Camus è un fatto personale

Stefano Tevini | Due calci al balloon |

Ho incontrato Albert Camus al liceo. Cioè, non fisicamente, ma durante le ore di Francese al liceo. Facevo il linguistico e, giustamente, ti toccano una serie di scrittori francesi tra cui Vercors e Camus. Perché fra tutti l’altro che mi viene in mente sia Vercors non lo so, forse perché era antifa, il che non guasta mai, forse perché ha un nom de plume molto musicale, il che comunque non è un difetto. Sta di fatto che Camus m’è rimasto addosso, lì per lì dovevo leggere La peste, che rimane il mio libro preferito fra i suoi, ma pian piano me li son letti tutti a partire dal blocchettone bianco Bompiani, quello che in costa ha la foto che ho fatto stampare su una maglia. Sì, ho la maglietta di Camus. E mi ci sono laureato, su Camus.
Per questo Camus è un fatto personale.
E quando se ne parla non posso che entrare a gamba tesa, e un po’ a cazzo di cane, nella discussione. Prima di farlo mi sono riletto quei due o tre libri che fanno il percorso nel percorso, un nucleo duro di pensiero che, secondo me, di tutta un’opera sempre e comunque di livello costituisce il cuore e il materiale di qualità più alta. Mi sono riletto Il mito di Sisifo, L’uomo in rivolta e La peste. E adesso sono qui a scrivere un pezzo per dire come mai, a mio avviso, Camus non solo ha ancora senso, ma ne ha più che mai.

Per prima cosa, ammiratelo quando traccia il campo da gioco in Il mito di Sisifo. Te lo dice subito e sul muso: la filosofia ha senso se tratta di problemi ben precisi. Uno in particolare, il suicidio. Il che lo cala in una dimensione fortissima e profondamente reale, getta il ponte che ti rende la filosofia qualcosa di profondamente viscerale e necessario, di vitale. E non è che si metta a fare il paternalista o a stracciarsi di retorica un tanto al sacco. Tratta la materia con tanta lucidità e tanta urgenza, da uno che ha capito perché Søren Kierkegaard era tanto febbrile, ma a differenza del pretino danese non gli è scappata la vicenda di mano ed è rimasto sul binario, senza quel fideismo tremolante di uno che magari capitola lo stesso, ma non si prostra in quella maniera così snervata. Camus ti dice oh, la vita è quella roba lì, l’assurdo è quella roba lì e lo so bene, bro’, che uno può andarci ai matti e farsi fuori ma forse è meglio di no e magari in tal senso non è male se ci ragioniamo insieme. Umanità, si chiama.

E qui parliamo di assurdo, l’aspetto forse più attuale di un pensatore attuale. Sì, perché il nostro tempo è un casino. Una complessità difficilissima forse impossibile da afferrare, che riusciamo a cogliere sì ma per lo più, se non soltanto, nelle sue manifestazioni particolari. Amitav Gosh, Timothy Morton, quella roba lì, presente? Ecco. Bene, prima di tutti questi signori che andrebbero insegnati nelle scuole superiori c’era Camus che, con l’aplomb da figo dei film noir che traspare dalle sue foto (tipo quella che ho sulla maglietta) se ne sta lì, tranquillo, in piedi e con la sigaretta in bocca davanti alla contraddizione. E non fa la parte da macho, semplicemente ne prende atto con tutti i dubbi, la paura e l’umanità, sì, ancora l’umanità, di cui è capace. Camus ci insegna, per strade che speculative lo sono poco o niente, a vivere la contraddizione, a concepirla, a renderci conto che c’è.

Last but not least, la rivolta come atto collettivo. Non ci si salva da soli. Davanti alla contraddizione e a tutto ciò che ci mette angoscia, ci schiaccia e ci fa venir voglia di saltare nella tromba delle scale c’è la possibilità di ritrovare quell’umanità basilare, il riconoscimento dell’altro come un viso nella nebbia, come un altro essere umano con cui esistere per qualche momento in virtù del solo fatto di essere umani e trovarsi lì, insieme, di fronte all’assurdo. Il seme dell’atto di rivolta, i due uomini che guardano il muro come principio di fuga, l’individuazione di un concetto semplice semplice, basilare a livelli disarmanti, ma allo stesso tempo il building block di qualsiasi cosa venga dopo.
Nel corso della mia vita, per come ha contribuito a fare di me ciò che sono, e per come potrebbe fare di noi ciò che saremo, Camus è un fatto personale. 

Ti è piaciuto? Condividi questo articolo con qualcun* a cui vuoi bene:

2 risposte su “Camus è un fatto personale

  • Pëtr Landauer

    “Per prima cosa, ammiratelo quando traccia il campo da gioco in Il mito di Sisifo. Te lo dice subito e sul muso: la filosofia ha senso se tratta di problemi ben precisi” Sulla questione algerina si è esposto dicendo che teneva famiglia

    Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

(Quasi)