«Che vita di merda!», mi ritrovo spesso a pensarlo e purtroppo anche a dirlo. “Purtroppo”, perché finché è una frase che penso e tengo nella mia testa, vabbè, fa niente. Cioè, ok, è una vita di merda, è la mia, o me la faccio andar bene oppure cerco di cambiarla, anche se spesso è difficile. Il problema è se la pronuncio davanti a un’altra persona e soprattutto se quella persona fa parte della mia vita ma non è “merda”. Anzi, è una persona che mi fa stare bene, però mentre vedo tutto nero… be’, lasciamo perdere!
Piuttosto, che vita di merda fanno i personaggi dei fumetti di Inio Asano? Oh, non tutti, sia chiaro, però tanti. Ma pure Inio, che vita fa? L’ha raccontata un po’, ovviamente con licenze narrative, nel suo Diario di un mangaka. Ultimamente nei manga che acquisto e leggo trovo quasi sempre poche righe scritte dagli autori, in cui fanno delle battute o confessano qualche piccola mania. Capita anche che ringrazino i lettori, si facciano coraggio per proseguire il lavoro, si scusino per qualcosa o ammettano di avere poche idee per le loro storie. Insomma, quando leggo quelle parole, tante volte resto un po’ stranito: ho l’impressione che, nella loro onestà, questi mangaka si dipingano come dei “sottoni”.
In realtà il sottone sono io, soprattutto se giudico attestandomi sulla superficie e non tengo conto delle differenze tra la cultura e il modo di fare degli italiani e la cultura e il modo di fare dei giapponesi. E qui non voglio assolutamente entrare nel merito della vita agra dei mangaka, voglio restare alle cose semplici. Il loro senso dell’umorismo non è lo stesso nostro, perciò una battuta che può suscitare le risate dei giapponesi, perché magari affonda le sue radici nell’immaginario condiviso da quelle parti del mondo, può lasciare indifferenti gli italiani. Ma soprattutto: nel Sol Levante ci si pone con grande rispetto di fronte agli altri, spesso ci si scusa, si mettono non solo le mani avanti ma tutto il corpo, con un inchino, pensando che si arrecherà un disturbo (anche se probabilmente non sarà così), si minimizza il proprio merito nella speranza che non serva strombazzarlo affinché sia riconosciuto.
Però, tornando alla sensazione sbagliata di cui sopra, se essa si fa strada per via di un trafiletto, immagina cosa viene fuori da uno scritto di oltre duecento pagine. In Diario di un mangaka Asano purtroppo parla poco di fumetti e del suo lavoro. O meglio, lo fa ma moooolto meno di quanto mi sarebbe piaciuto leggere. È un diario a tutti gli effetti, quindi ne segue l’impostazione, le regole, e racconta gli affari suoi, cita e descrive le persone con cui condivide le giornate come la seconda moglie e la propria assistente principale, spiega che sfida i collaboratori ai videogiochi, che trascorre ore e ore a fare ricerche online e a passeggiare tra i conbini, i convenience store, che frequenta la scuola guida e fa pratica con l’auto.
Non è detto che l’Asano-personaggio del Diario coincida con l’Asano-autore e neppure con l’Asano-reale, però come anticipavo emerge un ritratto di Asano abbastanza in linea con quello che forniscono altri artisti giapponesi quando parlano di loro stessi: anche lui dà l’impressione di essere un inetto che si perde in una quotidianità caotica e allo stesso tempo sempre uguale. Ma è anche un uomo capace di inventare, scrivere e disegnare storie. E di farlo bene! O comunque a modo suo: lui stesso va molto fiero della sua libertà creativa, pur avendo in testa la consapevolezza di doversi guadagnare i soldi per vivere e quindi ben chiara la necessità di adattarsi ai cambiamenti.
Molti di questi aspetti si rintracciano anche in alcuni suoi fumetti. Al di là di Reiraku – La caduta, in cui si concentra proprio sulla professione del mangaka, è facile trovare il personaggio del fumettista nei suoi lavori, per esempio ne La città della luce e nella raccolta La fine del mondo e prima dell’alba. Sono accenni o narrazioni medio-brevi, eppure attraverso frammenti da mettere insieme questi individui lasciano il segno nel loro essere dei vinti, delle schegge impazzite o dei tronchi alla deriva in mezzo al mare. Più in generale, ne La città della luce Asano racconta vite veramente di merda: donne e uomini, anche giovanissime e giovanissimi, non vedono altra soluzione se non la fuga dalla realtà, che sia il suicidio o diventare hikikomori o vagabondi cambia poco. Ne La fine del mondo e prima dell’alba, invece, ogni tanto c’è una scintilla di speranza, un sorriso, un’opzione diversa da quelle trovate dai personaggi dell’altro volume. Resta una vita di merda, sia chiaro, ma un po’ meno. Quello che mi colpisce più di tutto di Asano è che, estrema cupezza oppure no, racconta con un tratto dolce, sinuoso, lieve, mostrando talvolta sguardi sognanti ed espressioni buffe, ingenue, stralunate. Allora mi faccio l’idea che il vero Asano, senza incepparsi sui fraintendimenti culturali, più che nel Diario e nei mangaka che infila nei suoi fumetti, si veda in quelle facce tonde e ovali e in quelle smorfie. È come se volesse fare le boccacce alla vita, per renderla meno merdosa.
Sognava di diventare un calciatore professionista, ma a sedici anni si è svegliato e l’incubo è cominciato. Continua ad amare il calcio tanto quanto ama leggere fumetti di tutti i tipi. Cerca di sbarcare il lunario, scrive per QUASI e Lo Spazio Bianco, parla per il podcast hipsterisminerd e per LSB Live.