Colpa di Alfredo

Paolo Interdonato | Pantomime del Calisota |

«È morto Castelli.»

Così. Prima notifica sullo smartphone ieri mattina. Nel momento in cui speri inutilmente che sia un messaggio affettuoso, un «ti amo» in una qualsiasi delle sue mille declinazioni. Mia figlia che mi manda il link della canzone che l’ha fatta ballare ieri sera, mio figlio che mi dice che ci vediamo a pranzo, una persona cara che mi fa sapere che sta pensando a me perché sono importante per lei, un lettore che mi ringrazia per un articolo, un’espressione di desiderio… qualsiasi cosa. Nel momento in cui avrei voluto l’amore, il mio smartphone, mi ha portato messaggi di morte.

Sapevo che Alfredo Castelli era malato. Qualche mese fa, l’ultima volta che sono stato al Wow, il museo del fumetto milanese, per presentare il mix and match dei surrealisti di Ivan Hurricane (un libro che a Castelli molto probabilmente è piaciuto), c’era una mostra dedicata alla carriera dello sceneggiatore milanese. Luigi Bona me l’ha mostrata orgoglioso, snocciolando innumerevoli aneddoti, nella consueta miscela di collezionismo, nozionismo, memorie calde e ricordo degli amici. Il modo in cui Luigi alludeva all’assenza del festeggiato, mi ha fatto capire che Castelli stava male.

«Cazzo.», ho risposto. Poi ho preparato Carlotta e, dopo averla vista scomparire nell’edificio scolastico, dopo il suono della campanella, sono andato in edicola. Volevo comprare “Martin Mystére”. Dannazione! Non c’era. Eppure tutti i personaggi che hanno fatto le rivoluzioni Bonelli, erano lì, in fila, pronti a mostrare con orgoglio le loro carni cartacee, rese macilenti da una rivoluzione permanente. C’era “Tex”  con diverse testate che raccontano sistematicamente la stessa avventura, “Zagor” a gridare lo stupore per l’inaspettato ritorno di “Supermike”, “Dylan Dog”, “Nathan Never”, “Julia”, Dampyr”… C’era addirittura un “Mister No” che l’edicolante ha dimenticato di mandare in resa. Mancava solo “Martin Mystére”, spero perché, dopo la ferale notizia, siano andati tutti a comprarlo in gesto di estremo cordoglio.

Sapere che non c’è più Castelli, uomo coltissimo, brillante, arguto ed estremamente comico, mi mette una grande tristezza. Mi rivolgo allora alla mia fede nella consapevolezza del tempo dei tralfamadoriani di Kurt Vonnegut. Mi sposto nel tempo, cercando i momenti in cui sono stato felice con lui.

Nel 1978 ho dieci anni. In edicola esce “Supergulp! I fumetti in TV”, un settimanale che presenta alcuni fumetti che ho visto nella trasmissione televisiva e altri che lì proprio non c’erano. Ci sono Nick Carter di Bonvi e L’uomo Ragno e i Fantastici Quattro con delle storiacce di fattura italiana e poi delle cose inattese come Mortadelo y Filemón di Francisco Ibáñe ed  Ernie Pike di Héctor Germán Oesterheld. Là in mezzo compare anche Allan Quatermain scritto da Alfredo Castelli. Non ho più rivisto quella rivista della mia infanzia, ma quel fumetto era potente. Ricordo con precisione una sequenza in cui una campana viene usata per spostarsi sott’acqua.

Quattro anni dopo, nell’aprile 1982, in edicola esce il primo numero di “Martin Mystére”.  Me ne accorgo subito, perché dopo Adah, il quarantaseiesimo numero di “Ken Parker” uscito in febbraio, faccio la posta a quello sportello del chiosco, per averne ancora. Questo nuovo fumetto Bonelli mi entusiasma e mi emoziona. Prendo appunti, a matita, sulle mie copie. Dileggiato dai compagni della terza media perché amo i fumetti, mi sento finalmente uno che sta leggendo cose importanti. Questa sensazione continuerà per anni e mi permetterà di sopravvivere al liceo che inizierà di lì a poco.

Passa poco più di un anno. In luglio 1983 esce una nuova versione di “Eureka”. Ha guadagnato un punto esclamativo in testata (“Eureka!”) e due nuovi direttori: Castelli e Silver. Compro la rivista e la leggo da copertina a copertina. C’è un librino che racconta Come si diventa autori di fumetti. Lo leggo e rileggo per capire come funziona quel mondo che tanto mi affascina. Ci sono fumetti bellissimi e redazionali informati. Per un anno, Castelli e Silver mi regalano mensilmente vera bellezza.

Nel 1990, in luglio, “Martin Mystére” arriva al centesimo numero. Come da tradizione Bonelli, le uscite con una cifra tonda in costa sono a colori. Fino a quel momento, si tratta di albi normalissimi cui è stata data una mano di colore (spesso mediocre, con l’effetto di smorzare la stampa su quella carta porosissima). Castelli costruisce un numero intitolato Di tutti i colori che usa l’occasione per raccontare in un modo che, fino a quel momento, non gli era stato possibile.

Ancora 1990, in dicembre, vedo una rivista in edicola. Si chiama “Magic Boy” ed è già al ventinovesimo numero. La compro perché ha in copertina “Gli aristocratici” di Castelli e Ferdinando Tacconi che ho letto su “Eureka!”. Questa versione, diretta da Castelli, di una rivista promozionale Mattel dura appena quattro numeri. Credo di aver imparato da amare “Il Corriere dei Ragazzi” leggendo quelle pagine.

E posso continuare, parlando dell’Omino Bufo, del mistero delle nuvole parlanti, del Doctor Mystére, dei pastiches, dei recuperi, dell’ossessione da enciclopedista, dei frantumi perduti della storia del fumetto, …

In piena tradizione tralfamadoriana, una distesa di punti temporali in cui rifugiarmi quando Alfredo Castelli mi mancherà.

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