Sto girando annoiato tra gli scaffali della solita libreria supermercato dove vado a cercare i libri che mi servono, e che, puntualmente, non trovo mai. Glieli chiedo e mi rispondono: non li abbiamo, ma possiamo ordinarli. No, grazie, ordinarli sono capace da solo e mi arrivano pure prima che a voi. Non capisco a cosa serva una libreria dove trovi solo i titoli elencati sugli inserti pubblicitari dei quotidiani, tipo “La lettura”. Ma questo non glielo dico. Vabbè giro annoiato per vedere se trovo qualcosa di interessante, e lo sguardo mi cade su un volume del Saggiatore.
In copertina una sensualissima samurai disegnata da Gloria Pizzilli. Il titolo che rimanda alla tradizione culturale giapponese: Il cammino dei ciliegi. L’argomento di assoluti interesse e urgenza: le donne nel manga.
Non verifico chi sia l’autrice: Beatrice Lorenzi, e qui commetto il grave errore che mi porta all’acquisto del libro. Il secondo errore è non dimenticarmelo in qualcuna delle pigne di roba da leggere prima o poi, che ho sparse per casa. Invece comincio a leggerlo.
Esterrefatto vado a controllare chi è Lorenzi. Una content creator, che si agita sui social atteggiandosi a lolita e parlando di manga, sempre con il naso lucido che sembra tirato da una smerigliatrice: saranno i filtri di moda.
Dice a proposito del libro che ha appena pubblicato: questa riflessione me la porto dietro fin da piccola. Probabilmente è vero, perché è scritto con la prosa di una bambina di sei anni (non particolarmente dotata). Ma non è questo il problema. Il novantacinque percento dei saggisti scrive di merda. Il problema è che, partendo da un’idea di manga che potrebbe avere una vecchia professoressa di italiano delle medie che si crede particolarmente immersa nella contemporaneità… aspetta te la cito:
… ecco partendo da questa definizione, infila una serie di riassuntini delle proprie visioni, più che letture (non raccontiamoci balle, la ragazza è cresciuta ad anime, i manga sono per lei un fatto collaterale), che su wikipedia trovi più completi e corretti.
Lo so. Non è un libro destinato a me, ma alla minima percentuale dei suoi follower che compra libri, e il mio giudizio di vecchio boomer che non comprende il richiamo sessuale dei filtri di instagram, non influirà minimamente sulle vendite del Cammino dei ciliegi.
È che avevo bisogno di sfogarmi, perché giuro: leggere ‘sta roba costa più fatica che leggere Jon Fosse (almeno so chi è e me ne astengo), quello che dà voce all’indicibile, mentre la Bea con l’indicibile, in corpo veltroni, ci fa l’aperitivo perché tra non saper dire e dire l’indicibile non c’è differenza. Volevo solo mettere al corrente i miei 25 lettori che è un aperitivo analcolico. Quasi solo soda colorata, roba da dodicenni.
Nonostante i tipi del Saggiatore siano convinti che i fumetti, e i manga sono roba per bambini e per gli stupidi, la storia è un po’ diversa. Nel 1956 a Osaka, un gruppo di giovanissimi mangaka impone, non senza difficoltà e contraddizioni, una svolta al fumetto, riuscendo a proporre, a fianco di quello tradizionale rivolto al pubblico infantile, un manga destinato a un pubblico più maturo. Non sono un esperto di storia del manga, e la nascita del Gekiga la conosco grazie allo splendido lavoro autobiografico di Masahiko Matsumoto.
Ammetto la mia ignoranza, cosa – l’ignoranza non l’ammetterla – che un po’ mi avvicina alla Lorenzi. Se, fino alla settimana scorsa, mi dicevi Matsumoto, a me veniva in mente Leiji, il gigantesco artefice di quelle saghe che, più in versione anime che manga, hanno influenzato la mia adolescenza. Capitan Harlock, la Corazzata Yamato, Galaxy Express 999.
Non sapevo niente dell’esistenza di quest’altro Matsumoto, praticamente suo coetaneo, che insieme a Tatsumi Yoshihiro e Saito Takao nella seconda metà degli anni Cinquanta rivoluzionò il fumetto nipponico con la rivista “Kage”, aprendo la strada a quello che sarebbe stata la “Garo” di Sanpei Shirato. Ho colmato la mia ignoranza, grazie a Vincenzo Filosa (che lo ha tradotto) e a Coconino che lo ha pubblicato, leggendo il suo bellissimo: I fanatici del Gekiga.
Se ti trovi nelle mie stesse condizioni prima che facessi questa lettura: falla, subito.
Non so perché sto facendo questo collegamento, forse perché l’immaginario in cui la Lorenzi pesca (forse anche inconsapevolmente) per veicolare i suoi “contenuti” sui vari social, è quello del porno postcovid, legato a Onlyfans e alla sua piattaforma di rilancio soft: Instagram. O forse perché anche il porno dà dimensione plastica alla vita, pur lavorando solo sul corpo e non su ciò che non esiste, come l’anima. Comunque, il podcast che mi va di consigliarti in questo post-it è Pornazzi di Melissa Panarello. In cui la scrittrice ripercorre la storia della Pornografia, da ben prima dei suoi albori, fino al futuro che ci aspetta. Superficiale e divertente al punto giusto, non ha pretese di sistematizzazione storica, né teorica, né ideologica, ma solo pretesti per parlare di fighe e di cazzi. Come sai mi serve quando faccio la mia ginnastica della terza età. Te lo consiglio.
Non fa un cazzo da anni, ma è invecchiato lo stesso. Vive a Milano, e non potrebbe farlo in nessun’altra città italiana. Legge e parla di fumetti dal 1972 (anno in cui ancora non sapeva leggere). Ha una cattiva reputazione, ma non per merito suo. Ama e praticava la boxe, poi si è rotto. Beve tanto in compagnia di gente poco raccomandabile, tipo Paolo con il quale – per colpa di una di quelle bevute – si è ritrovato a curare QUASI.