I nostri superpoteri

Paolo Valeri | Antropocomics |

D’accordo, d’accordo: ormai siamo saturi di film Marvel, ne abbiamo gli zebedei pieni. Eppure quindici anni fa abbiamo salutato Iron Man come l’avvento del messia e l’idea di un universo condiviso come il primo reale tentativo di traslare il mondo dei supereroi dalla cellulosa alla celluloide.
Cos’è cambiato? Ve lo spiego subito, ma non attraverso una fine critica cinematografica: sono qui per darvi una spiegazione antropologica. L’antropologia è quella disciplina per cui, circa un secolo fa, l’incontro tra uno di Parigi che aveva studiato filosofia e uno della tribù dei Bororo che si considerava un pappagallo rosso si risolveva con il primo che spiegava come il secondo stesse utilizzando un tipo di mentalità diversa dalla nostra. Una mentalità pre-logica, perché ignorava i principi di identità e di casualità, ma che si basava invece su un altro principio fondamentale: il principio di partecipazione. Per quel tizio, che si chiamava Lévy-Bruhl, questo era il grimaldello che consentiva di spiegare come in quelle società, allora dette “primitive”, le rappresentazioni collettive implicassero un’identità simile: una corrispondenza tra gli individui e il loro totem. Insomma, attraverso il totem partecipavano al sistema naturale in cui si riconoscevano.

Oggi è ormai chiaro che una società che si ritrova attorno ai film Marvel e alla mitologia dei supereroi può essere molte cose ma di certo non è più evoluta dei Bororo che si riunivano attorno al loro totem; non è difficile quindi riconoscere all’opera di nuovo quel principio di partecipazione, che qui si incarna perfettamente nel potere dei supereroi. Ma cos’è il superpotere? Che tipo di partecipazione ci permette di instaurare? Nel mondo dei fumetti i poteri si concretizzano nelle forme più disparate per i vari personaggi: Superman è pieno di poteri e Batman ne è totalmente sprovvisto. L’uomo pipistrello però rimedia con una miriade di gadget tecnologici ma, se guardiamo da vicino i poteri dell’ultimo kryptoniano, motivati dalla diversa intensità delle radiazioni emesse dal nostro Sole rispetto a quella della sua stella natale, anche qui la giustificazione si basa su una spiegazione scientifica. Ecco, per quanto fantasiose siano le cause che forniscono i poteri ai molti eroi, nella stragrande maggioranza dei casi alla loro origine troviamo scienza e tecnologia. Per quanto spesso questa scienza e questa tecnologia abbiano ben poco di realistico, essendo l’elemento fantastico permeante, è quello l’orizzonte in cui ci immerge.
Se ci soffermiamo in particolare sull’universo legato a Marvel, questo risulta un assioma praticamente indiscusso. Iron Man è un uomo che si costruisce un’armatura ipertecnologica, Ant-Man uno scienziato che inventa delle particelle in grado di rimpicciolirlo, Captain America è un uomo gracile che acquisisce i suoi poteri attraverso un siero sperimentale e Hulk uno scienziato trasformato in un mostro verde di enorme forza da un’esposizione alle radiazioni: come si può constatare alla base c’è sempre il paradigma scientifico-tecnologico. Per non parlare di quei poteri usciti direttamente dal paradigma scientifico che sostanzia la modernità almeno dal 1859, anno di pubblicazione dell’Origine delle specie di Darwin, ovvero il paradigma genico ed evolutivo. Non solo i mutanti, vera e propria evoluzione del genere umano, ma anche gli Inumani, che sono un’evoluzione della razza umana creata da esseri superiori, così come gli Eterni e i Devianti o le specie aliene degli Skrull e dei Kree.

Certo, bisogna ammettere che ci sono delle eccezioni. Alcuni personaggi derivano da mitologie precedenti, Thor o Ercole per esempio, oppure hanno chiari riferimenti al mondo magico, il Dottor Strange su tutti; ma questi, oltre a non essere la maggioranza, sono spesso trattati in modo da far rientrare la loro alterità all’interno dei paradigmi scientifico-tecnologici. La magia del Dottor Strange è spiegata come l’accesso ad altre dimensioni del reale che possono essere misurate e mappate. Gli dei dell’antichità vengono inscritti dentro una più vasta cosmogonia di ben altra natura e sovente i loro “oggetti magici” – come per esempio Mjolnir, il martello di Thor – vengono ricondotti a un funzionamento molto simile a quello che ci aspettiamo da sofisticate tecnologie.
Come dice, signora? Non ha afferrato il punto? La faccio semplice: se questi film sono i nostri totem è perché attraverso i superpoteri ci permettono di partecipare a quel paradigma scientifico-tecnologico che sta alla base di tutto il nostro mondo. Infatti, per tenere insieme le storie, i personaggi e i loro poteri, il Marvel Cinematic Universe ha sempre usato la tecnologia.
Tutto passa per l’attrezzatura, i legami tra i vari personaggi si creano e si consolidano attraverso di lei. Reattore Arc, Nanotecnologie, Tesseract, persino il braccio del Soldato d’inverno, tutti sanciscono legami. Sono le tecnologie che viaggiano da un personaggio all’altro a renderli più forti. Non c’è mai un lungo percorso di auto miglioramento, un addestramento come nella mitologia asiatica dei film di arti marziali, è sempre un pezzo di attrezzatura che cambia lo status di possibilità rendendoti un eroe. E se non è la creazione di gadget allora è la ricerca di potenti manufatti cosmici a occupare gran parte delle trame. Tutta la prima imponente saga di questo carrozzone ha messo al centro la ricerca delle gemme dell’infinito, che molti eroi hanno tramutato in parte della propria attrezzatura o nella fonte del proprio potere. E, tutte insieme, sono diventate il potere che ha reso Thanos così pericoloso.

Nel nuovo corso, dopo Avengers – Endgame, tutto questo si è lentamente annacquato e le storie hanno smesso gradualmente di permetterci di affermare la nostra identità: di immergerci in un discorso implicito sull’uomo che ci vede partecipare, attraverso la categoria culturale del superpotere, al sistema tecno-scientifico che ci consente di dominare l’alterità. Insomma, possiamo dire che ne abbiamo le scatole piene perché questi film non ci permettono più di partecipare al mondo artificiale che ci siamo creati.
Antropologicamente parlando, s’intende.

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