Noi che viviamo in provincia siamo severi e ingiusti. In particolar modo se la nostra cittadina provincialissima è appiccicata a una città fornita di molto, se non di tutto, ma dalle dimensioni estremamente contenute, come Milano.
Milano, lo sai, è la smart delle città: la puoi parcheggiare tutta nel centro di Roma, senza ingranare la retro. Se sei un provinciale, come me, ti senti lo stesso milanese, anche se i milanesi veri, quelli che hanno la residenza nella ZTL e votano PD, ti considerano un “giargiana”, anche se non te lo dicono.
Per arrivare in qualsiasi punto della città da casa, ci mettiamo indicativamente mezz’ora. Ci sentiamo cittadini, ma siamo, come ti dicevo, severi e ingiusti. Un qualsiasi altro posto della provincia, in particolare modo se collocato nel punto cardinale opposto al nostro rispetto alla città, è un po’ “Giargiania”.
Una volta sono andato a Lodi, oltre le colonne. Non quelle di San Lorenzo, proprio quelle d’Ercole. Con il mio amico Fabian, ho affrontato il tragitto impervio, col cuore traboccante la paura che il navigatore, da un momento all’altro, segnasse “Hic Sunt Leones”.
Era la fine degli anni Zero e c’era un’edizione del festival che la città ha dedicato ai Sette Peccati Capitali. Dopo un viaggio durato un’eternità (forse addirittura un’ora!), abbiamo parcheggiato in prossimità della piazza che avrebbe dovuto ospitare gli eventi del festival. Un po’ persi, stranieri in terra straniera, abbiamo chiesto indicazioni ai pochissimi indigeni che si aggiravano per la cittadella. Nessuno sapeva di questo festival. Arrivati in quella che sembrava la piazza centrale, abbiamo trovato una tensostruttura che si ergeva, al centro della città, come un monolito nero di kubrickiana memoria.
Ingresso gratuito: ne abbiamo approfittato. Un posto piccolo, 200 sedie, e deserto, una decina di persone sedute. Pareva la presentazione di un libro, invece era un concerto dei Têtes de Bois, accompagnati da Francesco Di Giacomo. Che meraviglia.
Ho amato quel gruppo da Ferré, l’amore, la rivolta, del 2002, a Extra, del 2014. A un certo punto, avevano pubblicato sul loro sito gli mp3 dei due dischi realizzati negli anni Novanta. In preda a uno spasimo di ossessione di possesso fisico, li avevo riversati su CD, per averceli con me.
Poi, dopo Extra, il gruppo ha smesso di incidere, forse si è sciolto, non lo so.
All’inizio di quest’anno, ho scoperto che Andrea Satta, cantante dei Têtes, animatore culturale e pediatra, ha pubblicato un nuovo disco, Niente di nuovo tranne te. Dopo un paio di ascolti, ho deciso che dovevo averlo. Ma vallo a trovare, in provincia, un negozio di dischi! E uno che abbia i dischi di Satta, per giunta. Mi sono dovuto rivolgere al solito sito di commercio elettronico che, pur non avendo neanche un’immagine per la copertina di quel CD, me lo ha recapitato a casa in meno di ventiquattro ore.
Ora lo ascolto da giorni. Ascoltalo anche tu.
Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi).