Dice che tutti hanno già fatto la classifica con le cose imprescindibili dell’anno. Dice anche che ha dovuto regalare la cintura, il portafogli, la candela, la palla di natale e il pigiama. Dice che sono completamente inutile perché non gli ho consigliato niente. Che lui voleva uno di quegli articoli numerati con il meglio del meglio del meglio.
Dice tutte queste cose solo per farmi sentire in colpa. Non lo sa che ho il cuore di pomice e l’ultima volta che ho sentito il morso del rimorso di usavano ancora i telefoni a gettoni. Come se non sapessi che è in ritardo. Come tutti gli anni. Non è vero che ha già preso tutta quella paccottiglia. Semplicemente la ricicla e deve fare attenzione a non restituire i regali a chi glieli ha fatti (ma figurati se qualcuno si ricorda la foggia del portafogli o i disegnini del pigiama). Inoltre, il regalo più importante ancora non lo hai preso. E, dopo la pessima figura dello scorso anno, proprio non se lo può permettere.
Va bene… sono in ritardo anch’io. Ho trascorso tutta la settimana a mettere a fuoco le cose che mi sono piaciute di più. Se legge subito, ha ancora tutta la giornata per andare a comprare e impacchettare. Sennò, chi si è mai lamentato di un bel regalo arrivato dopo le feste?
Domenica: Il fumetto è una macchina instabile, in equilibrio tra la volontà di raccontare una storia e la necessità di rappresentare tutto e solo ciò che serve. Siccome trovare quel punto di stabilità è difficilissimo, il fumetto è il più squilibrato tra i media.
Fare fumetti è difficilissimo. Mica ci si può permettere di disegnare solo quello che si è capaci e che si ha voglia. Bisogna disegnare tutto e solo quello che serve. Tutto e solo: obblighi e frustrazioni. Chi fa fumetti deve frenare di continuo le ambizioni e confrontarsi con i limiti e, non potendo superare né le prime né i secondi, deve assecondarli. Fare fumetti può essere dannatamente noioso. Ecco perché in giro c’è tutta quella robaccia verbosa che usa un sacco di parole. Ecco perché ci sono tutte quelle storiacce che si sono dimenticate che la pagina è la mappa della storia e, al contempo, la storia stessa. Ecco perché ci sono tutti quei disegnatori tecnicamente bravissimi che flettono i muscoli sul foglio e, invece di far fumetti, realizzano meravigliosa carta da parati.
Sualzo ha capito benissimo cosa significa fare fumetti. È intelligente. Ha imparato la disciplina granitica che gli consente di tenere a bada le ambizioni e conosce appieno i suoi limiti. Ha una cassetta degli attrezzi vastissima e l’ha infittita di strumentazione varia e articolata. Poi sa cos’è un fumetto.
Per prima cosa, cerca una storia da raccontare. Se non ce l’haù, se la fa dire da qualcuno con cui ha un rapporto di fiducia totale, qualcuno che gli permetta di modificare il racconto di sole parole fino al raggiungimento di quel punto di equilibrio, qualcuno che lo obblighi a cambiare i suoi disegni fino a quando la storia non è stata correttamente cartografata.
Erano anni che non si vedevano lavori di Sualzo da solo. A meno che non stia prendendo una cantonata, dopo il suo primo libro, L’improvvisatore, ha sempre disegnato su storie altrui, scritte quasi sempre da Silvia Vecchini.
Dove c’è più luce è stupefacente fin dalla copertina. La recitazione dei due personaggi in quell’unica immagine dice un sacco di cose, sull’amore, sul distacco, sul dolore, sulla perdita. Poi giri il libro e, in quarta, in un letto desolato e al buio, dove c’è più luce, si staglia il corpo del protagonista. E basta guardare il modo in cui sono state disposte quelle pantofole per capire molte cose di quell’uomo.
Fatti un favore. Va’ in libreria, prendi in mano quel libro e leggi le prime venti pagine. Se si avvicina un commesso d’altri tempi, di quelli che non vogliono che i libri si gualciscano, rispondigli male: «Mi lasci in pace. Adesso lo prendo e lo finisco a casa!» Non preoccuparti. Non è una menzogna.
[Una cosa importante. Quel titolo, Dove c’è più luce, ha un sacco di piani di lettura. Lo vedi fin dalla copertina. Lo capisci dal modo in cui Sualzo disegna le ombre. Lo senti da quella bicromia canadese. Ne scoprirai altri leggendo il libro. C’è però un senso che ha a che fare con la storia italiana di questa cosa che chiamiamo fumetto. Nell’editoriale del primo numero del “Corriere dei Piccoli”, datato 8 dicembre 1908, si leggeva: «Ma è certo che anche voi adesso potrete, accanto al babbo e alla mamma e al fratello che già si vanta di avere i baffi, mettervi con qualche solennità sotto la luce più chiara e leggere il vostro giornale. E questa è giustizia.» Ecco, il fumetto nasce sotto la luce più chiara, dove c’è più luce.]
Lunedì: La vita fa schifo e poi si muore. Va bene. Però, nel frattempo ce la possiamo anche godere.
Uno dei problemi più grandi dell’autobiografia a fumetti è la frequente pulsione depressiva di chi racconta. Grandi dolori in cui involtolarsi, stretti stretti come fossero sudari.
Nicoz Balboa gioca da sempre in un altro campionato. Mette in scena la sua vita, i drammi, le passioni, gli errori e i momenti di felicità, con un racconto gioioso. Parla da sempre del suo corpo e delle trasformazioni piccole e grandi che subisce: il tempo, i tatuaggi, la gravidanza, i piercing, gli esercizi per tenersi in forma…
La transizione di genere è un tema delicatissimo. In tempi recenti abbiamo letto racconti – anche a fumetti – che ne enfatizzano gli aspetti più drammatici: la disforia, il mancato riconoscimento, la frustrazione, la transfobia onnipresente, il dolore, le terapie… Nicoz, con il suo Transformer, ha deciso di realizzare un «Manuale d’educazione sessuale sentimentale sperimentale per passare dalla disforia all’euforia di genere».
C’è una componente gioiosa nel racconto di Nicoz – autore in evoluzione che migliora incredibilmente libro dopo libro – che sento come davvero necessaria. Una volontà fortissima di raccontare un corpo che vuole viversi appieno, che desidera essere un territorio da percorrere, abitare, godere.
Così come giudichiamo i corpi dall’apparenza, mi capita spesso di giudicare i libri dalla copertina. Quella di Transformer è irresistibile. Il contrappunto tra le fossette di Venere e lo sguardo seduttivo che risponde allo specchio mi sembra un atto d’amore da cui è impossibile prescindere. Nonostante la contemplazione del riflesso, non c’è nulla di narcisistico in quell’immagine. Nicoz dimostra che si può parlare della propria vita senza eccedere nel dramma, amandosi e muovendo un enorme rispetto nei confronti di chi legge.
Martedì: Avevo promesso che ci avrei fatto una “Facoltà di cazzeggio” con Boris. Prima di darmi dello spergiuro, ascolta almeno le mie giustificazioni. Ci abbiamo provato, eh. Ma quella roba funziona solo se possiamo bisticciarci intorno a qualcosa. Con Il saraceno di Vincenzo Filosa non ce l’abbiamo proprio fatta. Pareva una gara a chi gli era piaciuto di più. Una noia, porca miseria.
Però questo di Filosa è un fumetto importante e vorrei saperti dire perché. Ci provo: enumero 5 buoni motivi per leggerlo:
uno. È un fumetto drammaticamente onesto. Dopo l’uscita di Pillole blu, ho chiesto a Frederik Peeters come avesse trovato il coraggio di dire una storia così privata, come fosse riuscito ad affrontare un racconto che intreccia una malattia (in quel momento socialmente inaccettabile) e l’amore, e la famiglia, e la vita. Peeters mi ha guardato come se fossi matto e mi ha detto che lui non diceva mica la verità: raccontava una storia, campionando pezzi della sua vita, arricchendoli, narrativizzandoli ed elidendo le parti noiose che costituiscono la gran parte. Filosa segue sicuramente lo stesso processo, ma i frammenti di vita che seleziona sono giustapposti e montati, spostandosi avanti e indietro nel tempo con un piglio tralfamadoriano. Non so se Filosa sia un lettore di Kurt Vonnegut jr., ma scrive proprio come se fosse una creatura di Kilgore Trout: per lui il tempo è una dimensione spaziale, attraversabile in tutti i sensi, che permette luoghi sicuri di felicità e ha territori di dolore e tristezza. Il ritratto di Italo – che non è Vincenzo – è frammentario e reale. Copio le parole dal fumetto breve nascosto nei risguardi della copertina: «Maschio – Caucasico – Un metro e sessanta – 42 anni – Sposato con figli – Etero – Meridionale – Libero professionista – Tossico – Tifa juventus – Scrive fumetti».
due. È un fumetto drammaticamente umano. Facci caso. Quando i fumettisti si inseriscono nelle storie, costruiscono un’immagine di sé che diventa una sorta di avatar. Zerocalcare è un’icona, Paolo Bacilieri è un veneto piccolo e immutabile con gli occhiali che assomiglia più a una certa idea di Robert Crumb che al Bacilieri di carne, Davide Toffolo e Igort sono più magri e hanno più capelli… Alla fine c’è sempre una comprensibilissima componente di vanità. Vincenzo ha scelto di dare a Italo il suo volto. Il risultato è incredibile: il personaggio gli somiglia anche nei movimenti più esasperati e nelle espressioni più caricaturali. Alla fine, siamo umani anche quando siamo ridicoli, perdiamo i capelli, ci spaventiamo, siamo confusi, stanchi e perduti.
tre. È un manga. Anzi un gekiga. C’è una dichiarazione esplicita nelle pagine iniziali. Italo dice al figlio che il dovere di ogni artista è scrivere sempre, nei fumetti, le cose vere. Sembra di sentire una delle tirate di Yoshihiro Tatsumi. E proprio come Tatsumi, ma, più ancora, come i fratelli Tsuge, sta affastellando nel tempo racconti frammentari, colmi di umanità. Ogni libro, un affresco di vita. Sempre più intenso. Sempre più doloroso. E mai autocompiaciuto.
quattro. È un fumetto. Benché continui a parlarti di quello che si dicono i personaggi, Il saraceno funziona perché è raccontato benissimo sulla pagina. Ci sono sequenze silenziose che raccontano la provincia. Filosa si infila in un’accuratissima riproduzione di ambienti, costruendo una sequenza che mi ha ricordato Verso una nobile morte di Shigeru Mizuki.Il maestro giapponese inseriva quelle sequenze nel finale del suo libro per raccontare l’ecatombe, il peso del silenzio dopo un bombardamento. Filosa lo inserisce all’inizio e ottiene lo stesso effetto: è un tralfamadoriano.
cinque. È istruttivo. A me ha insegnato che gli insegnamenti più importanti, quelli capaci di trasformarsi in morali della favola, possono essere delle utilissime cazzate, provenienti da persone che, nonostante tutto, continuiamo ad amare.
Mercoledì: Un libro mix and match è un meraviglioso giocattolo combinatorio di carta. Ogni pagina è tagliata in più strisce che si muovono autonomamente rispetto alle altre. In questo modo, chi manipola il libro ottiene combinazioni diverse della superficie che gli si presenta davanti agli occhi.
Ne esistono di bellissimi.
Facetasm, il mio preferito, alterna faccioni disegnati da Charles Burns e Gary Panter: una striscia per gli occhi (e le corna, le antenne, le protuberanze craniche), una per il naso e le orecchie e una per la bocca. Ci sono bestiari che combinano i corpi e i nomi degli animali, volumi che mescolano zombie o mappe e storie connesse, e un bel po’ di libriccini per bambini in età prescolare. C’è perfino Cent mille milliards de poemes di Raymond Queneau che, combinando i quattordici versi di sonetti con metrica e rime concordanti, permette la creazione di poesie che forse ancora nessuno ha mai letto.
Ecco: un libro mix and match è una potenziale Biblioteca di Babele borgesiana.
Per realizzarne uno, bisogna non temere i paradossi. E allora ben venga l’anarchicissimo Hurricane – capace di costruire Zone Temporaneamente Autonome come “Čapek” e di attivare collaborazioni proficue con “Il Male”, “Mad”, “Mineshaft”, “Frigidaire” e “il Manifesto” – che accetta di progettare un libro su commissione per “Il Sole 24 ore”: Coccodrilli squisiti: Generatore automatico di vite surrealiste.
Una cinquantina di surrealisti (accettando una definizione abbastanza estesa da comprendere nel novero, per esempio, Harpo Marx e Vincino), il cui corpo e la cui vita vengono smembrati. Quattro fette che separano fronte, volto e spalle, busto e braccia, gambe, a rappresentare la figura, sul lato destro del libro. Altre quattro, che raccontano un punto nodale della vita, sul lato sinistro.
Prendi il libro, apri le quattro strisce e ottieni la figura e la biografia di un surrealista. Se sei stato attento e hai contato bene il numero di pagine sfogliate, è possibile tu abbia davanti agli occhi una storia che, per quanto strana, profuma di realtà. Negli altri casi, quello è il tuo surrealista del giorno. Probabilmente lo puoi usare anche come oracolo per divinare il tuo immediato futuro.
Giovedì: Si può decidere di non voler più fare fumetti e farne di bellissimi? Chiedi a Lise & Talami. Loro lo sanno.Quest’anno, dopo Listalamise e Lislatamise, è uscito Lismitalise, sottotitolato “Il pessimismo della ragione, l’ottimismo della muffa”.
