Post-it: Camus dappertutto

Boris Battaglia | post-it |

Non compro più, tranne rarissime occasioni dettate dall’interesse per un qualche collaterale (sì, lo so che te lo danno comunque, anche senza il giornale), quotidiani almeno dalla fine degli anni Novanta. Però sfoglio distrattamente, quasi tutti i giorni sul sistema bibliotecario digitale milanese, “il Corriere”, “El Pais”, “The Guardian”, “Le Monde” e “Libération”.
Martedì scorso la mia noia effemeride ha un momento di sospensione, mentre sfoglio veloce sul tablet “Le Monde”. Una recensione attira la mia attenzione e la attira perché parla di un libro che aspettavo con ansia, che mi è appena arrivato grazie ad Amazon (pensa! Senza Amazon avrei dovuto aspettare il primo viaggio a Marsiglia o a Parigi), e che sto leggendo con avidità: Oublier Camus, di Olivier Gloag, uscito il 15 settembre per i tipi di La Fabrique.
Youness Bousenna, l’autore della recensione, accusa Gloag di perdere di vista la complessità biografica del Camus uomo, accecato dalla necessità di sottolinearne in modo giudicante e, in certo modo a vantaggio di Sartre, le contraddizioni del pensiero.
Ora a me questo non sembra un difetto. Camus è morto sessantatre anni fa, l’uomo non c’è più, ma il suo pensiero affascina ancora un sacco di intellettuali dalla sinistra alla destra più estrema. Cercare di capire i motivi di questa unanimità è un esercizio che per forza deve decontestualizzarne il pensiero dalla biografia.
Questo lavoro di Gloag ha per me il merito di fare piazza pulita della beatificazione anarco-ecumenica che di Camus è stata fatta, in Italia per esempio da uno come Goffredo Fofi.
Lo so, è in francese, ma è un libro che a me è sembrato utilissimo. Mi ha mostrato come il pensiero di Camus sia veramente dappertutto e come non sia sempre così cristallino, ma inquini anzi il nostro immaginario. Non è detto che Gloag abbai ragione su ogni punto, ma su ogni punto solleva questioni che vanno affrontate.
Spero e ne auspico un’edizione italiana al più presto (non dico tradotta da me, ma non mi dispiacerebbe).

Visto che siamo in tema di lingua d’oil e in argomento camusiano, ti voglio consigliare se la leggi (ma tanto è un fumetto, si guarda), il manga (pubblicato da Lafon) che due anni fa Ryota Kurumado ha realizzato, in quattro volumi, adattando La Peste. Non è che sia imperdibile (invece se per caso non hai mai letto il capolavoro di Camus, recupera immediatamente!), ma è molto interessante vedere come uno sguardo orientale rielabora l’opera che per Gloag è la più esplicativa dell’atteggiamento di Camus verso il colonialismo. Kurumado ha adattato anche Lo straniero, uscito a maggio di quest’anno. Vale quanto ti ho detto per la sua versione della Peste.

Mi sono ripromesso, quando ho deciso di imitare il mio fratello Paolo, e fare anch’io dei post-it da attaccare sul frigo della redazione di Quasi, di seguire, per i miei consigli, questo schema: un saggio, un fumetto (o un romanzo o un film o una serie o un disco o quel cazzo che serve a raccontare storie), per chiudere con un podcast. Ecco. C’è un podcast curato dal Salone del Libro di Torino che in sei puntate spiega benissimo, per voce di sei inconsapevoli autori (tra i quali proprio Fofi), cosa intendo quando ti parlo della santificazione che Camus ha avuto in Italia, in contrapposizione e, alle volte in odia, a Sarte. Ascoltalo, è molto istruttivo.

Ps. Il titolo del saggio di Gloag, cita un passaggio fondamentale del discorso che Camus tenne nel 1957 alla consegna del premio Nobel. Passaggio in cui è contenuta tutta la contraddittorietà del suo pensiero.

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(Quasi)