La casa editrice Cosmo è per me un mistero insondabile. Guardo le sue pubblicazioni e mi stupisco. È un po’ come se ci fosse una cassapanca, magari quella di un vecchio zio, dalla quale pescare, totalmente a caso, delle pubblicazioni del passato. Non c’è alcuna traiettoria evidente nella costruzione del catalogo. Prodotti diversissimi, omogeneizzati in pochi formati, impossibili da accostare sulla stessa mensola, mantenendo una parvenza di serietà. Pubblica anche cose che mi interessano molto, come Faust di Vigil e Quinn o Kane di Grist, fumetti importantissimi, per esempio Lo sconosciuto di Magnus o Nick Carter, e un sacco di roba insulsa.
Non sono certo i fumetti dozzinali a lasciarmi basito: ne leggo così tanti e da così tanto tempo che mi trovo spessissimo a dare ragione a mia madre, quando mi diceva che con quella robaccia sarei diventato sicuramente scemo. A scatenarmi perplessità sono i prodotti inspiegabili.
Ti faccio un paio di esempi. Finiti i fascicoli dedicati al Nick Carte di Bonvi e soci, il loro posto negli espositori delle edicole viene preso da una collana di identico formato che pubblica le strisce di Mafalda di Quino. Sono bellissime, eh… ma perché mai a qualcuno dovrebbe venire voglia di leggere quelle strisce disponibili in tantissime edizioni in quel formato bislacco? Oppure, qualcuno in redazione decide di recuperare un fumetto seminale della scena indipendente statunitense: American Flagg. Evviva! Che splendida idea! Ma mica vengono riproposti i soli episodi di Howard Chaykin (che sono belli e importanti), ma tutti. Tutti. Sette volumi, invece di tre. Toccando vette di bruttezza che se le citi in presenza di Chaykin, lui – che è un principe – trova modo di cambiare discorso e si mette a cantare (che credo sia una delle due cose che gli piacciono di più al mondo).
Infilando la mano nella cassapanca dello zio, a volte si pescano cose inattese. Questo oculato processo di selezione editoriale mirata mi incuriosisce tantissimo. Sono un acquirente compulsivo di fumetti, mi lascio sedurre dalle novità e finanzio anche le imprese più improbabili. Compro cose di cui di solito non ti dico nulla. Le guardo, mi maledico e le infilo nella sportina che sgancerò in casa Battaglia alla prima occasione (mi emoziona ancora lo sguardo incredulo che Boris mi lancia quando scopre cosa sono riuscito a comprare).
Oggi, in edicola, ho trovato il primo numero di “Fan”, serie mitica perché era un tascabile edito da Renzo Barbieri (quello degli albetti erotici degli anni Sessanta e Settanta), destinato a un pubblico di ragazzi, durato appena sei numeri (perché evidentemente quel pubblico non lo ha mica trovato), che nella sua prima edizione ha presentato per la prima volta i capitoli iniziali de I briganti di Magnus (ma quelle pagine, in questa edizione, non ci sono).
Fino a oggi non lo avevo mai letto. Ho appena scoperto che avevo ottime ragioni per non farlo. Non capirò mai alcuni miti sorti intorno a specifici autori di fumetti.
Per esempio, Leone Frollo era un bravo disegnatore, con un gran mestiere, estremamente funzionale, capace di realizzare un buon prodotto di consumo, destinato a esaurirsi entro la data di scadenza determinata dalla periodicità. La gran parte dei fumetti che ha disegnato sono prodotti emulativi e mediocri. Hanno un probabile valore documentale e sono utili a raccontare un frantume di recente storia nazionale, ma non è che, all’improvviso, siamo diventati tutti storici e sociologi.
Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi).