente, più libero e in qualche maniera “spontaneo”, per cercare di fare evolvere il suo lavoro «verso un livello più profondo di intimità con il lettore».
Durante un lunghissimo carteggio via fax con Dave Sim nel 1997 afferma in proposito:
«Mi pare che questo tentativo, forse vano, richieda un passo oltre la mera tecnica, verso qualcosa che sia molto più intuitivo o basato sui sentimenti che sulla razionalità, sulla logica o sull’abilità (…).
In modo tortuoso sto cercando di dire che in questi giorni tento di oltrepassare ciò che i drammaturghi chiamano la quarta parete, quella che sta tra il pubblico e la storia, e stabilire una relazione soprannaturale, faccia a faccia, con il lettore (…)»
È risaputo ad esempio che Promethea è nato come una sorta di fumetto supereroistico alla Wonder Woman per poi diventare un saggio sulla magia, e lo stesso sembra essere successo alla Lega. Iniziato come un fumetto mainstream, seppur profondamente intellettuale, mano a mano che gli anni sono passati (e che Moore si è staccato sempre più dal mondo del fumetto, con risentimento e delusione) è diventata una storia underground, irriverente e esplosiva, con il chiaro tentativo di radere al suolo tutte le illusioni e le ossessioni dei nerd, vecchi e nuovi, adoratori dei fumetti di supereroi.
La tempesta, l’ultimo libro della saga, ha poi messo in chiaro, amaramente, l’idea finale di Moore sulle narrazioni fantastiche, o quantomeno sull’uso traviante che a suo parere l’umanità ne fa.
L’epopea della Lega, come era già successo in Providence, si chiude con un apocalisse che sottomette e disintegra il genere umano: le fate della Regina Gloriana (alter ego di Elisabetta I, la sovrana inglese “fatata” del XVI secolo), guidate da Prospero, il Duca di Milano di William Shakespeare (a sua volte alter ego di John Dee, il mago di Elisabetta), si rivoltano e invadono la terra e l’intero sistema solare.
Il significato di questo finale catastrofico e “morale”, per una serie che tutto sommato sembrava fare del gioco la sua cifra stilistica, si può trovare in alcuni dialoghi del fumetto in cui viene reso chiaro il rapporto che Moore sente fra gli esseri straordinari delle narrazioni fantastiche e la vita reale che non può esservi paragonata e che ad esse soccombe. Questi esseri straordinari, questi “superumani” o “non-umani”, sono i rappresentanti dei sogni repressi della nostra gioventù sublimati nelle figure dei supereroi e nelle loro etica e estetica, che portano a uno scollamento schizofrenico sempre più presente nella nostra contemporaneità, determinato dallo scatenarsi di quei sogni sotto forma di incubi in età adulta.
Il problema, secondo quanto si intuisce dalla lettura, riguarda il tasso di realtà che viene attribuito nella nostra epoca alle costruzioni immaginarie, la possibilità che abbiamo lasciato loro di colonizzare la nostra percezione, proprio come le fate della Lega fanno con la terra. Fondamentalmente si tratta dell’illusione, a cui molti esemplari della nostra specie sembrano esser votati, di un mondo popolato da esseri fantastici a cui aspirare come piena realizzazione dell’esistenza, siano essi i supereroi o gli attori che li interpretano.
Lo stesso discorso, non a caso, viene portato avanti sempre da Moore e O’Neil in Cinema Purgatorio, dove l’immaginario invasore è quello cinematografico, che sommato a quello della Lega (che nella sua continuity interna, dagli anni Quaranta in poi, comincia a inserire in maniera massiccia anche i supereroi) porta direttamente alle recenti dichiarazioni di Moore sui cinecomics.
«Credo che una delle funzioni del supereroe sia da compensatore di codardia, un’immagine potenziata di sé per persone che, nella vita reale, non hanno mai preso una decisione giusta che avrebbe potuto causargli delle conseguenze dirette, persone che evitano qualsiasi battaglia in cui non hanno un enorme vantaggio strategico come essere nati sullo sventurato pianeta Krypton o possedere una pistola nascosta (…)
Uscendo fuori dai confini, al confronto irrilevanti, del mondo dei comics, credo che ci siano dei problemi più generali e più seri da considerare, sia su scala nazionale che su quella globale. Mi sembra che l’ascesa del concetto americano di supereroe (molto probabilmente derivato dalla stessa sensibilità dietro a Nascita di una nazione di D.W. Griffith) non ha soltanto segnato il mondo del cinema ma ha corroborato un certo infantilismo che, nel mondo reale, spesso sfocia in una sorta di fascismo. Nel 2016, l’anno in cui gli inglesi hanno votato per uscire dall’Unione Europea mentre gli americani eleggevano un mandarancio nazionalsocialista, nella classifica dei primi dodici maggiori incassi sei erano film di supereroi. Non sto suggerendo che ci sia una relazione causale tra questi due fatti ma piuttosto che la semplicistica narrazione dei supereroi funziona molto bene per l’attuale populismo di estrema destra».
Questa riflessione viene ripresa dallo Sherlock Holmes del mondo della Lega, in un’apparizione a sorpresa all’inizio dell’ultimo capitolo della Tempesta che porta con sé forse il concetto davvero inedito rispetto alle altre opere di Moore: il potenziale cancerogeno delle narrazioni con supereroi o simili per l’immaginazione umana.
Dice Holmes a Mina Murray: «Sospetto che certi personaggi siano un danno per l’umanità. Anche quando [siamo] in buona fede, spesso rendiamo le cose peggiori… Prenda le api. La loro eterna cultura dorata è basata sull’uniformità. Anche un solo individuo dotato di un’unicità, motivato dalla propria individualità, potrebbe destabilizzare la colonia. L’alveare morirebbe (…)»
Chissà se questa sentenza, di stampo decisamente comunista, appartiene solo al noto razionalismo funzionale dell’Holmes immaginario o è invece una dichiarazione precisa di Moore sulla sua visione del mondo. Probabilmente, vista la natura del suo scrivere, perennemente in bilico tra finzione e realtà, entrambe le cose, anche se Moore si è sempre dichiarato politicamente e socialmente più vicino al pensiero anarchico.
Quell’unica pagina in cui Holmes fa il suo discorso sulle api, contiene in nuce tutta la filosofia della Lega. Nelle considerazioni del detective, viene tracciato un quadro chiaro e sintetico di una visione del mondo a favore dell’uguaglianza di classe e dei “molti” che compongono la parte lavoratrice e medio-bassa della società, contro quella dei “pochi”, ricchi o decisamente benestanti, «dotati di un’unicità» che li divide dal resto della popolazione.
La Lega attinge alla narrativa popolare, dando inizialmente l’illusione di esserne un omaggio, ma rivelandosi in questa pagina, come in tutto il resto della Tempesta, anche il suo esatto opposto, portando il fuoco del discorso sugli effetti negativi che l’essere esposti continuamente alle vicende di individui straordinari produce sulla coscienza dei “normali” (la deriva più notevole di questa distorsione è a mio avviso incarnata dal personaggio di Tony Stark/Iron Man nell’interpretazione di Robert Downey Jr., proposto nei film del Marvel Cinematic Universe come l’eroe dell’intera serie e acclamato come tale dai pubblici di tutto il mondo, quando si tratta semplicemente di un multimiliardario playboy maschilista produttore di armi di distruzione di massa – più o meno lo stesso ruolo del personaggio di James Bond nei suoi libri e film, che nella Lega infatti viene pesantemente preso di mira).
L’altro elemento cruciale espresso in questa pagina è dato proprio dai due personaggi che la animano, Holmes e Murray, l’uno protagonista assoluto di una serie letteraria, entrato a fare parte del gergo comune di tutto il mondo che nella Lega ha però un ruolo di sfondo, e l’altra, eroina del Dracula di Bram Stoker messa in ombra dal carismatico titolare del romanzo, che qui acquista invece finalmente il ruolo principale. Alto e basso che si mischiano e si cambiano di posto, protagonisti che diventano comparse e personaggi oscuri che rivivono nella luce: questa è l’inversione, il détournement divertito che Moore e O’Neil mettono in atto lungo tutta la Lega, fedeli alla natura prettamente proletaria del fumetto e agli intenti che lo scrittore ha sempre espresso riguardo alle zone neglette della cultura (dove il fumetto è stato relegato per anni) e al suo tentativo di rivalutarle agli occhi del vasto pubblico.
Così, se l’Idea-Spazio è il luogo dove vive l’immaginazione umana, League of extraordinary gentleman, vista dall’alto, da una prospettiva multidimensionale, è precisamente la mappa di quel luogo. Una mappa livellatrice e unificante, una cartografia proletaria dell’immaginario.
Il genio di Kevin O’Neil (e di genio è davvero il caso di parlare riferendosi alla sua arte) ha lasciato questa terra il 3 novembre del 2022. Il rapporto fra lui e Moore è sempre andato ben al di là della semplice collaborazione artistica, lo dimostrano i moltissimi siparietti in cui i due autori si ritraggono nei loro fumetti, prendendosi sempre in giro e dandosi di gomito, e soprattutto il fatto che la Lega, molto più che tutti gli altri fumetti di Moore, in cui la sua presenza di autore è certamente preponderante, è davvero un’opera “di coppia”.
Lo dice benissimo lo scrittore, quando ancora i due erano ancora agli inizi della loro avventura:
«Il lavoro di Kevin è meticoloso, ma ha un che di esagerato, quasi da vignetta satirica, e questo elemento è una parte del suo genio. (…) Ne La lega degli straordinari gentlemen, grazie anche alle tavole di Kevin, possiamo abbracciare la commedia, l’orrore e il dramma, il tutto in due pagine, spesso in una pagina sola. A volte addirittura in un’unica vignetta. La gamma emotiva che i disegni di Kevin conferiscono alla storia è fantastica. È una delle grandi qualità della Lega. Nella serie ci sono scene che riescono a essere orribili, stupide, e chi più ne ha, più ne metta. Erudite, intelligenti. Ne risulta una mescolanza molto interessante grazie alla quale la sfanghiamo sempre».
[continua]
Arnesi del cartografo
Il “carteggio Moore-Sim” si trova in Alan Moore: ritratto di uno straordinario gentleman (Black Velvet, 2003) a cura di smoky man, Gary Spencer Millidge e Omar Martini;
le altre parole di Moore citate sopra si trovano in Le straordinarie opere di Alan Moore di George Khoury (Black Velvet, 2011) e nella lunga intervista di Peter Moerenhout, tradotta da smoky man e pubblicata sul suo blog in due parti, qui e qui;
La lega degli straordinari gentleman è edita in Italia da Bao in sei volumi: Vol. 1: Maggio 1898, Vol. 2: Luglio 1898, Black Dossier, Vol. 3: Century, Nemo e Vol. 4: La tempesta;
sul sito “Annotations” di Jess Nevins si possono trovare tutte le certosine annotazioni alla quasi totalità dell’opera, con autori, riferimenti, e tutto quello che la vostra ossessività da completisti possa pretendere;
per quanto riguarda invece la sola trilogia di Nemo, anche Zeno Saracino ha realizzato delle belle note in italiano sul suo blog.
Scrive fumetti e scrive di fumetti, poi scrive anche canzoni e le canta, insieme a quelle degli altri che gli piacciono. Il suo sito è www.francescopelosi.it.