È una raccolta di storie brevi, vagamente correlate (ma sono sicuro che Massimo Galletti potrebbe spiegarmi che, tutte insieme, hanno una solida struttura da romanzo), e – accidenti! – sono divertentissime.
Da alcuni anni Lise e Talami mettono insieme i loro fumetti e compongono volumi che portano in una stamperia digitale e producono in un numero estremamente contenuto di copie. Poi, subito, iniziano a girare per le mostre mercato – quasi sempre nei panni dei visitatori – e se li incroci puoi comprargliene una copia. Non esiste un negozio, fisico o virtuale, dove tu possa acquistare questi libri. Devi chiederglieli. Magari con una mail o un messaggio su un social. Per prima cosa, siccome hai mostrato interesse, ti inviano il pdf di tutto quello che fanno (perché è chiaro che vogliono che tu legga i loro fumetti e stia bene). Poi, se vuoi e se hanno ancora qualche copia, ti concedono di prendere uno di quei pochi volumi. Preferibilmente guardandoli negli occhi.
È evidente che il logo impresso in controcopertina, quello che recita “I maestri della sventura”, sia l’esplicita dichiarazione della loro missione. Lise & Talami hanno una ferrea volontà pedagogica: maestri lo sono davvero.
Questo e i due precedenti sono i libri ideali per le vacanze natalizie. Da tenere sul tavolo, mentre tutt’intorno si sviluppano l’atmosfera festosa e le coltellate tra parenti. Il modo più sano per inocularsi una storia o più, ogni volta che si sente il bisogno di intelligenza.
Venerdì: Sunyata di Francesco d’Isa è lontanissimo da tutto ciò che mi interessa. Una sequenza di immagini così così, montate, a due a due, sulla pagina, come fossero le foto delle vacanze su un album degli anni Settanta, raccordate da un racconto interiore che, dopo pochissimo, non riesco più a seguire. E, allora, perché te lo consiglio? Perché è stato disegnato con un’AI in un momento in cui tanto la tecnologia quanto la legislazione che la riguarda sono immature.
Riguarda i primi fumetti realizzati con programmi, le prime colorazioni e i primi lettering digitali. Sentono profondamente del tempo in cui sono stati realizzati. Conserva questo libro in un punto difficile da raggiungere. Ogni volta che lo ritroverai, riaprendolo, sentirai l’odore di questi anni difficili.
Nel caso di Sunyata è esplosa anche una ridicola polemica che ha il sapore acre del luddismo. Ecco, scaricati anche gli interventi più feroci scoppiati intorno a questo volume e subito dissoltisi perché c’era un’altra polemica più vivace da seguire. Stampali quegli interventi, perché la tecnologia su cui sceglierai di custodirli avrà una volatilità decisamente superiore. Potrai rileggere tutto tra dieci anni (forse ne basteranno cinque) e sentirai fragrante nell’aria l’odore del vintage.
Sabato: I giorni così di Claudio Calia è un libro che, se fossi dotato di buon senso, non ti consiglierei. Lo sai, Claudio è il mio miglior nemico e, con Oblò APS, è l’editore di QUASI. Inoltre di quel libro ho scritto perfino la prefazione. Insomma, sembrare uno che si stia infilando mani e piedi in un conflitto di interessi è molto più di un rischio.
Quindi facciamo così. Non te lo dico quanto mi è piaciuto quel libro. Non ti dico quanto mi sembra che Claudio abbia trovato la sua cifra e la sua misura. Non ti consiglio nemmeno di leggerlo su “Smoking Cat” o nella versione cartacea. Non ti dico nulla di tutto ciò.
Dico solo che, da quando all’inizio del mese abbiamo chiacchierato durante il “Piccolo Festival del Fumetto” di Cremona (ai conflitti di interesse non ha senso porre limiti), ho una sua risposta che mi ronza in testa. La trascrivo a memoria, forse arricchendola con quello che mi ha detto nelle ore successive.
«Non dirò quello che stai cercando di farmi dire. Non c’è nessuna dicotomia, nessuna differenza tra i due Calia. Sono entrambi: quello che racconta l’Iraq o don Gallo e quello dei Baccanti e dei Giorni così. Sono io. In continuità. I maledetti fumetti, che mi dannano la vita, che mi spezzano il cuore, fanno sì che tutto quello che vivo si tenga in sequenza. Tutto insieme, contemporaneamente.»
Ecco. Ora puoi correre a comprare i fumetti.
Buone feste!
Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi).