Vederci poco non mi tiene alla larga dall’edicola. Ci vado lo stesso e compro giornali e riviste da guardare più che posso. Oggi, per esempio, ho preso “Internazionale”. In questi giorni, mi faccio leggere ad alta voce gli articoli dal browser. È stato abbastanza sconvolgente scoprire che la funzione “Read aloud” di Edge è molto meglio di quella di Chrome. Dei giornali e delle riviste vedo con fatica i titoli. Se mi interessa un articolo, lo fotografo, attivo la funzione OCR (riconoscimento ottico dei caratteri e conversione dell’immagine in testo) e me lo faccio leggere dal cellulare: mica ha riconosciuto tutti i caratteri, ci mette un sacco di tempo e sembra sempre che ti stia invitando ad abbandonare la rotonda alla terza uscita. È una fatica che si giustifica solo se la cosa che vorresti leggere ti interessa veramente. Se hai un passato di letture voraci, quasi bulimiche, veloci e spesso in diagonale, può essere mooolto frustrante.
Per giustificare i miei acquisti, devo trovare una ragione, non sempre buona, che non mi faccia sentire uno spendaccione. Sul nuovo numero di “Internazionale” c’è un pezzo di Zerocalcare: In fondo al pozzo che è, come recita il sottotitolo, “una storia di nazisti, di galera e di responsabilità”. Mi piace averlo tra le mani, sfogliarlo, guardare questi lavori urgenti, realizzati velocemente, che assumono la forma di flusso di coscienza.
A me Zerocalcare piace molto. Mi piacciono le sue idee, le sue battaglie, le sue scelte difficili, le sue posizioni, la sua fragilità, i suoi paradossi. Probabilmente non riuscirei a stare nella sua stessa stanza per più di cinque minuti senza stargli sui coglioni, ma a me lui piace molto.
Mi sembra che il suo corpo sia il ricettacolo della sofferenza scatenatagli da un’empatia incontenibile. Zerocalcare soffre per chiunque soffra, sente il dovere di difendere gli oppressi, di prendere le parti di chi sta peggio di lui. Siccome è un autore affermato e ha raggiunto un discreto benessere, quasi chiunque nel mondo sta peggio di lui. E questa situazione, evidentemente paradossale, lo devasta.
La sua opera principale – a fumetti e animata – è Zerocalcare, la serie che si sviluppa attorno a un personaggio che sembra una sua caricatura e che si chiama con il nome che Michele Rech ha scelto come pseudonimo. È stand-up comedy: ha ritmo, fa ridere, prende posizioni politiche e sociali chiare, fa piangere, incazzare, pensare.
Ecco: quelli di Zerocalcare non sono fumetti autobiografici, anche se il fatto che l’autore metta in scena un suo avatar può facilitare questa incomprensione. Non hanno funzione diaristica e non sono, sicuramente, giornalismo a fumetti.
Mi sembra che i lavori di Zerocalcare aderiscano a un genere decisamente poco frequentato: il fumetto d’attore.
Ci sono altri esempi?
A me ne vengono in mente pochi: uno che mi piace è Lucrezia di Silvia Ziche; uno che mi piace decisamente meno è costituito dalle cose di Gipi dopo LMVDM: La Mia Vita Disegnata Male.
Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi).