Ci sono degli aspetti paradossali in ogni premiazione. Anche in quelle che riguardano il fumetto. Non è facile indicare la cosa più importante accaduta nel corso del periodo precedente: gli elementi da tenere in considerazione sono tantissimi. Gli equilibri, la cui stabilità non deve essere minata, ancora di più.
Il primo equilibrismo oscilla sulla fune del magna magna e coinvolge editori, autori e pubblici.
Di certo non ci si può illudere di distribuire i premi e – ancora prima – le nomination, facendo finta che le case editrici non esistano. Sono tante e pubblicano tantissimo. Quasi sempre pattume (ed è una colpa sistemica, dalla quale neppure tu e io possiamo sentirci assolti). Chi stila la lista dei fumetti più importanti dell’anno passato, magari spacchettandoli in categorie che spesso coincidono con i mestieri coinvolti (la persona che prima scrive, quella che dopo disegna, quella che dopo ancora colora e così via) ha l’obbligo di verificare di non essersi dimenticato proprio quel marchio. Sai le polemiche? Odio! Boicottaggio! Complotto!
Poi ci sono gli autori e le autrici. Anche in questo caso tanti, troppi, iperproduttivi… Sfornano un sacco di pagine che infittiscono i libri usciti nel corso dell’anno. Chi è già stato notato dagli altri premi non può essere ignorato: un suo nuovo titolo deve necessariamente essere almeno nominato. Ce ne sono anche di bravissimi, magari ancora all’esordio, ma notarli, quelli, è più difficile.
Infine, in questo primo equilibrismo bisogna tenere conto dei gusti del pubblico. Se ci sono robacce che vendono tanto (un po’ come le raccolte di barzellette sceme tanto in auge nelle classifiche nazionali), mica puoi fare lo snob: se piace al pubblico, c’è sicuramente un’ottima ragione. In un paese con un governo come il nostro, democraticamente eletto, una gran massa di persone, che esprime in totale libertà una preferenza, non può sicuramente essere composta da coglioni.
Il secondo sistema di equilibri che concorrono all’assegnazione di un premio è apparentemente più nobile e si riferisce al contesto sociale: quella roba liquida e cangiante che rappresenta la superficie infida e perigliosa che chiamiamo qui e ora.
Lo so, non è bello farlo notare, ma le commissioni e le giurie che assegnano premi devono verificare con attenzione che la lista dei nominati e dei premiati contempli un’equa distribuzione di genere e sia rappresentativa di tutte le diversità espresse dalla comunità. Dopo decenni di indifferenza, un premio deve dimostrarsi inclusivo. Credo sia una bella cosa, anche se produce un paradosso. La paura di escludere qualcosa capace di rappresentare l’oggi costringe a equilibrismi. Del resto, stiamo parlando di premi al valore artistico, e l’arte, lo sai, ha a che fare con il bello, ma anche con il giusto, il necessario, il comunicabile, l’utile, il profittevole, eccetera. Diventa allora accettabile la presenza di brutti fumetti che parlano di temi importanti. Anche quando ne parlano male. Anche quando, come il produttore Goldwyn, avremmo voglia di dire: «Ehi, tu che hai fatto questo fumetto, se mi devi mandare un messaggio, spediscimi un telegramma!»
Pare proprio che assegnare un premio, muovendosi nel labirinto dei vincoli, diventi un’operazione da manuale Cencelli. Eppure, anche cercando di sopravvivere allo stritolamento delle spire di un regolamento spesso non scritto, alcune organizzazioni riescono a elargire premi interessanti.
Ieri sera è stata la volta del festival di Angoulême.
La distribuzione delle targhe è iniziata qualche giorno prima, quando il festival ha assegnato il Grand Prix 2024. C’erano tre candidati: Daniel Clowes, Catherine Meurisse e Posy Simmonds. Non so… a me è parsa stridente la presenza di Meurisse, classe 1980, a contendere un premio alla carriera a due colossi canonizzati come Clowes e Simmonds. Il premio è andato, prevedibilmente, a Simmonds. Ci sono tre ottime ragioni: innanzitutto è straordinaria (se non lo hai mai fatto, leggi i suoi fumetti); in secondo luogo, perché c’è una sua mostra al Centre Pompidou a Parigi (è iniziata lo scorso novembre e dura fino ad aprile); infine, dal 1974, anno della fondazione del premio, il Grand Prix è stato assegnato a una donna solo cinque volte (e, se leggi l’elenco dei premiati, ti ritrovi davanti alcuni nomi maschili che, davvero, ti esplode un enorme WTF). A quel punto, però, Clowes era gia ad Angoulême. Fortunatamente ha appena pubblicato Monica, un fumetto bello e importante, dopo una lunga sequenza di fumetti belli e importanti. Non credo di essere il solo a reputare prevedibile, quasi scontato, che quel libro sia stato premiato con l’assegnazione del Fauve d’or per il miglior fumetto.
Monica è davvero il libro a fumetti pubblicato in Francia più bello e importante del 2024? Non lo so. E non lo sa neanche la giuria. Mi sembra interessante che proprio quella giuria abbia deciso di assegnare un premio speciale a Hanbok, di Sophie Darcq. L’ho sfogliato, un po’ di tempo fa in una libreria francese, e mi è parso bellissimo; poi, siccome non sono troppo intelligente, non l’ho acquistato. Adesso, pentito, rimedierò arricchendo un colosso del commercio elettronico. Prima di premere il tasto “Acquista ora”, finisco di spulciare l’elenco dei premiati, per cercare di capire se là in mezzo, tra gli equilibrismi, è filtrato qualcosa di meraviglioso che è davvero necessario guardare.
Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi).