Se vuoi sapere di cosa sto parlando sarà meglio che recuperi le puntate precedenti:
- All’inizio fu Lungo Fucile…
- Da “Lungo Fucile” A “Omicidio A Washington”
- Da Chemako a Sangue sulle stelle
- Da Sotto il cielo del Messico a Colpo Grosso a San Francisco
- Da Caccia sul mare a Il Popolo degli uomini
- La ballata di Pat O’Shane
- Da La città calda a Santa Fe’ Express
- Da Un Uomo inutile a Il giorno in cui bruciò Chattanooga
- Da La Regina del Missouri a Pellerossa (passando per Lily…)
- Da C’era una volta a Casa dolce casa
- Da Le Colline Sacre a Milady
- Da I Cavalieri del Nord a Diritto e Rovescio
- Da Cronaca a Il Poeta
La scorsa volta ci siamo lasciati con notizie parecchio grame, le morti di Bobby Sands e di Bob Marley. Però, cosa vuoi che ti dica, il maggio 1981 a me risveglia ricordi positivi. Dai, non fare lo scemo! No, non parlo del 13, quando in Piazza San Pietro Papa Giovanni Paolo II viene ferito gravemente dagli spari di Mehmet Ali Ağca!
Il Gran Premio di Monaco si disputa il 31 maggio 1981. Il copione della gara sembra il solito, con Williams e Brabham imprendibili. Villeneuve, su Ferrari, sorprende tutti conquistando la prima fila e disputando una gara solida, comunque distante da Piquet e Jones. Ma, dopo il ritiro del brasiliano, è il motore della Williams a fare le bizze. Alan Jones rallenta e viene superato dalla Ferrari n. 27 a 4 giri dalla fine.
Le immagini di quegli ultimi passaggi ormai sono storia sportiva. Puoi vedere Joanna, la moglie del piccolo canadese, sporgersi ansiosa dai box aspettando Gilles sul traguardo, fino all’arrivo vittorioso. In altre riprese, subito successive alla bandiera a scacchi, puoi vedere i meccanici impazzire di gioia. All’ingegner Forghieri che ricorda «Dai, ne abbiam vinte delle altre!» risponde una voce (probabilmente il capo-meccanico di Gilles): «Non importante come questa!».
Ha ragione. È la quinta vittoria in carriera del canadese volante. Ne arriverà solo un’altra. Dopo te ne parlo.
Odio Antico e Apache sono episodi autoconclusivi, non portano sconvolgenti sviluppi nella vita del protagonista, ma sono entrambi di ottima fattura a cominciare dalla qualità grafica. Il primo è affidato a Giorgio Trevisan, nel secondo ritroviamo il co-creatore della serie, Ivo Milazzo.
In Odio Antico il cinema si conferma una miniera di suggestioni per Berardi. A un plot classico nel genere (il vecchio, rude e integerrimo sceriffo Earl Dunn, soppiantato nel favore popolare dal giovane e dinamico Philip Cole) lo sceneggiatore unisce la storia di Lola, rappresentazione in salsa western de L’angelo Azzurro, nella trama quanto nella caratterizzazione fisica dell’avvenente cantante (Marlene Dietrich, nel film).
Le due linee narrative si intrecciano e Ken risulterà protagonista di entrambe. Amante di Lola (e, rispetto ad altre esperienze analoghe, inaspettatamente viveur)…
E amico dello sceriffo Dunn, anche se ne visiterà la cella (abitudine in cui cade di frequente, ma stavolta meno spiacevole del consueto).
Al termine dell’episodio Ken lascia la cittadina di Prescott con qualche segreto svelato e qualche ruggine ormai troppo incrostata per essere tolta. Anche dall’anima di Lola.
Apache è uno dei numeri più amari dell’intera serie. Le marce forzate dei nativi americani, allontanati dai propri territori per essere confinati in altri a loro assegnati, hanno il sapore di deportazioni più famose. E attuali…
Pure l’ostilità, becera e nemmeno in buona fede, dei cittadini bianchi nei confronti dei pellerossa non riesci a confinarla al solo passato. E le ingiustizie e le violenze si legano le une alle altre, in una catena inestricabile e impossibile da spezzare.
La catena si allunga fino alla pagina conclusiva, quando la violenza contagia persino un bambino, che consuma la propria vendetta (frutto amaro dell’odio fra due tribù Apache, i Chiricahua e gli Arapaiva) in un finale che toglie ogni speranza e in cui tu, proprio come Ken, sei solo uno spettatore amareggiato e impotente.
L’episodio è notevole anche per il ritmo serrato e un montaggio estremamente ricercato, con raccordi fra le varie scene studiati nei minimi dettagli, con passaggi di voce tra personaggi o scene realizzati attraverso il montaggio del parlato, del font, delle onomatopee sonore. A dimostrazione che Lungo Fucile è davvero figlio della coppia Berardi/Milazzo e dunque trova le interpretazioni migliori quando la coppia di autori si ricompone.
Apache si segnala anche per il gradito ritorno di Dashiel Fox, scout dell’esercito già visto nei primi numeri. Proprio l’incontro con Dashiel, in uno dei pochi momenti di calma dell’episodio, consente a Berardi di fare una sorta di velocissimo riepilogo delle vicende personali del protagonista.
Se leggi con attenzione, noterai non solo l’accenno a Theba, non solo la precisa indicazione temporale («sono passati 6 anni»: in effetti ora siamo nell’estate del 1877 e i conti, rispetto a quanto visto in Chemako, tornano) ma anche precisi indizi su dove la serie sta per essere portata. Segno che Berardi ha le idee chiare sulla macro-trama che intende seguire.
Siamo andati a comprare Odio Antico parlando di Montecarlo 1981. Passano due settimane e il 21 giugno, sul circuito di Jarama, Villeneuve compie un’altra impresa, vincendo la gara nonostante l’evidente inferiorità tecnica della propria vettura. Tra lui e il quinto classificato, alla fine, il distacco è di poco superiore al secondo: solo le sue capacità di guida «in difesa» gli consentono la vittoria. Sarà la sesta della carriera. Assieme a quella di Montecarlo la più bella, ma pure l’ultima… Ed è comunque l’unico fatto lieto che ricordo di quel periodo.
Infatti, proprio mentre leggiamo Apache, il 2 giugno muore Rino Gaetano, in un incidente stradale. Il 10 giugno un’altra tragedia: Alfredo Rampi, di soli 6 anni, precipita in un pozzo artesiano a Vermicino, vicino a Roma. L’Italia segue per tre giorni i tentativi di salvataggio, purtroppo inutili. Alfredino muore in quel pozzo, a circa sessanta metri di profondità. Anni dopo i Baustelle dedicheranno alla vicenda (e alla macabra e impietosa diretta televisiva di quell’agonia) uno dei loro brani migliori. Versi toccanti sulla sorte del bambino, ma anche uno sguardo, al tempo stesso poetico e spietato, su un’Italia che sta cambiando.
A mettere la ciliegina su una torta di merda, agli inizi di luglio arriva un articolo sul New York Times. Parla dell’insorgenza di un «raro cancro» in alcuni omosessuali, fra New York e Los Angeles. Sono i primi segni di quella che diventerà l’epidemia di AIDS.
Vive una crisi di mezza età da quando era adolescente. Ora è giustificato. Ha letto un bel po’ di fumetti, meno di quanto sembra e meno di quanto vorrebbe. Ne ha pure scritti diversi, da Piazza Fontana a John Belushi passando per Carlo Giuliani (tutti per BeccoGiallo) e altri brevi, specie per il settimanale “La Lettura”. Dice sempre che scrive perché è l’unica cosa che sa fare decentemente. Gli altri pensano sia una battuta, ma lui è serio quando lo dice.